Farse di governo
Sul Mes la Meloni adotta il vecchio trucchetto del rinvio
Che la maggioranza avrebbe puntato sul rinvio e avrebbe evitato di esporsi con un voto sulla ratifica della riforma lo sapevano già tutti
Politica - di David Romoli
Da dramma la ratifica del Mes si trasforma in farsa, uno di quei classici giochi di prestigio della politica italiana nei quali il trucco c’è e si vede. Lo vedono tutti infatti ma tutti fingono di stupirsi. Che la maggioranza avrebbe puntato sul rinvio e avrebbe evitato di esporsi con un voto sulla ratifica della riforma del Mes lo sapevano tutti già dalla vigilia.
Ieri la commissione Esteri della Camera ha votato il testo base della proposta di ratifica della riforma del Fondo Salva Stati firmata dal Pd fresco di defenestrazione dall’ufficio di presidenza Piero De Luca. Le proposte erano due, equivalenti, l’altra la aveva presentata Iv. Bisognava sceglierne una ed è stata scelta quella di De Luca, approvata col voto del Pd stesso e del Terzo Polo. I 5S si sono astenuti ma Conte segnala che in questo caso astensione sta per parere negativo: il Movimento è contrario alla ratifica. La maggioranza non c’era in commissione, i rappresentanti del governo neppure.
Ora il testo passerà alla commissione Bilancio per il necessario parere, poi tornerà in commissione Esteri per il mandato al relatore e qui si arenerà. Non è ancora stato definito come evitare l’arrivo in aula previsto per il 30 giugno, ma il rinvio in è già certo. L’opposizione, comprensibilmente, strilla contro “il governo allo sbando”, accusa la premier di fuggire per evitare la spaccatura della sua maggioranza divisa. Ma le divisioni interne alla destra, che pure ci sono, in questo caso non sono determinanti: l’intera coalizione di destra è infatti armoniosa e concorde nell’evitare una decisione adesso.
Fi, per esempio, sarebbe favorevole alla ratifica, ma Tajani specifica che qualche dubbio “sul regolamento c’è”, il Parlamento europeo e la Commissione non sono adeguatamente coinvolti nelle decisioni, finisce che i Paesi più forti, e dunque dotati di maggiore influenza sul board del Mes stesso, decidono tutto da soli. Però quello slittamento dei poteri decisionali dalla Commissione al board del Mes è l’anima della faccenda: come si possa essere d’accordo con una riforma e allo stesso tempo criticarne i capisaldi lo sa solo Tajani. La Lega invece è ferreamente contraria: “Non è uno strumento utile al Paese in questo momento”, taglia corto Salvini. “Ancora il Mes? La nostra posizione è chiara”, sbotta il vicesegretario Crippa.
Il capogruppo Romeo, a porte chiuse e con la dovuta discrezione, conferma ma fa capire che se poi la decisione della premier e del ministro Giorgetti, numero due della Lega, fosse favorevole alla ratifica, a suo tempo e con le dovute contropartite, non sarebbe la fine del mondo. E neppure del governo. FdI è appena meno blindata del Carroccio ma tra i Fratelli la decisione inappellabile spetta solo alla leader, la quale per il momento frena a tavoletta. Non perché non sappia che alla fine l’Italia dovrà concedere la sospirata firma ma perché mira al baratto: Mes sì ma solo con un patto di stabilità ammorbidito, in concreto con le spese per la transizione verde e quella digitale depennate dal deficit. E magari con un segnale anche sull’Unione bancaria, anche se su quel fronte l’opposizione della Germania sembra inamovibile.
La sceneggiata di ieri, insomma, è il necessario preludio alla decisione che la conferenza dei capigruppo prenderà probabilmente il 28 giugno: ci rivediamo a settembre. A quel punto sui tavoli europei ci sarà in dirittura d’arrivo la riforma del patto di stabilità, che tra le tante partite in corso a Bruxelles è per l’Italia una delle più essenziali. Sarà anche stata assunta, o forse sarà anche quella ancora al centro delle trattative incrociate, l’altra scelta per l’Italia fondamentale, quella sulla revisione drastica del Pnrr. Sulla carta la decisione dovrebbe essere presa il 31 agosto ma si sa che a Bruxelles lo slittamento dei tempi in questi casi è prassi.
Parlare di maggioranza allo sbando è un’esagerazione, in compenso affermare che nei prossimi due o tre mesi Giorgia Meloni si giocherà tutto, non a Roma ma a Bruxelles, non lo è affatto. Va però sottolineato che se il Mes è per la maggioranza una via crucis, anche per l’opposizione non si tratta di una passeggiata. La spaccatura tra Pd e M5S non è un particolare trascurabile: costruire un’alleanza quando si è divisi su faccenduole come la guerra o le regole europee, perché a quelle rinvia la diatriba sul Mes, non è precisamente facile.