L’uno-due non è coordinato ma i colpi arrivano insieme e nel giro di una sola mattinata, proprio dopo aver incassato a Parigi un successo diplomatico siglato dall’indietro tutta di Macron, il governo precipita in uno stato confusionale. Per l’opposizione il tiro a segno è sin troppo facile pienamente giustificato.
Prima il pasticcio sul Mes: il parere tecnico del Ministero dell’Economia lo esalta invece di bersagliarlo offrendo così l’appiglio per non ratificare la riforma. Subito dopo il provvidenziale ritardo dei due senatori di Fi in commissione Bilancio al Senato, Lotito e il ronzulliano Damiani che determina la bocciatura del parere sugli emendamenti al dl Lavoro della relatrice Paola Mancini, di FdI. Quanto a gravità il caso Mes prevale di gran lunga: rinvia a un nodo diplomatico, e a un sempre più vicino diplomatico incidente, di prima grandezza. Il voto sulle richieste del Pd e di Iv di ratificare la riforma del Fondo Salva Stati approvata da tutti i Paesi a eccezione dell’Italia il cui semaforo verde è però vincolante, è, o meglio dovrebbe essere, dietro l’angolo. Rinviata più volte, la discussione in aula è stata infine fissata per il 30 giugno. Il presidente della Camera Fontana aveva promesso che stavolta non ci sarebbero stati ulteriori slittamenti.
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In commissione era atteso il parere del Mef che in effetti arriva, firmato dal capo di gabinetto Stefano Varone, ma è diametralmente opposto alle aspettative. Afferma che la riforma “non comporta rischi per la finanza pubblica”. Al contrario sarebbe una utile spintarella per “l’accesso degli Stati al mercato finanziario”, per “il rating dell’Italia”, per “i Paesi ad alto debito” tra i quali l’Italia primeggia. Ci manca solo l’esortazione aperta a votare di corsa la ratifica ma è come se ci fosse. Anche se sono passati pochi giorni da quando la premier aveva proclamato per l’ennesima volta che il Mes “è uno stigma” e dunque, così com’è, non lo si può ratificare. Anche se tutti sanno che la stessa Meloni non ha alcuna intenzione di far passare la riforma senza essersi prima fatta pagare con la moneta sonante delle nuove regole europee e della revisione del Pnrr.
In commissione scoppia il caos. La Lega chiede il voto subito, per affossare subito e una volta per tutte la ratifica. Il presidente Giulio Tremonti a far esplodere una bomba che guasterebbe i rapporti con Bruxelles non ci pensa per niente e rinvia tutto a oggi. Le linee telefoniche di palazzo Chigi ribollono: il governo e la sua maggioranza cercano freneticamente una via d’uscita. Il ministro Giorgetti fa sapere che non si è trattato di uno sgambetto del suo capo di gabinetto e che anzi il “parere tecnico è ben scritto e ben fatto” ed è pienamente condiviso. La formula rimbalza per tutto il pomeriggio da un palazzo della politica all’altro: “È solo un parere tecnico”. Come se fosse uno scherzo bocciare una riforma che tutta l’Europa attende per motivi non sostanziali ma puramente politici.
La confusione, invece di scemare con le ore, monta ulteriormente. La Lega conferma l’intenzione di bocciare la riforma comunque e tanti saluti al “parere tecnico”. Da via XX settembre filtra l’opinione invece favorevole alla ratifica di Giorgetti. La sola via d’uscita che si profila, e anche quella non di facile agibilità, è rimangiarsi la promessa di Fontana e rinviare ancora all’autunno. Perché bocciare la riforma dichiarando guerra all’Europa non si può ma neppure sottoscriverla, dopo averla poco cautamente criticata fino all’ultimo e perdendo uno strumento principe di contrattazione con Bruxelles sul nuovo Patto di stabilità e sulla revisione radicale del Pnrr. Se non è proprio un vicolo cieco poco ci manca.
Il fattaccio sul dl Lavoro sembra di più semplice risoluzione. “È solo un banale ritardo di 15 minuti”, si giustificano candidi i due forzisti assenti, tutta colpa dei festeggiamenti per il genetliaco di un collega. Però Lotito ha il sorriso pasciuto del gatto dopo aver degustato il topo, ed entrando in aula sibila un meno rassicurante “È’ solo l’antipasto”. Il presidente della Lazio ha la sua lista di desiderata, regole sul contrasto alla pirateria più stringenti e per i suoi interessi essenziali. Probabile che volesse far capire ai racalcitranti Fratelli che il gioco potrebbe farsi duro. Ma certo un incidente di questa portata a pochi giorni dalla scomparsa di Berlusconi moltiplica la paura, già molto alta, che senza più il padre padrone a tenere le redini il formicaio azzurro sia destinato a impazzire.
Una pezza in qualche modo si metterà in entrambi i casi. Ieri sera proliferavano le opzioni su come evitare il voto sul Mes sino a dopo la pausa estiva e alla fine una di quelle vie traverse verrà probabilmente battuta. Ma la giornata nera di Giorgia Meloni si chiude con la sensazione netta e per lei ben poco piacevole che per il governo i guai, dopo mesi di sostanziale bonaccia, siano appena cominciati.