Il Cremlino trema
Cosa è successo in Russia: perché Prigozhin e la Wagner si sono fermati a pochi chilometri da Mosca
Il bielorusso Lukashenko, dopo colloquio con il turco Erdogan, si accredita come mediatore e sostiene di aver convinto la Wagner a fermarsi
Esteri - di Angela Nocioni
“Torniamo indietro per non spargere sangue”. Così il capo dei miliziani della Wagner, Prigozhin, dopo esser arrivato con i carri armati non troppo distante da Mosca. Tanto che gli edifici pubblici risultano tutti evacuati, i mitragliatori piazzati sull’autostrada e gli unici esortati ad uscire in strada nella capitale sono gli incaricati di far sparire le centinaia di cartelloni pubblicitari della Wagner con la scritta: arruolati!
Putin dato in serata al Cremlino, anche se il suo aereo personale nel primo pomeriggio era stato annunciato in volo verso San Pietroburgo.
Il bielorusso Lukashenko si autoproclama mediatore e assicura di aver convinto i ribelli a fermarsi. Il capo dei trentamila mercenari della Wagner, Yevgeny Prigozhin, è accusato dal Cremlino di aver ordinato ai suoi una ribellione in armi contro Putin. E’ accaduto dopo tre mesi di braccio di ferro con la cupola militare russa e di accuse di Prigozhin al capo della Difesa Shoigu. Anche se l’interpretazione delle iniziali mosse della Wagner poteva non escludere l’intenzione di Prigozhin di dare una spallata soltanto ai vertici delle forze armate, il fatto che il Cremlino l’abbia condannata subito come un tradimento ha definitivamente consacrato l’ex chef di Putin – perché cuoco di Putin era Prigozhin finché i soldi finiti nelle sue tasche non l’hanno trasformato nel capo di una milizia – come l’uomo che ha osato sfidare il presidente russo con un colpo di Stato.
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Interno o esterno, si vedrà. Venerdì sera i miliziani della Wagner, dopo aver annunciato via Telegram “un attacco con missili” con “molte vittime” contro loro campi di addestramento e aver definito ciò un “golpe del Ministero della Difesa russo”, hanno attraversato la frontiera ucraina verso la Russia e hanno occupato, apparentemente senza resistenza alcuna, la città di Rostov. Hanno preso il controllo delle installazioni militari in città, sede del comando di chi combatte in Ucraina. Come hanno potuto prenderla senza incontrare resistenza? Questo dettaglio clamoroso lascia spazio all’ipotesi che la disobbedienza del capo della Wagner sia stata pianificata insieme a forze interessate a aprire un fronte interno russo sotto i piedi di Putin così da obbligarlo a occuparsi di mantenere il potere a Mosca e a mollare la guerra in Ucraina.
O che a convincere la Wagner a muoversi contro Putin, con tutti i rischi conseguenti, possano essere stati poteri interni interessati a chiudere la guerra in Ucraina prima di perdere ancor più di quanto perso finora. Sono numerosi gli oligarchi russi ad aver molto ancora da perdere da un impantanarsi di Putin in Ucraina. Interessante il messaggio di sostegno a Putin del Capo del Consiglio di sicurezza, Médvev, che parla di “nemici interni ed esterni” prima di ribadire che il capo in Russia “é uno, non sono nè due, né tre”.
Fatto sta che da Rostov sabato mattina, dopo aver annunciato la presa delle installazioni militari senza aver dovuto combattere contro nessuno che si sia interposto a difenderle, la Wagner è partita in colonna a bordo di carri armati e camion militari in direzione di Mosca. A mezzogiorno i miliziani della Wagner erano a 500 km da Mosca e lì sono stati fermati dai primi veri scontri a fuoco con i militari fedeli a Putin. Testimoni hanno confermato alla agenzia Reuters che nel primo pomeriggio elicotteri dell’esercito russo hanno aperto il fuoco del cielo sui tank della Wagner fermandoli sulla autostrada M14. Su quella autostrada all’entrata di Mosca sono stati piazzati mitragliatori le cui foto sono state mostrate da giornali di Mosca. In serata erano a poca distanza dall’ingresso sud di Mosca.
Putin è andato in televisione, ha accusato gli insorti di tradimento e ha detto di avere perfettamente sotto il suo comando l’esercito per ristabilire l’ordine. La risposta via audio di Prigozhin a quel punto è stata: “non ci arrenderemo, sarà guerra civile”. Entusiasmo a Kiev. Per l’intera giornata è stato un crescendo di toni. Di giubilo, di intimazioni di resa, di pressione sui Paesi vicini. Il presidente ucraino Zelensky si è affrettato a dire che la rivolta “dimostra la ovvia debolezza russa” che “quanto più a lungo Mosca manterrà le sue truppe in Ucraina, quanto più caos e dolore causerà a se stessa per il prossimo futuro”. Frase che sembra di qualcuno non certo di star vincendo la guerra nonostante il portavoce del comando sud delle forze ucraine assicuri di aver liberato posizioni nel Donbass conquistate dai russi nel 2014. Il ministro degli esteri Kuleba martella dalla mattina di ieri tutti i paesi in orbita russa con il seguente messaggio: “Tutti quelli che hanno detto che la Russia era troppo forte per perdere guardino adesso cosa sta succedendo”.
“Dare subito all’Ucraina tutte le armi di cui ha bisogno. Dimenticarsi della amicizia o degli affari con Mosca. È finita. È ora di smettere di appoggiare il male”. Richiesta che sembrava inizialmente respinta da Ankara. Erdogan, secondo fonti russe non smentite dal presidente turco, avrebbe dato il suo “pieno appoggio” a Putin in una telefonata nel pomeriggio. Poi però sono uscite notizie di una sua disponibilità a fare da mediatore tra il Cremlino e la Wagner, così come si era dichiarato pronto a farlo tra Mosca e Kiev (mai gratis, Erdogan media su qualcosa cosa dietro esosa ricompensa politica, chiedere ai kurdi per la questione Finlandia nella Nato).
Da Washington smilzo messaggio di Blinken: “Stiamo tenendo la situazione monitorata insieme ai nostri alleati”. Si sono precipitati a dirsi a fianco di Putin i leader dei territori ucraini della Crimea e del Donetsk annessi da Mosca e, nel corso della giornata, sono andati rincorrendosi i singoli annunci di sostegno al Putin da molti deputati della Duma. Per ultimi, quelli del suo presidente.