Cosa scriveranno i giornali?
Qatargate, emergono elementi che sollevano dubbi sull’inchiesta
Il giudice si è dimesso e dopo sei mesi di giustizia piombata, trapelano elementi che “potrebbero sollevare domande sul funzionamento indagine”
Editoriali - di Iuri Maria Prado
Il 10 dicembre 2022, erette in prima pagina e poste a sostegno di titoloni strepitosi, le colonne della stampa quotidiana – pressoché tutta – si dedicavano alla descrizione della “tangentopoli europea”, lo scandalo dei borsoni pieni di soldi che il giorno prima portava in galera un manipolo di corruttori accertati per decreto editoriale.
Il fatto che la detenzione di una valigia di denaro meriti chiarimenti, ma non provi di per sé proprio nulla, non turbava le sicurezze dei confezionatori di quelle prime pagine, che anche nei giorni successivi ci davano dentro con identico tono senza nessuna perplessità. E nessuno, tra quei romanzieri della Mani Pulite comunitaria, era toccato dal sospetto che ad attentare al potere rappresentativo europeo potesse esserci, accanto all’eventuale responsabilità – tutta da provare – degli indagati per corruzione, il doppio insulto rispettivamente costituito da un’indagine prepotente e dalla remissività, se non complicità, del potere politico che vi assisteva.
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E a nessuno, nei ranghi di quella claque, veniva da obiettare che di “democrazia europea sotto attacco” forse valeva la pena di discutere pensando meno ai “malvagi” delle presunte mazzette e piuttosto al collaborazionismo parlamentare che spogliava di cariche e prerogative i propri rappresentanti, compiacendosi di vederli affidati alla giustizia che li sbatteva in galera non solo prima del processo, ma in base a imputazioni tanto misteriose quanto le indagini che, via servizi segreti, le avevano preparate.
Non andava meglio sui contrapposti fronti degli schieramenti politici, ovviamente. Da un lato i noti garantisti di destra, in orgasmo per la riprova esemplare della sporcaccioneria della controparte, anche più meritevole di sanzione preventiva perché svendeva i diritti delle persone trafficando con le autocrazie mediorientali (cosa intollerabile per una parte politica risaputamente sensibilissima – “prima gli italiani” – alla violazione dei diritti umani nel mondo, e costituzionalmente avversa ai regimi che se ne rendono responsabili).
Dall’altro lato, i serissimi ruminatori di compostezza di una sinistra complessivamente attestata in difesa, sulla linea onorevole e fiera della giustizia che deve fare il suo corso, del lavoro della magistratura che va rispettato e dell’onestà di partito che mai e poi mai può essere messa in dubbio per la presenza di qualche mariuolo da sacrificare senza cedimenti al deplorevole impunitismo tanto caro agli amici dei corrotti.
Tra l’arresto di Panzeri, della moglie e della figlia, dunque di Eva Kaili e del compagno (la figlia no, troppo piccola: quella si limitavano a tenerla lontana dalla madre) e la notizia, ieri, relativa all’abbandono delle indagini da parte del giudice che sinora le aveva condotte, sono stati sei mesi di giustizia piombata, una giustizia inquisitoria che ripagava in pena ridotta le confessioni fatte e puniva quelle mancate con la protrazione della custodia cautelare. Una giustizia da cui ora – si apprende – trapelano elementi che “potrebbero sollevare alcune domande sul funzionamento oggettivo dell’indagine”.
Non sappiamo se tra queste domande ci sia quella semplice e noiosa, il quesito da garantisti pelosi riguardante la sproporzione tra la gravità dei provvedimenti che si sono abbattuti sulla vita, sulla libertà e sulla carriera degli indagati e la persistente vacuità delle prove poste a sostegno di un’accusa di cui si sa poco o nulla non perché se ne tenevano riservati i contenuti, ma perché poco o nulla aveva messo insieme. Si sa, appunto, che il magistrato che ne aveva la titolarità ora ha mollato il dossier, non senza il colpo di coda dell’ultimo arresto. E chissà se i dubbi sul “funzionamento oggettivo dell’indagine” lambiscono il provvedimento con cui il magistrato che si sarebbe dimesso di lì a poco ingiungeva a Eva Kaili, una volta scarcerata, di non parlare con i giornali.
Chissà se questi, i giornali, orienteranno ora in maniera un po’ più sorvegliata e civile le proprie titolazioni. Chissà se quelli che li scrivono e li dirigono faranno i giornalisti anziché gli assistenti della giustizia che per settimane impedisce a una madre di vedere la figlia di meno di due anni, e che in sei mesi gliela fa vedere due volte, e che quando finalmente la scarcera, perché quella non confessa, le ordina di stare zitta altrimenti sono guai.