L’Unità 23 aprile 1975
La lunga battaglia dei comunisti in Parlamento e nel paese per il diritto famigliare
La lunga battaglia dei comunisti in Parlamento e nel paese per rinnovare il diritto famigliare
Archivio Unità - di Paolo Persichetti
Il 19 maggio 1975 il parlamento approva il nuovo diritto di famiglia, una legge che ha cambiato profondamente la vita delle donne italiane e quella delle bambine e dei bambini nati da rapporti extraconiugali, considerati per questo illegittimi. Nuovi figli di coppie separate che non potevano essere riconosciuti o peggio figli della «colpa», nati da un adulterio, celati, nascosti, marchiati.
Kant in una pagina della Metafisica dei costumi, dove affronta il regime giuridico della famiglia, del matrimonio e della donna, scrive pagine terribili sui figli nati da adulterio, paragonati a merce avariata che subdolamente si infiltra nella società corrompendola. Un male da tenere fuori della vita civile e giuridica. Dei minus habens, semplicemente «bastardi» nel linguaggio popolare e le loro madri delle poco di buono. Quello che oggi nelle grandi metropoli occidentali viene vissuto come un segno distintivo di emancipazione, la famiglia monoparentale, fino a pochi decenni fa era uno stigma sociale che segnava profondamente la vita delle «ragazze madri», giovani donne senza compagno, abbandonate o che avevano allacciato rapporti con uomini sposati.
Guardate con disapprovazione, poste sotto tutela, rischiavano di perdere i figli da un momento all’altro, sottratti e rinchiusi in istituti dove si allevavano neonati illegittimi o abbandonati, i brefotrofi. Chi scrive è stato uno di quei bambini «illegittimi» divenuti improvvisamente «naturali» col nuovo diritto di famiglia. Avevo 13 anni e la definizione «naturale» per molto tempo ancora ha suscitato in me un certo divertimento, l’illegittimo infatti sembrava d’improvviso divenuto più genuino e vero del figlio regolare anche se la nuova legge, che assicurava «ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale», non eliminava tutte le differenze.
La riforma giungeva al termine dopo un iter molto travagliato lungo nove anni. Un contributo notevole al suo compimento era venuto del referendum dell’anno precedente che aveva confermato la legge sul divorzio. La sconfitta delle istanze reazionarie del fronte «clerico-fascista», come veniva definito all’epoca, aveva liberato energie trasformatrici. La rivoluzione entrava in famiglia, spariva la plurimillenaria figura del pater familias tramandata dal diritto romano, un arcano giuridico del patriarcato. Venivano modificati gli articoli del codice civile del 1942, adeguandoli al dettato costituzionale, in particolare all’articolo 29 secondo il quale «il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi».
La moglie non seguiva più la condizione civile del marito, “assumendone il cognome con l’obbligo di accompagnarlo ovunque questi crede opportuno di fissare la sua residenza”, come recitava l’art. 144 del codice civile e non perdeva più la cittadinanza se sposava uno straniero. Vale la pena sottolineare, perché la memoria non è mai neutra, che a questo salto di civiltà, oggi patrimonio comune, si oppose ferocemente la destra, la stessa che oggi governa questo paese. Una destra che si è emancipata malgrado se stessa, grazie ad una legislazione sui diritti che aveva sempre osteggiato.
Bisogna ricordarsene soprattutto oggi che altre forme di relazioni tra persone si sono affermate, dando vita a famiglie omoparentali che nuovamente la destra osteggia in nome di una visione della famiglia che pochi decenni prima combatteva. La famiglia «naturale» di cui la destra favoleggia oggi altro non è che la famiglia nata con la legge del 1975.
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L’Unità 23 aprile 1975
La riforma del diritto di famiglia è legge dello Stato. L’ha approvata in via definitiva, ieri pomeriggio a conclusione di un dibattito assai serrato, la commissione Giustizia della Camera che, a grande maggioranza, ha votato la legge nel testo modificato dal Senato.
Sul provvedimento, che il ministro della giustizia Reale si è impegnato a pubblicare immediatamente sulla Gazzetta Ufficiale – appena gli giungerà il «messaggio» della Camera – al termine di battaglie che hanno caratterizzato tre legislature, sia a Montecitorio che Palazzo Madama vi è la stata la convergenza dei consensi della grandi forze popolari – comunista, socialista, cattolica – e di quelle repubblicane e socialdemocratiche, per contro, si è registrata l’emarginazione della estrema destra fascista, attestata su posizioni reazionarie e conservatrici.
La legge innova profondamente la normativa sui rapporti fra coniugi, sulla contrazione del matrimonio, sul regime patrimoniale, sulla separazione. In definitiva «salta» il vecchio impianto della legislazione familiare, pur se non è stato possibile evitare taluni limiti.
Il voto favorevole dei deputati comunisti è stato annunciato dalla compagna Nilde Jotti, la quale ha anzitutto rilevato, dopo aver ricordato polemicamente le tenaci resistenze di una certa Dc di dieci anni fa, che la riforma attua finalmente principi fondamentali della costituzione. La legge risponde ai mutamenti intervenuti nella società, nella quale è cresciuto il senso della parità fra uomo donna e della pari responsabilità di fronte alla famiglia e alla società. Ed è cambiato anche col cambiare del mondo, il rapporto fra gli esseri umani, per cui è andata accentuandosi la necessità della solidarietà e della tolleranza.
La compagna Jotti ha quindi posto in rilievo gli elementi più qualificanti della riforma, quali la parità fra i coniugi e la eguale responsabilità nella conduzione della famiglia e nei confronti dei figli, la comunione dei beni, il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio ed ha affermato che i comunisti sono lieti di essere stati «parte creatrice» della riforma. Non si tratta qui di calcolare – ha sottolineato la dirigente comunista – quanto ognuno di noi abbia dato alla elaborazione della riforma. Si tratta piuttosto di rilevare come, pur attraverso momenti travagliati – lo scontro sulla legge di divorzio e nel referendum abrogativo – che hanno visto divise e su opposte sponde le grandi forze popolari e democratiche, il processo di affermazione unitaria per un nuovo diritto di famiglia sta avanzando e sia stato, alla fine, vittorioso contro tutte le posizioni conservatrici e reazionarie.
Questo sottolineiamo – ha detto la compagna Jotti – anche se non perdiamo di vista che le posizioni arretrate hanno lasciato nella legge il loro segno. Respingiamo infatti la parte della legge che impone come obbligo la fedeltà coniugale mentre alla Camera avevamo stabilito che questo deve essere un impegno partecipe dei coniugi. E critichiamo non tanto la surrettizia introduzione tramite il dispositivo della sentenza del concetto di colpa nella separazione, quando le conseguenze che da esse si fanno derivare in modo particolare nel rapporto con i figli.
Tuttavia – ha concluso la compagna Jotti – il nostro voto è favorevole e convinto sicuro, perché al di là di taluni limiti i principi fondamentali della riforma restano e liquidano finalmente dalla nostra legislazione, a trent’anni dalla Liberazione, un ciarpame ingiusto, violento e arcaico che era un disonore per il nostro paese
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Una riforma che «non costa» allo Stato, ma che «rende» molto a tutti componenti della famiglia sul piano dei princìpi e sul piano pratico, nella vita quotidiana e in prospettiva. Questo è il valore del nuovo diritto familiare che scalza il vecchio codice civile, con tutte le sue regole dettate da una concezione del nucleo familiare risalente a Napoleone. La famiglia con la legge approvata ieri, non è più vista come una piramide che ha al vertice il marito «capo» e monarca assoluto, padre e padrone nello stesso tempo.
Riconoscendo i diritti delle donne e accogliendo i principi costituzionali, la riforma innanzitutto pone la parità tra i coniugi e colloca in primo piano gli interessi morali e materiali dei figli. L’unità della famiglia trova d’ora in poi la sua vera forza e la sua ragione d’essere nel consenso, non più nell’autoritarismo, mentre viene riconosciuta l’autonoma personalità (e i diritti-doveri) di ciascuno dei suoi componenti, il marito, la moglie, i figli.
La legge non imponendo un «modello», riconosce la mutata realtà della famiglia italiana e nello stesso tempo è aperta al suo sviluppo: da questa conquista sul piano giuridico emerge infatti l’urgenza di altre conquiste sul piano politico e sociale per dare una risposa a tutte le esigenze del nucleo familiare, dei cittadini d’oggi. Da questa riforma, dunque, viene la sollecitazione per altre riforme: dalla famiglia rinnovata viene la spinta al rinnovamento della società.