L'addio al Cav
Il ritratto di Silvio Berlusconi, una figura archetipica del Paese
Capriccioso, gaudente, vanitoso, il Cavaliere è stato un po’ Rigoletto, un po’ interprete della commedia all’italiana.
Editoriali - di Filippo La Porta
A proposito di Silvio Berlusconi ho ascoltato in questi due giorni un profluvio di discorsi, alcuni molto celebrativi – fino alla agiografia – altri puntuti e critici, a riprova di una libertà di espressione che continua a essere una delle qualità del nostro dibattito pubblico e che è la migliore smentita a chi parla di democrazia autoritaria. Ora, non essendo un cronista politico, e invece appassionandomi la storia e descrizione degli “stili”, vorrei limitarmi a un commento che riguarda l’aspetto antropologico del berlusconismo.
Piero Gobetti ha detto che il fascismo rappresentava l’autobiografia della nazione, qualcuno lo ha ripetuto per Berlusconi, sdoganatore dei vizi nazionali, fedele interprete della commedia all’italiana cinematografica (una volta Cesare Garboli osservò che al suo repertorio mancava solo di fare “il gesto dell’ombrello” con il braccio, come Sordi nei Vitelloni). Non nego che pezzi anche consistenti di fascismo e berlusconismo si trovino nel nostro Dna, però credo che la veridica autobiografia degli italiani l’abbia scritta soltanto la Dc, la quale infatti ha governato il nostro paese per cinquant’anni, non per un ventennio e neanche per i cinque o sei anni sparsi dei governi Berlusconi. È vero, la nostra storia è costellata di guerre civili, municipalismi, lotte fratricide tra gli staterelli (contro cui protestò già Petrarca in “Italia mia, benché il parlar sia indarno”).
Ma a ben vedere, gli italiani, anche memori di questo passato, sono diventati assai più accomodanti, opportunisti per quieto vivere e saggiamente flessibili di quanto non siano faziosi e rissosi. E passiamo a Berlusconi. Sappiamo che i due animali simbolici cui per Machiavelli doveva conformarsi l’azione del Principe erano il leone e la volpe, la forza e l’astuzia. Il leone, o “lione”, aveva non solo virilità e ferocia ma anche socievolezza, mentre la volpe è più fredda e calcolatrice. Bene, chi potrebbe obiettare a Berlusconi che non fosse “socievole”? Spiritoso, friendly e compagnone con tutti, e specie con gli esponenti del “popolo”(in TV, lo ricordava Santoro, fraternizzava con macchinisti e operai!).
Sempre di buonumore e con la inesauribile voglia di scherzare. Eppure nel suo stile politico più ancora che nei programmi, e almeno fino all’ultima, diversissima fase (invece improntata a ecumenismo irenico), si annidava una componente estremista che non appartiene davvero al carattere degli italiani (e che probabilmente lui avrebbe giustifi cato in parte come simmetrico a quello dei suoi persecutori). Si potrebbe parlare di un “estremista di centro”. Dovete immaginare un prepotente Duca di Mantova, dunque un libertino perlopiù capriccioso, gaudente, vanitoso, ma con il gusto insolente della buffoneria di Rigoletto.
Penso alle battute gratuitamente sprezzanti rivolte agli avversari politici – fianco sui loro presunti difetti fisici – dei quali avversari ci dispensava volentieri imitazioni perfidamente divertite, o alla spavalderia con cui rivendicava con puntiglio un poco infantile anche le gaffe più indifendibili (cito a memoria: “È vero che i comunisti mangiano i bambini, in Cina accade, ne ho le prove!”). Tutto questo, beninteso, esprimeva una energia tellurica – appunto l’affascinante Duca di Mantova – che ipnotizzava e stregava, anche perché senza alternativa. Nessuno era bravo come lui a occupare la scena. E, si sa, il nostro è un paese che ama il teatro, in qualsiasi ambito.
Eppure dopo la prima straordinaria ondata di consensi e l’exploit elettorale di Forza Italia, la sua energia performativa non ha convinto gli italiani proprio per quell’estremismo al fondo divisivo – dark side della convivialità allegramente informale – che oggi sentiamo come estraneo, inadeguato. Se ne è accorto probabilmente a tempo scaduto. Per essere un grande statista, un politico visionario e saggio, e un “principe” capace di governare a lungo il conflitto, Berlusconi ha corretto la rotta troppo tardi. In questo senso Giorgia Meloni, che non è affatto la sua erede politica, che lo ha combattuto aspramente (ricambiata), e che viene da tutt’altra storia (assai più di destra e illiberale), ha però trovato il terreno spianato antropologicamente dallo “stile” di Berlusconi, un terreno impastato di veleni, divisioni e odi malcelati.