Merita qualche riflessione ulteriore quel che è successo l’altro giorno durante la conferenza stampa nella “Giornata mondiale contro le droghe” (gli addetti alla comunicazione del governo, in stile influencer, hanno usato il termine “evento”), con Giorgia Meloni erubescente e ringhiosa perché qualcuno ha osato evocare l’inefficacia e anzi gli effetti negativi delle politiche proibizioniste.
A Milano diremmo che “la pareva ‘n strascée de tant che la vusava” (sembrava uno straccivendolo, per quanto urlava). E non ingiustamente qualcuno ricorderebbe a Giorgia Meloni che la fiera rivendicazione della radice in Garbatella è cosa buona e onorevole, ma non quando rifiorisce in schiamazzo nell’espettorazione del presidente del Consiglio che sbrocca davanti a un cartello di protesta. Tanto meno quando l’interlocutore non è un sedizioso che ti insulta per strada, ma un parlamentare della Repubblica che ha qualcosa da dire sulla demagogica crociata antidroga che hai deciso di capeggiare.
Dice: vabbè, ma stai a guardare il tono della voce. No, quella è la forma, che pure conta qualcosa (specie quando non sei al comizio che denuncia gli usurai di Bruxelles, ma in sede e veste istituzionale). Poi c’è la sostanza. Perché Giorgia Meloni si è lasciata andare all’uso di quella megafonia da mercato pubblico per il rilascio di dichiarazioni inaccettabili soprattutto nel merito: spropositi che denunciano un livello di conoscenza spaventosamente mediocre degli argomenti trattati e che, pure spogliati della tracotanza con cui il presidente del Consiglio li propinava, espongono quest’ultima sua esibizione a un giudizio inevitabilmente pessimo e molto difficilmente appellabile.
Forse a Giorgia Meloni non è chiaro, ma non sta al governo – salvo che si tratti di un governo etico-autoritario – precettare la vita delle persone facendo la graduatoria delle cose che fanno male o bene, e soprattutto non sta al governo punire chi contravviene al precetto e premiare chi vi si uniforma. Ciò che mi fa bene o no me lo faccio prescrivere dal medico, dal prete, se ci credo, dallo psicoterapeuta: non da un ministro che mi spiega che “la droga fa male” (e allora?) e mi insegna come devo usare la mia libertà. E non che servisse la riprova, ma proprio intorno a questa categoria, la libertà, si è sbrigliato l’intendimento malsano di Giorgia Meloni: “Non riesco a capire”, ha detto nel corso dell’”evento” governativo, “come si faccia a considerare libertà qualcosa che ti rende schiavo”.
Lei non lo capisce e noi allora glielo spieghiamo: non sono fatti suoi. Non sono fatti del governo le libere scelte, eventualmente poco salutari, del cittadino, almeno sino a quando non si deciderà per legge che il sabato gli italiani debbono adunarsi nelle piazze a fare ginnastica e la sera appartarsi in perfetta forma fisica a dare figli alla Nazione, magari dopo aver guardato i programmi della Rai riformata al compito di “contribuire alla promozione della natalità” (mica è uno scherzo, ci han fatto un Consiglio dei ministri).
Glielo diciamo in un orecchio, gentile Giorgia Meloni, lo diciamo sottovoce a lei e al suo sodale di governo, Matteo Salvini, il quale in competizione populista con lei ha dichiarato che “chi spaccia droga deve marcire in galera”: loro no, per carità, ma i vostri figli hanno già o avranno presto amici e compagni responsabili dei comportamenti che voi giudicate criminali, e che le leggi proibizioniste che vi piacciono e che vorreste aggravare puniscono con il carcere. Gentile Giorgia Meloni, sono milioni gli italiani che assumono “droga”, milioni, e molti di loro sono gli amici e i compagni dei vostri figli.
Quando parlate di “spaccio” – lei, gentile Meloni, lei in duetto forcaiolo con Capitan Ruspa – non spiegate ai vostri elettori, perché siete ignoranti o in malafede, che il sistema proibizionista a voi caro considera illecita e punibile anche la cessione gratuita di cosiddetti stupefacenti, cioè il gesto che quotidianamente compiono gli amichetti e i compagni dei vostri figli: giovani da mandare in galera, secondo voi, ma guarda caso non dissuasi dal regime proibizionista che irresponsabilmente voi continuate a celebrare sull’assunto che “la droga fa male”. Come se ci fosse qualcuno a sostenere che invece fa bene.
L’azione di un governo nato su basi di improbabilità liberale si sta sviluppando in uno stillicidio di desolanti esperimenti reazionari, in una linea esecutiva che su ogni questione di diritto e di libertà la dice puntualmente sbagliata e la fa sistematicamente peggio. Un governo che almeno in teoria avrebbe potuto essere diverso da come si temeva potesse essere, e che in pratica ha deciso di essere peggio di quel che si temeva.