Il gioco del cerino
La maggioranza si sgretola, Meloni minaccia la crisi di governo
Il Carroccio dice che spetta alla premier dare la linea per lasciare agli alleati il peso della decisione. M c’è chi ipotizza invece di uscire dall’aula al momento del voto decisivo
Politica - di David Romoli
Si scrive Mes, si legge caos. Confusione massima nella maggioranza e in buona parte anche nell’opposizione, dove però, non essendoci scelte di governo da fare, tutto risulta molto stemperato. Trattasi di caos e non di semplice divisione o persino di una spaccatura: nella maggioranza e nel governo ci sono anche quelle ma la situazione è infinitamente più nebbiosa e sfuggente.
Dicono che Giorgia Meloni sia inviperita con Salvini, al punto da paventare un voto anticipato che oggi metterebbe la Lega in ginocchio ma sarebbe un salto nel buio per tutti. Eppure la premier e il capo leghista sull’argomento del contendere, la ratifica della riforma del Mes, la pensano allo stesso modo: per ora non se ne parla, poi si vedrà. Quando? Il più tardi possibile. Si parla di settembre ma novembre-dicembre è più realistico. Dicono che la premier sia irritatissima anche con il ministro Giorgetti, per quel “parere tecnico” del Mef che promuove la riforma a pieni voti. Questo avrebbe più senso se non fosse che immaginare una premier del tutto all’oscuro di quel parere è poco credibile, senza contare la contraddizione insanabile tra le due presunte sfuriate.
Il mistero si spiega in un modo solo: come uscire dal vicolo cieco non lo sa nessuno, bisognerebbe muoversi con massima cautela invece si verifica il contrario e a complicare le cose contribuiscono gli interessi di bottega. Quando Romeo, capogruppo leghista, assicura che la Lega resta contrarissima alla ratifica però “sul Mes non cade nessun governo e a dare la linea del governo sarà Meloni” sta chiedendo alla premier di assumersi lei la responsabilità di sconfessare quanto sin qui affermato per anni. Si capisce facilmente perché la premier in questione non ha alcuna intenzione di dare agli alleati-competitor questa soddisfazione e la prenda anzi malissimo.
D’altra parte quando Fitto ripete che “la questione si risolve inserendola in un contesto più ampio, con unione bancaria e riforma del patto di stabilità” sta invocando per l’ennesima volta l’Europa perché dia un segnale tale da permettere alla destra italiana di ingranare la retromarcia senza perdere la faccia. È l’obiettivo di FdI, che tra tutti i partiti della destra è quello che maggiormente punta sul rinvio: un segnale dall’Europa come l’impegno, una volta varata la riforma così com’è perché i tempi stretti non permettono altro, a rimetterci mano allargando il campo a qualche passo avanti sull’unione bancaria. Potrebbe essere una via d’uscita ma per costruirla ci vuole accortezza diplomatica. Lo sgangherato spettacolo di questi giorni certo non aiuta.
Senza una qualche quadratura del cerchio a Bruxelles, il vicolo cieco si riproporrà tra qualche mese. La parola d’ordine, nella destra, è Exit Strategy, in concreto una trovata per tirarsi fuori dai guai. Nessuno ha idea di quale potrebbe essere e proliferano ipotesi fantapolitiche. Nei ranghi di Fi, il capogruppo Barelli assicura che alla fine tutta la maggioranza voterà insieme, ma nella maggioranza c’è addirittura chi ipotizza l’abbandono dell’aula dell’intero centrodestra al momento del voto: “Così ad approvare la riforma sarà solo la sinistra”. Il solo fatto che molto autorevoli esponenti della maggioranza possano immaginare una simile follia dice tutto.
In questo clima già molto surriscaldato piove come una palla di fuoco il caso Santanchè. Non è uno scandalo come tanti, o come quello del leghista Pini che in realtà di danni d’immagine ne fa pochissimi. È molto peggio, perché la ministra coinvolta è molto vicina alla premier e il presunto fattaccio lambisce un cavallo di battaglia come il Made in Italy. Se le accuse si rivelassero fondate l’onda toccherebbe anche l’inquilina di Palazzo Chigi, che infatti in questo caso furibonda lo è davvero. La Lega, a conferma della scelta di riprendere una durissima competizione diretta con FdI, martella.
Il capogruppo alla Camera Molinari, dopo aver definito il Mes “strozzinaggio” tanto per rendere la faccenda ancora più complicata, infierisce sulla ministra del Turismo: “Aspettiamo che venga in Parlamento a spiegare, anche se i processi non si fanno in tv”. Il collega capo dei senatori Romeo concorda: “Nessuna richiesta di dimissioni, noi siamo garantisti. Però in aula la questione si potrebbe chiarire ulteriormente”. Anche FI, o almeno la minoranza ronzulliana, aggiunge con Mulè il suo carico: “È giusto che la ministra spieghi i contorni della vicenda perché non ci siano dubbi”. Per Giorgia Meloni, insomma, si profila una fase tutt’altro che facile. C’è il rischio che prima o poi quella che sinora è solo una battuta, probabilmente anche apocrifa, diventi una minaccia reale: “Basta o vi porto alle elezioni”.