Mariasilvia Spolato, la prima donna a fare coming out in Italia: finì a vivere per strada
Le sue foto a una manifestazione finirono su Panorama. Fu licenziata dalla scuola dove insegnava perché "indegna". Visse da amici, sui treni, per strada prima di morire, ormai clochard, nel 2018
Cultura - di Antonio Lamorte
Per aver espresso la sua omosessualità, per averla dichiarata in piazza perse il lavoro: cacciata dalla scuola dove insegnava per iniziativa del governo. E perse la famiglia, fu costretta ai margini della società, insultata e discriminata. Perché Mariasilvia Spolato è stata la prima donna a fare coming out in Italia. Era l’8 marzo del 1972, la festa della donna, a Roma durante una manifestazione femminista la donna aveva dichiarato la sua omosessualità. Le sue foto avevano fatto il giro d’Italia.
Un anno prima, nel 1971, aveva fondato a Roma il “Fronte di Liberazione Omosessuale” (FLO) che sarebbe confluito nel “Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano” (F. U. O. R. I.). Lo stesso anno aveva fondato con l’attivista e politico del Partito Radicale Angelo Pezzana la rivista “Fuori!”. Spolato veniva da Padova, dov’era nata il 26 giugno 1935. Era laureata in scienze matematiche, 110 e lode, e aveva trovato lavoro da insegnante in un Istituto a Frascati. Da ragazza aveva lavorato alla Pirelli.
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Sul giornale si firmava col suo nome, non era così frequente all’epoca. E si inventava slogan: “Lesbiche uniamoci” e “Donne impariamo ad amarci tra noi” e “Usciamo fuori”. Quell’ 8 marzo 1972 alla manifestazione stringeva un cartello del Movimento di Liberazione Omosessuale. Le fotografie furono pubblicate da Panorama e quella ragazza divenne nota in tutt’Italia. Un mese dopo era al Casinò di Sanremo, in protesta contro il primo Congresso internazionale di Sessuologia dedicato ai “Comportamenti devianti della sessualità umana”. Anche in quell’occasione non nascose nome e cognome in un’intervista a Il Corriere della Sera.
Quella ragazza che protestava come lesbica e attivista LGBT, che scendeva in piazza e scriveva articoli e libri era troppo per quell’Italia: troppo sfacciata, troppo libera. Aveva pubblicato La prima poesia lesbica del neofemminismo italiano e I movimenti omosessuali di liberazione. Venne sbattuta fuori dall’istituto tecnico dove insegnava per iniziativa del ministro Riccardo Misasi e del suo successore Oscar Luigi Scalfaro. Era “indegna” all’insegnamento. La famiglia l’allontanò, la sua compagna la lasciò. “Un giorno, con una scusa, mi hanno messo alla porta – racconterà alla rivista Jesus – Il mio schierarmi politicamente dava fastidio. Ho perso il posto, pian piano ho finito i soldi e da lì sono cominciate le mie storie”.
Girava per l’Italia, si appoggiava da amici, non aveva una vera casa, non riusciva a pagarsi l’affitto. Dormiva sui treni. “Vagavo di qua e di là, di città in città. La mia casa erano diventati i treni. Ormai mi conoscevano controllori e macchinisti di mezza Europa. Posavo il capo dove capitava. Mangiavo quello che riuscivo a procurarmi”. Si fermò a Bolzano, dove cominciò a vivere come clochard. Girava con una giacca a vento rossa e blu. La gente la vedeva leggere, ascoltare la musica o fotografare. Fu ricoverata in ospedale a causa di una grave infezione a una gamba. Dopo il ricovero venne portata nella casa di riposo Villa Armonia dove visse i suoi ultimi anni di vita.
È morta il 31 ottobre 2018 a Bolzano, aveva 83 anni. “Tutti gli operatori di Villa Armonia – ha raccontato il fotografo Lorenzo Zambello – sono rimasti colpiti e addolorati, Silvia aveva conquistato i cuori di tutti. Come fotografo è stato un grande onore per me poterla fotografare, infatti non amava essere ripresa. Questa primavera, mentre facevo ritratti degli ospiti di villa Armonia, è stata lei a venire da me”. Le sue spoglie si trovano a Bolzano, seppellita al cimitero di Oltrisarco. La sua lapide è stata finanziata da un anonimo, donata tre anni dopo la sua scomparsa. Una foto che la ritrae anziana con un berretto di lana blu e la bandiera arcobaleno con la frase di Simone Weil: “Nessuno ha amore più grande di colui che sa rispettare la libertà dell’altro”.