Se non Giorgia, chi? Questo deve aver pensato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel quando, dopo una notte di tregenda e col Patto immigrazione arenato nelle secche del No polacco e ungherese, ha chiesto alla premier italiana di provarci lei a convincere gli amici Orbàn e Morawiecki. Lei ci ha provato. Ha incontrato i due capi di governo sovranisti, ha messo sul tavolo tutte le argomentazioni possibili. Niente da fare: “Ho tentato di mediare fino all’ultimo. Ora continueremo a lavorare con questi Paesi”.
Fallito il tentativo in extremis, il Consiglio si è rassegnato a ripiegare sull’escamotage che si era già delineato nel corso del durissimo braccio di ferro notturno. Al posto di un’intesa che non c’è, perché sarebbe stata necessaria l’unanimità, 25 Paesi su 27 hanno approvato le conclusioni di Michel, che sono un puro esercizio di sgusciante equilibrismo. Il presidente esordisce infatti con l’affermazione che fa felice il governo italiano: “L’immigrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea”. Poi però scivola nel leguleio, rinviando alle conclusioni dei precedenti Consigli e rende apertamente conto del dissenso dei due Paesi dell’Est, i quali “hanno dichiarato, in linea con le precedenti conclusioni del Consiglio, che è necessario trovare consenso su un’efficace politica in materia di migrazione e asilo” e hanno sottolineato che “la ricollocazione e il reinsediamento dovrebbero essere su base volontaria”.
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Il primo appunto contesta il metodo, cioè la validità di un accordo sul quale non c’è l’unanimità del Consiglio e che è stato raggiunto dai ministri degli Interni Ue a maggioranza qualificata. Il secondo bersaglia invece il merito di quell’intesa, le multe salate per i Paesi che rifiutano i ricollocamenti. La parola finale spetterà al Parlamento europeo e i 25 che hanno approvato ieri le Conclusioni di Michel sono decisi ad andare avanti con il progetto approvato dai ministri degli Interni l’8 giugno scorso in Lussemburgo. Ma senza accordo nel Consiglio le cose diventano più difficili, anche perché la regola dell’unanimità nel Consiglio, pur se considerata in questo caso non valida, resta in vigore per tutto il resto e permette a Ungheria e Polonia di minacciare rappresaglie pesanti con il loro potere di veto.
Per questo Sanchez, premier della Spagna a cui toccherà la presidenza della Ue nel secondo semestre 2023, promette di “continuare lo sforzo per arrivare a un accordo generale” e per lo stesso motivo Scholz, che rappresentava anche Macron tornato in anticipo nel suo Paese in fiamme, chiede di “chiudere le trattative prima delle europee”. L’accordo di giugno, afferma il cancelliere “è stato un successo importante”. Però, aggiunge “ci sono compromessi che dobbiamo accettare”. La presidente della Commissione europea von der Leyen insiste soprattutto sulla “cooperazione con Paesi terzi contro il traffico di migranti” e sul “sostegno ai partenariati”. Parole, anche queste, che piacciono molto a Giorgia Meloni.
La premier si dichiara infatti più che soddisfatta dalle posizioni assunte dal Consiglio, sia perché è stato ribadito che il problema deve essere affrontato dall’intera Unione e non dai singoli Paesi sia perché l’attenzione europea è ora concentrata “sulla dimensione esterna, questione impensabile sino a qualche mese fa e oggi condivisa da tutti”. Iperboli e trionfalismi a parte, sulla carta l’Italia ha davvero ottenuto risultati soddisfacenti, nessuno dei quali però almeno per il momento concretizzatosi. L’unico passo reale è il Patto oggetto del braccio di ferro con gli amici polacchi e ungheresi. Delusa dai fratelli-coltelli? “Non sono mai delusa da chi difende i propri interessi nazionali e la questione che pongono non è peregrina: sono i due Paesi che più si stanno occupando di profughi ucraini con risorse Ue probabilmente insufficienti”.
La questione “non peregrina”, nel merito, è questa: l’accordo raggiunto dai ministri degli Interni prevede che i migranti regolari siano ricollocati nei vari Paesi europei in quote misurate sulla popolazione dei singoli Stati. Chi rifiuta l’accoglienza deve pagare 20mila euro per ogni migrante in quota non accolto. L’ira di Morawiecki era stata subito fragorosa: “Abbiamo accolto un milione di profughi ucraini, per ognuno di loro la Ue ci dà 12 euro e adesso ci vuole multare con 20mila euro per ogni migrante che accogliamo?”. L’intesa sui ricollocamenti è poi integrata da una regola assurda che permette di rimandare gli irregolari nel Paese di ultimo transito di fatto ignorando il rispetto dei diritti umani in quei Paesi. A decidere quali Paesi si possano considerare “sicuri” è infatti chi espelle gli irregolari: la Libia dei torturatori diventa così un’oasi di pace, e del resto sono previsti nuovi fondi per la Guardia costiera libica, lager o non lager.
A conferma di quanto i rapporti siano rimasti deliziosi Meloni conferma il viaggio di Polonia in programma per mercoledì prossimo, che nel clima tesissimo degli ultimi due giorni sembrava poter slittare. Ma nonostante la difesa d’ufficio degli amici-nemici dell’est, il quadro dei rapporti interni alla destra europea non è affatto sereno. Alla fine qualcuno uscirà vincente e qualcuno sconfitto, non su un capitolo qualsiasi ma sulla questione per la destra stessa più identitaria di tutte, quella dell’immigrazione. Se, come è probabile, la Ue andrà avanti con il Patto del Lussemburgo a covare rancore profondo contro l’Italia saranno Ungheria e Polonia. In caso contrario a non perdonare agli alleati nazionalisti una pesantissima sconfitta sarà il governo italiano.