Avrebbe compiuto 60 anni
George Michael, l’anima soul che aveva la morte dentro
Ciuffo biondo e jeans stretti. Si affermò appena ventenne con i Wham. Ma era molto di più di quella leggerezza anni 80. Crocif sso dalla stampa perché gay, con “Older” ci lascia un capolavoro
Cultura - di Graziella Balestrieri
Avrebbe compiuto 60 anni oggi ma non ha avuto molta fortuna. E la sfortuna non è quella di non aver vissuto a lungo ma quella di non aver vissuto la propria vita come voleva. Georgios Kyriacos Panayaiotou, in arte George Michael, bello come un dio greco, la terra dalla quale provengono i genitori, la voce di un dio, che sembrava venire da quel paradiso che in terra gli è stato negato.
George Michael è una delle voci in assoluto più suadenti, seducenti e potenti che l’intero panorama musicale possa ricordare. Esplode appena ventenne con gli Wham, ve lo ricordate vero? Era quello con ciuffo biondo e con i jeans stretti a cui le ragazzine urlavano qualunque cosa. I Wham e quel loro pop facile che infastidiva le band di allora e che nella maggior parte considerava leggeri, facili, di quelli che ballano e si divertono e basta. Club Tropicana come fosse il simbolo di un cambiamento verso la leggerezza, del disimpegno e forse era anche così, erano gli anni 80 e tutto, tutto il mondo si sarebbe spostato verso quello che per noi in Italia sarebbe stato il tempo della Milano da bere e di Yuppies giovani di successo.
Ed è proprio all’apice del successo con i Wham che George decide che non è più il tempo per farsi divorare dal pubblico. C’è qualcosa in lui che sta crescendo, si sente soffocare e non ha più voglia di fare l’occhiolino a bordo piscina alle ragazzine ululanti. Scopre che la sua voce ha potenzialità che vanno curate e accudite e finalmente capisce che la sua anima soul e r’n’b ha bisogno di uscire fuori. È Faith nel 1987 a dare inizio alla sua straordinaria carriera da solista, straordinaria perché per quanto ci sia un certo tipo di pregiudizio proprio musicale nei confronti di George Michael, il suo era un pop di altissima qualità, di come in giro forse oggi solo Harry Styles riesce a fare ma con una differenza enorme, gigantesca: George aveva una voce che è difficile da manovrare, difficile per estensione, George era l’unico che avrebbe potuto sostituire Freddie Mercury nei Queen e non solo per la potenza ma per l’intensità.
Potete trovare un video su youtube, dove David Bowie assiste alle prove di George mentre lui canta Somebody to love insieme ai Queen: guardate il finale del video e l’espressione di Bowie mentre guarda ammirato George. La spiegazione del suo talento, della sua classe è tutta in quello sguardo. I want you sex, Freedom, vi sembrano tutti titoli per ballare, ma sono piccole rivoluzioni, anche di pensiero, scritte in un momento in cui l’Aids imperversava nel mondo omosessuale e i gay erano visti come untori.
La morte di Freddie Mercury è un durissimo colpo e quando molti artisti vengono invitati sul palco ad omaggiarlo e a raccogliere fondi, George è uno dei primi a salire su quel palco e come lui stesso dirà nel documentario George Michael – A different Story “quella è una delle sue migliori esibizioni, straordinaria dal punto di vista interpretativo e musicale. Ma c’era un motivo dietro – il mio compagno aveva l’aids, nessuno lo sapeva, nessuno sapeva che Anselmo fosse lì in mezzo al pubblico. Io ho dato il massimo perché avevo la morte dentro -“. Nessuno sa di George, lui non vuole che si sappia. Lui non voleva che sua madre lo sapesse. Sì, le persone avrebbero dovuto rispettare anche questa volontà e invece no. Tutti gli andavano addosso, tutti puntavano il dito, perché lui, che era una star avrebbe dovuto dirlo per forza.
George inizia a stare male, a soffrire e a soffocare. Anselmo, il suo compagno, l’unico amore della sua vita muore e per lui inizia il declino fra farmaci e alcool. Ma c’è la musica in grado di donargli ancora una volta la vita. E nel momento massimo del dolore, George che porta con sé dolore e bellezza, in un perfetto abito scuro di Armani, con indosso un capello rasato e un pizzetto a dargli quell’età e quella maturità ancora difficile da far credere agli altri, nel maggio del 1996 dava alla luce uno degli album più sofisticati, eleganti, drammatici e perfetti della scena Pop internazionale. Stiamo parlando di Older, album che è il vero marchio di quello che dovrebbe essere considerato uno degli autori più importanti nel mondo della musica. Older per conto suo ai tempi batte ogni tipo di record ma non sono i record che bisognerebbe tenere in considerazione.
Older è l’album dell’intensità che racconta del dolore portato allo stremo fino a farlo diventare bellezza totale. La scrittura profondissima alla ricerca della normalità più assoluta ribadisce l’enorme talento di George come cantautore, troppo spesso snobbato, troppo spesso patinato, considerato come una cornice da giornali da gossip. Eppure, l’enorme talento da autore di George è già palpabile nella struggente, nostalgica ma piena di speranza dopo un lutto enorme, ovvero la perdita del suo compagno per causa dell’Aids, un vuoto che ha circondato Michael come una gabbia dalla quale forse non è più riuscito ad uscire. Quel buio che lui aveva dentro e fuori trova in Jesus to a Child l’unica forma di speranza. Il dolore per quanto immenso, imperdonabile, nella scrittura di George diventa quasi un permesso a poter ricominciare, ad andare avanti, a far proseguire quell’amore in ogni modo.
Per un assurdo paradosso non si spezza la catena ma improvvisamente scompare del tutto causando in George Michael un dolore talmente profondo , un silenzio talmente dirompente che solo l’intero album è il dialogo di George con la morte, l’assenza, la richiesta di presenza a tutti i costi, i dialoghi, il bisogno di sentire la famiglia intorno a se e più di ogni altra cosa di trovare consolazione nell’innocenza, nello sguardo, nella dolcezza di Gesù da bambino, prima che tutto avvenisse, prima che il mondo crudele e gli uomini lo mettessero in croce, prima delle spine, del sangue, dell’ingiuria, prima di essere tutto questo. E non solo la perfezione quasi drammatica di Jesus to a Child e la volontà di caricarsi di vivere il peso di tutto quell’amore che la morte nonostante crei il vuoto non può portare via quando si ha amato davvero. È l’inafferrabile dolcezza di un brano come You have been loved che regala l’atmosfera fumosa dell’inconsolabile perdita e che solo la ricerca di voci familiari riescono a consolare.
È il jazz presente in The strangest thing che raccoglie e distribuisce tutta la classe e la profondità della voce di Michael o la ritmata Spinning the Wheel che ammalia per la ritmica, dei fiati suonati come se fossero suonati da lontano, distanti quasi. In un certo senso è George che guarda da lontano girare quella ruota e che non accetta quello che gli sta capitando. Older è un grido di dolore quasi perfetto, la ricerca di sé stessi dentro la perdita del grande amore della propria vita. La consapevolezza che è evidente nella scrittura di George Michael che tutto quello che è stato non sarà più come prima e che però se un uomo è in ginocchio lo è solo per chiedere salvezza un’altra volta. La fede, quella fede che George ha sempre avuto nelle sue liriche, mai sporcata con i pettegolezzi degli altri.
Older è un album segna l’arte di uno dei migliori artisti che la musica ha mai potuto avere ma che ha in un qualche modo mai riconosciuto a pieno. La voce di George Michael rimane uno degli strumenti in grado di raggiungere profondità dell’anima che in pochi ancora sono riusciti ad esplorare ed è in grado allo stesso tempo di riconciliarci con l’Alto. Eppure, abbiamo sempre in mente, come lo è stato anche quando lui era vivo, il ragazzo con il drink in mano che ammicca e si rotola nelle nevi cercando, vestito di bianco. E non è così, era anche così ma anche no. Poi succede che nel 1998 George è costretto a fare coming out. Sì, costretto. Viene arrestato per atti osceni in luogo pubblico da un poliziotto in borghese, poliziotto che ora – caso strano – è a capo della sicurezza della Sony, casa discografica con la quale George Michael ebbe un lungo ed estenuante processo. Buttato sulle prime pagine del Sun con la copertina che lo derideva “ZIP ME UP BEFORE YOU GO GO”.
Scandalo nell’America perbenista, dove il sesso in una toilette pubblica è un reato ma se hai con te una pistola e spari in pubblico uccidi persone innocenti, allora sì, sei un vero americano. Additato, cerchiato e braccato George Michael è costretto a fare coming out e quando questo avviene per lui inizia di nuovo una discesa, non musicale, perché anzi il brano Outside con cui prende in giro i poliziotti in borghese che l’hanno arrestato arriva in vetta alle classifiche e George nel bene e nel male rimane lì nell’Olimpo. Non è questo, George Michael esce a pezzi da questa vicenda, non ama più stare in mezzo alle folle, quello che vorrebbe sarebbe solo stare a casa, come lui stesso dice “stare a casa è l’unico modo per non far uscire fuori quella parte di ego che io ho strangolato , quella parte di ego che in alcuni momenti mi ha portato all’autodistruzione”.
È un caso strano George Michael nel mondo della musica, uno dei pochi talenti che avrebbero dovuto essere riconosciuti per la sua arte e non per quello a cui è stato costretto. La cosa assurda è che non gli è stato permesso di vivere come voleva. Era gay, non avrebbe voluto dirlo per sua madre. Andava rispettato, non buttato in prima pagina come fosse un criminale qualunque. Non c’è stato nessun rispetto per lui, per la sua vita, non c’è stato nessun rispetto per la sua arte. È quasi inutile ora averlo fatto entrare nella Rock ‘n Roll of Fame. Sarebbero 60 anni oggi, se solo avessimo guardato oltre quel ciuffo e a quel ragazzo – senza pregiudizio- , se solo avessimo stracciato quelle pagine del Sun, se solo avessimo guardato all’arte di uno dei più grandi interpreti della musica internazionale.