La morbosità dei media
Il culto discreto per Stefano Nazzi: la cronaca nera lontana dalla spettacolarizzazione
Il giornalista ricostruisce casi noti e meno noti al grande pubblico in un podcast premiato agli Italian Awards. Sobrietà e precisione. Un piccolo cult
Cronaca - di Antonio Lamorte
Michelle Causo racconta: “Mi ha accoltellata e lasciata in un carrello. Avevo diciassette anni e una vita davanti”. E raccontano anche Giulia Tramontano, Diana Pifferi, Elisa Claps, Yara Gambirasio, Denise Pipitone e via dicendo. Le vittime che parlano su TikTok. Deepfake, intelligenza artificiale al servizio della morbosità, soltanto l’ultimo step dell’attenzione pornograf*ca che pubblico e media dedicano alla cronaca nera. Altro che Truman Capote, altre che Emmanuel Carrère. E il giornalismo cavalca, la televisione specula. Non si butta via niente dei dettagli più insignificanti purché raccapriccianti, di vite spezzate da violenze efferate, della quotidianità marginale dei mostri che devono diventare sempre più mostri.
C’è un’altra audience che più silenziosa ascolta, che pur appassionandosi alla cronaca nera, ai casi snocciolati giorno per giorno come fossero feuilleton, presta un’attenzione meno macabra e più accurata. Stefano Nazzi ha vinto con Indagini de Il Post il premio dell’anno nella categoria True Crime agli Italian Podcast Awards. Giornalista di cronaca, ha collaborato per anni con importanti testate nazionali, seguito casi di enorme risonanza mediatica e vicende meno note al grande pubblico. Ha appena pubblicato Il volto del male per Mondadori. È diventato un piccolo cult.
Nazzi ripercorre casi noti e meno conosciuti. Ricostruisce le indagini, i processi, gli errori giudiziari, i riflessi sui media e l’influenza dei media, le reazioni della società. Storie diventate familiari agli italiani, che ne hanno dettato sensibilità e percezioni. Non ammicca, non aggiunge particolari succosi utili soltanto alla spettacolarizzazione. Precisione, sobrietà. Un lungo apprendistato. “Nei giornali in cui ho lavorato ho imparato come si scriveva – ha raccontato a Il Libraio – , ma anche come non si scriveva. Ho imparato come non volevo più scrivere. Quindi ho abbandonato, man mano che andavo avanti con gli anni, tutta una serie di linguaggi, di espressioni, di aggettivazioni, di frasi fatte, che adesso mi viene abbastanza naturale tralasciare”.
Nessuno stratagemma per aggiungere sensazionalismo all’emotività già ispirata dai fatti, dalle carte giudiziarie. Nazzi non dà mai per scontato che la gente sappia cosa sia un incidente probatorio o un rito abbreviato. Spiega, corre il rischio di risultare noioso. Contestualizza. Indagini, da marzo 2022, racconta quello che sono le scale mobili per Potenza e cosa hanno significato le scale mobili per Potenza. Spiega cosa si intende per “stato crepuscolare orientato”. Non c’è moralismo, non si improvvisano tribunali. Nessuna traccia degli aspetti più morbosi che hanno fatto giudicare la cronaca nera una specie di giornalismo di serie B, gli stessi che hanno alimentato una religione dozzinale, tempestata di domande e opinionismo spicciolo.
Il critico letterario Matteo Marchesini ha scritto che oggi “quasi tutti siamo delle tricoteuses della nera, che ci raggiunge con una potenza e capillarità inaudite. Non per caso è dilagata a partire dagli anni 90, col crollo delle grandi narrazioni ideologiche e la drastica diminuzione della vita attiva, militante: le semplificazioni del giallo, che non finisce mai di complicare paradossalmente le cose per aggiungere una puntata in più, sono diventate la nostra Weltanschauung (e alcuni magistrati ne hanno preso atto)”. E anche i grandi giornali: ma esiste un altro modo, nonostante i commenti sulle pagine social seguitissime che tramite deepfake e intelligenza artificiale fanno parlare vittime trucidate risultano entusiasti, molto empatici, di utenti che sembrano sinceramente coinvolti.