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Caso Santanché: Lega e Forza Italia usano la ministra per indebolire la Meloni

Caso Santanché: Lega e Forza Italia usano la ministra per indebolire la Meloni

Per Giorgia Meloni la settimana più nera da quando si è insediata a palazzo Chigi si è chiusa in bruttezza. Nella frenetica ridda di telefonate tra le capitali occidentali sgomente di fronte agli avvenimenti caotici e incomprensibili che si verificavano in Russia, Washington non ha avvertito alcuna necessità di consultare Roma. Non ai massimi livelli almeno: il segretario di Stato Blinken ha parlato con l’omologo italiano, il ministro degli Esteri Tajani. Biden però non ha avuto contatti diretti con Giorgia Meloni. Il presidente degli Usa ha cercato Sunak, Scholz e Macron e per quanto riguarda l’Europa si è fermato lì.

In un quadro mondiale così a rischio la mancata telefonata della Casa Bianca può sembrare una facezia, ma per l’Italia non lo è affatto. Il rapporto privilegiato con Washington è stato nei mesi scorsi una delle carte principali che la premier ha potuto spendere in Europa. La decisione non solo di denunciare l’antica vicinanza con Putin ma di assumere anche la linea più intransigente e vicina a quella dei falchi di Washington è una strategia precisa e sin qui vincente. Ma la diplomazia procede per segnali apparentemente minimi e il silenzio della Casa Bianca è per Roma una smacco che indebolisce la contrattulità dell’Italia a Bruxelles in un momento particolarmente delicato. Non solo per le partite di importanza capitale che si stanno giocando sulla revisione del Pnrr e sulla riscrittura del patto di stabilità ma anche, in un certo senso più modestamente, per il vicolo cieco del Mes.

Il rebus della ratifica italiana della riforma del Mes presenta aspetti surreali ma il quadro, se non serio, è in compenso grave. Il rinvio della discussione del progetto di ratifica presentato dal Pd consentirà di prendere tempo ma non indica in sé nessuna via per uscire dal vicolo cieco. La situazione, ridotta all’osso, è questa: tutti sanno che alla fine l’Italia dovrà ratificare la riforma, il ministro dell’Economia Giorgetti ha dato a voce garanzie precise all’Europa, il “parere tecnico” del ministero dell’Economia a favore della riforma serviva probabilmente proprio a rassicurare Bruxelles facendo capire che, sia pure tra qualche mese e non ora, la firma arriverà. Ma una formula perché il passo indietro non appaia come una resa ancora non la ha trovata nessuno e le incursioni di Salvini volte a lucrare voti mostrandosi come il solo vero nemico del Mes, rendono tutto ancora più difficile.

Insomma, per uscire dall’angolo Giorgia Meloni ha bisogno di un aiuto da Bruxelles, un appiglio che faccia apparire la firma italiana come esito di una trattativa e non di una imposizione. Ma ottenere quell’appiglio non è facile, anche solo per raggiungere quell’obiettivo minimo è necessaria una trattativa e la sufficienza degli Usa, che hanno mostrato di considerare solo Francia e Germania i Paesi guida della Ue, certo non aiuta l’inquilina di palazzo Chigi.

Poi c’è il caso Santanché che non è uno scandalo come tanti: indipendentemente dai risvolti legali della vicenda, tutti da verificare non essendo la ministra per ora neppure indagata, l’immagine che ne esce è diametralmente opposta a quella “popolare” che costituisce la spina dorsale della propaganda di Giorgia l’Underdog.

La ministra assicura di essere prontissima a chiarire in aula, anzi di “non vedere l’ora di farlo”. La sensazione che dà, però, è più che lievemente diversa. Tra uscite come “aspetto che la richiesta sia formalizzata” e “verrò quando i capigruppo mi convocheranno”, la sensazione, giusta o sbagliata che sia, è che non bruci affatto dall’impazienza.

La Lega e persino Fi non intendono perdere l’occasione per indebolire la premier e il caso rischia di diventare più spinoso che mai perché Santanchè non ha alcuna intenzione di dimettersi, è probabile che dal punto di vista legale non sia affatto tenuta a farlo e tuttavia la sua posizione si riveli politicamente molto imbarazzante se non addirittura insostenibile.

La premier è furiosa e lo si può capire. In un quadro simile anche le punture di spillo fanno male: come per esempio trovarsi dopo soli quattro mesi senza capo ufficio stampa. Mario Sechi andrà a dirigere Libero. Al suo posto dovrebbe subentrare Daniele Capezzone.