Le comunicazioni della premier
Meloni si scaglia contro i pacifisti, ma sul Mes fa la vaga…
Infervorata e aggressiva: “Il no alle armi? Propaganda!” e attacca “l’intellettuale dei 5s” De Masi. Sul fondo salva-stati parla di una “logica di pacchetto”, gelo della Lega
Politica - di David Romoli
Dovrebbero essere comunicazioni della presidente del consiglio in vista del Consiglio europeo di oggi e domani, quindi con tema relativamente circoscritto. Invece tutti, a partire dalla premier, parlano di tutto, in un caos cacofonico che ricorda più una confusa assemblea studentesca che non una solenne seduta del Parlamento repubblicano.
Del resto, con 24 punti all’odg del Consiglio, si può parlare davvero di qualsiasi cosa. Inevitabilmente sotto i riflettori finiscono soprattutto le voci più legate alle tensioni del momento, come il Mes e gli ulteriori rialzi dei tassi d’interesse deciso dalla Bce. Su tutti i fronti Giorgia Meloni va all’attacco, sempre infervorata e polemica, a tratti decisamente aggressiva. Come quando accusa Conte, proprio lei, di farsela con i dittatori.
Solo di un argomento si discute pochissimo, incidentalmente quello che terrà banco oggi e domani a Bruxelles: la guerra. Giorgia Meloni ribadisce la sua posizione, la più estrema e radicale tra i Paesi della Ue in occidente. Le argomentazioni sono quelle di sempre: “Difendere l’Ucraina significa difendere l’interesse nazionale”. Chi dice no all’invio delle armi lo fa “probabilmente per ragioni di propaganda” oppure, come nel caso del De Masi “intellettuale di riferimento dei 5S” secondo cui “è meglio vivere sotto una dittatura che morire”, per pura vigliaccheria. Nella sfida con la Wagner, che ha fatto balenare il rischio più temuto anche dal Pentagono, quello di una Russia implosa e in mano ai signori della guerra, Meloni vede solo lo smantellamento della “narrazione di Putin secondo cui in Ucraina tutto sta andando secondo i piani”.
In realtà Giorgia Meloni dice anche di più. Dopo aver reso omaggio alla necessità di cercare la pace, come da catechismo, ripete che non si può rinunciare a portare il criminale di guerra Putin di fronte a una Corte internazionale. La cosa sconcertante è che dal Pd di Elly Schlein nessuno mette in discussione una posizione così estrema, da guerra totale e richiesta di resa incondizionata. Neppure un sussurro da parte di Elly la Pacifista e del suo partito. Sul rialzo dei tassi, bersagliato già il giorno precedente dai ministri Salvini, Tajani e Urso, la presidente era stata a botta calda prudente, cioè muta. La nomina di Fabio Panetta a governatore di Bankitalia lascia vacante la poltrona del futuro governatore nel board Bce. E’ una postazione essenziale e non è automatica la sostituzione con un altro economista italiano.
L’italiana ha ottenuto garanzie informali dalla presidente della Bce Lagarde, che insiste per una donna, ma tutto è ancora in ballo e la prudenza è d’obbligo. In aula però la premier italiana rompe gli indugi e parla fuori dai denti: “E’ giusto combattere l’inflazione, tassa odiosa che colpisce i più poveri, ma la semplicistica ricetta dell’aumento dei tassi non appare la strada più corretta. Non si può non considerare il rischio che l’aumento dei tassi sia una cura più dannosa della malattia”. L’inflazione è un guaio ma Lagarde è peggio.
La segretaria del Pd commenterà non in aula, ma in un punto stampa e si limiterà ad accusare la premier di esercitarsi “nello scaricabarile”. In una situazione così complessa, è una dichiarazione di povertà sconcertante. Lagarde, che ieri ha confermato la decisione di mantenere la stretta fino a che l’inflazione non sarà tornata stabilmente al 2%, ha le sue ragioni: contro l’inflazione non c’è altro strumento. Il governo ha anch’esso le proprie ragioni senza drastici interventi correttivi, la stretta contro un’inflazione provocata dal rincaro energetico e dalla speculazione finirà quasi certamente per strangolare l’economia e spingere l’Italia verso la recessione.
Qualcosa di meglio, a nome del Pd, fa Provenzano: riconosce in parte la fondatezza dell’attacco contro la Bce ma sottolinea l’assenza di qualsiasi misura correttiva da parte del governo, dalla tassazione degli extraprofitti, che sarebbe in effetti la prima misura da adottare, al salario minimo. La strategia per quanto riguarda il Mes è, per la premier, la “logica di pacchetto”: una trattativa che si allarghi dalla ratifica della riforma del Mes fino a includere il nuovo patto di stabilità e il completamento dell’Unione bancaria.
Meloni ripete di non aver cambiato idea nel merito ma il problema centrale è il metodo: “Ha senso procedere nella ratifica senza conoscere il contesto, la cornice europea in cui il Mes si inserisce? Discutere ora del Mes non è interesse dell’Italia”. FdI applaude freneticamente, qualche 5S pure, anche perché “il pacchetto” era già stato impugnato dall’allora premier Conte. I leghisti no, restano gelidi e con le mani immobili sui banchi. Il rinvio, che ci sarà senza dubbio, non basterà a risolvere il problema né a sanare la divisione serpeggiante nella maggioranza.
La segretaria del Pd commenta accusando la premier di “mettere in imbarazzo l’Italia” anche se, dietro la polemica d’ordinanza, le richieste del governo sul nuovo patto di stabilità e quelle dell’opposizione tutta sono coincidenti: tutti mirano a espungere le spese per la transizione verde e per quella digitale dal calcolo del deficit e se per una volta la posizione comune emergesse in pieno sarebbe tanto di guadagnato nella difficile trattativa in corso con la Ue. Sull’immigrazione la linea è quella abituale: difesa dei confini esterni in carico all’intera Europa, che finalmente grazie allo sforzo del governo di destra qualche spiraglio lo avrebbe aperto, e aiuto “non predatorio” all’Africa per fermare i flussi alla fonte. Sulle stragi che la difesa del confine esterno comporta basta un rapidissimo cordoglio rituale.
Solo quando le rinfacciano il fallimento della missione in Tunisia Giorgia Meloni si risente e sbotta: “E chi ve l’ha detto che ci hanno chiuso le porte in faccia? E’ un lavoro che richiede tempo”. Parole dette non a caso. Nel viaggio negli Usa, tra un paio di settimane, l’obiettivo principale è smuovere le resistenze di Washington negli aiuti che salverebbero la Tunisia dal default e l’Europa da un’ondata migratoria biblica. Se ce la facesse, la premier italiana potrebbe vantare il primo vero grande successo. Facile non è ma di certo lei ci spera e quasi ci conta.