Parla la presidente

“L’Italia di Meloni ha dimezzato gli aiuti in Africa”, la denuncia di Emilia Romano di Oxfam Italia

«Nel primo trimestre di quest’anno il Mediterraneo ha registrato il record di vittime in mare a causa dei decreti contro le ong. E l’Europa appalta a Paesi come Libia e Tunisia la caccia ai migranti»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli - 22 Giugno 2023

CONDIVIDI

“L’Italia di Meloni ha dimezzato gli aiuti in Africa”, la denuncia di Emilia Romano di Oxfam Italia

Dare un senso alla propria vita è contribuire a salvarne tante altre. Un impegno che Oxfam porta avanti ogni giorno. Una quotidianità solidale. Dalla parte dei più indifesi, dei dimenticati, di quanti scappano da guerre, pulizie etniche, stupri di massa, povertà assoluta, sfruttamento inumano, disastri ambientali. Dallo Yemen alla Siria, dalla rotta balcanica a quella del mar della morte (il Mediterraneo), Oxfam c’è. E di Oxfam Italia Emilia Romano è la combattiva Presidente.

Cimitero-Mediterraneo. Le stragi di migranti continuano, così come il vergognoso rimpallo delle responsabilità. L’Europa alla sbarra.
È l’ennesima strage annunciata quella che è avvenuta nel Peloponneso, tragedie che si consumano regolarmente alle frontiere terrestri e marittime dell’Europa. Basti pensare che il primo trimestre di quest’anno ha raggiunto il record di vittime nel Mediterraneo centrale in 6 anni, e dal 2014 sono oltre 25mila. È evidente l’impatto che su questo ha avuto la recente normativa che ostacola i salvataggi in mare ad opera delle Ong. Migliaia di vite a cui è stato negato il diritto di costruirsi un futuro migliore, annegate per inerzia o deliberata volontà di un’Europa che in questo modo annega anche i suoi stessi valori fondanti. Il valore della dignità, della libertà, dell’uguaglianza come sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dalla Ue. Non è questa l’Europa in cui ci riconosciamo, e non tolleriamo più esternazioni retoriche che non si riflettono in una drastica inversione di rotta nella gestione delle politiche migratorie. Riconoscere il fenomeno migratorio come strutturale e non emergenziale, legato alle guerre, ai cambiamenti climatici, alla fame, e a tutte quelle ragioni politiche ed economiche che spingono le persone a lasciare i propri Paesi, è un prerequisito fondamentale per governarlo. Ma bisogna fare di più, riconoscendo nelle migrazioni un fattore di sviluppo. Per questo, oltre alla doverosa e urgente istituzione di un programma europeo di ricerca e salvataggio per salvare vite, chiediamo l’allargamento dei canali di ingresso legale in Europa.

Sulla sponda Sud del Mediterraneo, l’Europa e l’Italia cercano “gendarmi” a cui affidare il lavoro sporco dei respingimenti e l’esternalizzazione delle frontiere: il modello applicato in Turchia e Libia, si espande alla Tunisia.
L’Ue e i suoi Stati membri dimostrano da tempo la volontà di esternalizzare il controllo delle frontiere stringendo accordi con Paesi terzi come Turchia, Libia, ora Tunisia, a cui di fatto si delegano le responsabilità europee nei confronti delle persone in cerca di sicurezza in Europa. Nel caso dell’accordo Italia-Libia abbiamo denunciato casi di tortura e violazione dei diritti umani di ogni genere che coinvolgono anche donne e minori, detenuti nei lager libici e vittime di soprusi indicibili. Un accordo costato decine di milioni ai cittadini italiani, rinnovato per altri 3 anni e che non ha nemmeno l’effetto di bloccare gli arrivi che da gennaio ad oggi sono oltre 53.000. La strada intrapresa dal nuovo Patto europeo su migrazioni e asilo, i cui negoziati sono in corso a Bruxelles, marca ancora una volta questo orientamento dei Governi volto a rafforzare i meccanismi di respingimento dei migranti e di esternalizzazione delle frontiere, minando di fatto il diritto di asilo. Invece di tutelare i diritti delle persone in fuga, se ne riducono gli standard di protezione, prevedendo ad esempio lunghe detenzioni in centri chiusi predisposti nelle zone di frontiera e la possibilità di rimpatriare in Stati giudicati sicuri, ma che in realtà non lo sono affatto. Si ripropone sostanzialmente l’esatta copia del modello disumano applicato fino ad oggi nelle isole greche, che finirà solo per rinchiudere altri rifugiati, bambini compresi, in centri simili a prigioni, negando il loro fondamentale diritto di asilo nel territorio dell’Unione.

La presidente del Consiglio insiste col “Piano Mattei per l’Africa”. Oxfam in Africa è impegnata da sempre. Declini lei un “Piano Africa” nei suoi punti basilari.
Qualsiasi piano deve partire dal rispetto degli impegni presi nelle sedi internazionali. A cominciare dai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, che, come certificano gli ultimi dati Onu, sembrano destinati al fallimento. Parliamo dello sradicamento della povertà estrema o dell’obiettivo Fame Zero. Volendo elencare alcune priorità partirei dalla ristrutturazione del debito. Molti Paesi a basso reddito si trovano attualmente in una condizione di forte tensione, se non di vera e propria crisi del debito: la quota di entrate che viene destinata al rimborso o ai servizi del debito è estremamente elevata. Si tratta, quindi, di una vera e propria erosione di risorse esistenti generate nei Paesi, ma che non possono essere usate per finanziare sanità, educazione, sviluppo sostenibile. Altro ambito di intervento fondamentale è quello dell’aumento di risorse destinate all’aiuto pubblico allo sviluppo. È sconcertante guardando agli ultimi dati Ocse-Dac constatare che gli aiuti all’Africa diminuiscono del 7% a livello globale e l’Italia li ha più che dimezzati. Nel nostro Paese il trend di aumento delle risorse destinate all’aiuto pubblico allo sviluppo è solo fittizio in quanto si tratta di un aumento principalmente dovuto alla quota dei costi di accoglienza dei richiedenti asilo in Italia, costi che, seppur contabilizzati, nulla hanno a che vedere con risorse destinate ai Paesi poveri. Investire più risorse nel raggiungimento dell’impegno dello 0.70% rispetto al reddito nazionale lordo in cooperazione allo sviluppo, dovrebbe essere uno dei punti cardine di qualsiasi piano per l’Africa. E non meno importante è anche l’indirizzamento di queste risorse in ambiti chiave come il rafforzamento dei sistemi sanitari, la cui fragilità è drammaticamente emersa con ancora più plasticità durante la pandemia da Covid-19, il sostegno all’agricoltura di piccola scala fonte di reddito per tanti produttori che sono tra le prime vittime dell’insicurezza alimentare e della fame. Infine, è decisivo che siano stanziati tutti gli aiuti promessi per consentire l’adattamento ai cambiamenti climatici. Basti pensare, che entro il 2050 almeno 216 milioni di persone saranno costrette a migrare per questa ragione, mentre in questo momento in Africa orientale 1 persona ogni 28 secondi rischia di morire di fame a causa della più grave siccità degli ultimi 40 anni.

Le guerre ignorate. Quelle in corso e quelle che hanno provocato, e continuano a provocare, apocalissi umanitarie: Yemen, Siria, Afghanistan, Sahel…Eppure si parla e scrive di una sola guerra: quella in Ucraina. Perché?
Siamo chiaramente di fronte ad una crisi, quella Ucraina, percepita come più vicina e che nell’ultimo anno e mezzo ha fatto da detonatore nell’accelerare la crisi alimentare globale, con l’aumento esponenziale dei prezzi di cibo ed energia, ma il rischio è che emergenze devastanti come quella in Yemen e Siria o in Africa sub-sahariana, vengano dimenticate del tutto e dalla comunità internazionale non arrivino più le risorse necessarie a salvare milioni di vite che in questo momento sono appese ad un filo. La dimostrazione plastica di questo effetto lo abbiamo avuto solo pochi giorni fa in occasione della Conferenza Ue sulla crisi siriana. Di fronte ad un paese devastato da oltre 12 anni di guerra e dal più grave terremoto della storia recente, sono stati annunciati appena 5,6 miliardi di euro sotto forma di sovvenzioni e 4 miliardi come prestiti per sostenere i siriani all’interno del Paese e nei paesi vicini. Una goccia nel mare, di fronte ai reali bisogni di una popolazione costretta ogni giorno a scelte impossibili per poter sopravvivere, dove la malnutrizione ha raggiunto i livelli più alti dall’inizio del conflitto, con oltre 12 milioni di persone colpite. Come Oxfam, siamo al lavoro in Siria dal 2013 e dallo scoppio del terremoto abbiamo soccorso oltre 400mila persone portando acqua pulita e servizi igienici agli sfollati, allestendo i rifugi e ripristinando le infrastrutture idriche. Ma i bisogni sono enormi e continuano ad aumentare. Per questo abbiamo lanciato un appello per sostenere la nostra risposta su oxfam.it”.

Cambiamenti climatici, riarmo, l’apartheid dei vaccini nei confronti del sud del mondo. Oxfam li ha puntualmente documentati e denunciati, svelando un mondo dove sempre in meno detengono sempre di più.
Dieci anni fa Oxfam ha lanciato per la prima volta l’allarme sui livelli intollerabili raggiunti dalle disuguaglianze. Oggi, come allora, sono sempre loro, i più ricchi, a trarre, nel contesto della pandemia e della crescita dell’inflazione, i maggiori benefici. Questa disuguaglianza si riflette anche nell’esercizio del potere, determinando maggiori responsabilità in chi ha di più a discapito di chi ha meno e ne subisce le conseguenze. I Paesi più poveri del mondo sono quelli che meno contribuiscono al cambiamento climatico, eppure ne sono i più colpiti. Sono meno equipaggiati per difendersi dagli eventi climatici estremi, eppure ricevono aiuti insufficienti dai Paesi più ricchi. In tema di armamenti, non a caso i primi cinque Paesi al mondo per export di armi sono tra le maggiori potenze mondiali: Stati Uniti, Russia, Francia, Cina e Germania. Da soli sono responsabili dei tre quarti del commercio globale. L’Italia non è da meno, attestandosi sesta tra i grandi esportatori. Altrettando eclatante il caso delle disuguaglianze di accesso ai vaccini durante la pandemia da Covid-19 i cui divari tra i vaccinati nei Paesi ricchi e i vaccinati nei Paesi poveri erano tali da far evocare una situazione di apartheid vaccinale. Lavorare nel contrasto alle disuguaglianze, per Oxfam, è identificare le cause a monte di fenomeni come quelli summenzionati e scardinare quei meccanismi che alimentano le disuguaglianze per dare impulso alla creazione di società più eque, mobili e dinamiche”.

22 Giugno 2023

Condividi l'articolo