La battaglia della destra
Giù le mani dalle donne, la legge 194 va rafforzata
Modificare la legge del ‘78 è possibile e auspicabile. Occorre un “tagliando” in grado di garantire la piena applicabilità delle norme: se ne parla oggi a Roma in un seminario dell’associazione Luca Coscioni
Editoriali - di Andrea Pugiotto
1.Si può modificare una legge, approvata da molti anni e quando l’applicazione ne rivela criticità e disfunzioni? Certo che sì. Avremmo altrimenti una disciplina pietrificata e fuori dal tempo. A tale regola, però, si oppone una resiliente eccezione: la legge n. 194 del 1978 sull’interruzione volontaria della gravidanza. In materia, le lancette dell’orologio sono ferme a 45 anni fa e anche solo l’ipotesi di un suo aggiornamento sembra vietata. Sarebbe salutare una sua discussione pubblica, ma latita. Perché?
2. Giuridicamente, non è una disciplina intangibile. In vigore da quasi mezzo secolo, alcune sue parti sono viziate da anacronismo legislativo. Il doppio no a entrambi i quesiti abrogativi, votati il 17 maggio 1981, non crea alcun vincolo negativo per il legislatore. La sua natura di legge «a contenuto costituzionalmente vincolato» (sent. n. 35/1997 della Consulta) sottrae all’abrogazione, totale o parziale, solo quella minima tutela dei diritti fondamentali in gioco (della donna e dell’embrione) imposta dalla Costituzione: ampi, dunque, sono gli spazi residui per una sua riforma. Del resto, la possibilità di modifiche parziali della legge n. 194 è attestata dai due citati referendum manipolativi, allora promossi da Movimento per la Vita e Partito radicale, giudicati ammissibili (sent. n. 26/1981). Come pure dall’intervenuta abrogazione di alcune sue fattispecie penali (artt. 17 e 18), disposta di recente con decreto legislativo (n. 21 del 2018).
3. Costituzionalmente, ripensare l’attuale disciplina in tema di aborto è possibile. Quel testo nasceva da disegni di legge coevi o successivi alla sent. n. 27/1975, che dichiarò illegittimo il reato di aborto di donna consenziente (art. 546 c.p.) laddove lo puniva anche se giustificato terapeuticamente. In quella storica decisione, la Consulta affermò che il diritto alla vita del concepito e il diritto alla salute della donna, ambedue garantiti in Costituzione, se esposti entrambi a pericolo vanno bilanciati. Il baricentro va trovato nella salvaguardia della vita e della salute della madre, operando in modo da salvare, quando ciò sia possibile, la vita del feto.
Recependo tale bilanciamento, la legge n. 194 ha poi regolamentato la procedura abortiva stabilendone i soggetti coinvolti, le scansioni modali e temporali, i divieti penali. Quel bilanciamento ebbe il merito di imporre il superamento di una legislazione fascista che puniva l’aborto a prescindere, come reato contro l’integrità della stirpe. Eppure, appare come il frutto di un lunghissimo equivoco: guarda alla donna e all’embrione come a due soggetti «indipendenti e simmetrici» quando, invece, «senza la relazione con il corpo pensante della madre non vi è possibilità di vita, biologica e simbolica» (Maria Luisa Boccia).
Altrove, nella giurisprudenza costituzionale, emergono altri princìpi che andrebbero inclusi nella mappa del conflitto tra diritti, in caso di aborto: l’eguaglianza di genere e il principio di autodeterminazione. Il primo entra qui in gioco perché se e quando procreare è una scelta determinante per la partecipazione effettiva della donna alla vita sociale, economica e politica (art. 3 Cost.). Il secondo incapsula la libertà (anche fisica) della donna di sottrarsi a una gravidanza indesiderata (art. 13 Cost.), e compone con il diritto alla salute (art. 32 Cost.) il principio del consenso informato a trattamenti medici (sent. n. 438/2008). Anche attraverso la lente di questi due princìpi, quel bilanciamento originario si mostra inadeguato. È come un chiodo che non regge più tutto il peso del quadro (normativo).
4. Dunque, una novella della legge n. 194 più rispettosa della soggettività femminile è questione matura. Se non la si coglie è perché, politicamente, la materia è incandescente. Divide le forze politiche, anche al loro interno. Taglia trasversalmente gli elettori, che su questo tema già in passato hanno deciso in autonomia. Come in surplace, in Parlamento nessuno si muove e a regnare è un dolceamaro accontentarsi. Anche chi, ad ogni inizio legislatura, ripropone il riconoscimento della capacità giuridica al concepito (AS n. 950, Gasparri), si affretta a parlare di mera provocazione individuale. Il rischio concreto è di sfogliare amleticamente, anche negli anni futuri, la solita margherita. A interrompere questo letargo intervengono ora due iniziative politiche.
5. La prima sarà presentata oggi, a Roma, in un seminario convocato – per impulso dell’Associazione Luca Coscioni – dall’Intergruppo Parlamentare sull’interruzione volontaria della gravidanza (27 tra deputati e senatori, appartenenti a tutte le forze di opposizione). Ginecologi, giuriste, bioeticiste, parlamentari, discuteranno della necessità di «un “tagliando” per la legge n. 194 del 1978».
I temi affrontati riguarderanno il concetto di salute riproduttiva, le incongruenze mediche e giuridiche della vigente normativa, l’opacità dei dati (mai dati) circa la sua applicazione diffusa sul territorio nazionale. L’obiettivo dichiarato è indicare «alcune modifiche puntuali, ritenute urgenti per porre rimedio alle maggiori criticità» della legge n. 194, in una logica di manutenzione più che di un suo stravolgimento.
La seconda si deve, invece, a Radicali italiani. All’interno di un pacchetto di 6 proposte di legge di iniziativa popolare, invitano a sottoscrivere un testo mirante a «superare la legge» n. 194 attraverso una nuova regolazione dell’intera materia.
L’articolato normativo proposto è ad ampio spettro: tutela e promozione dei diritti riproduttivi, funzionamento dei consultori, accesso ai servizi abortivi, modalità e tempistiche dell’aborto, sepoltura e smaltimento del materiale biologico residuo, report istituzionali sull’applicazione della legge, aggiornamento del personale sanitario. Convergenti nelle intenzioni, le due iniziative divergono per strategia. L’una prospetta un intervento normativo chirurgico; l’altra un bombardamento a tappeto. L’una si inserisce in quello spazio tra la possibilità e il fallimento parlamentare; l’altra va all’assalto come un ariete. L’una, contro il probabile, gioca il possibile; l’altra, per ottenere il possibile, chiede l’improbabile.
Ognuno giudichi come vuole. Io sono per la prima strategia, perché credo più nelle battaglie di scopo che in quelle di principio, e considero di gran lunga più utili, delle belle sconfitte, le brutte vittorie. Per quanto condivisibile, un testo (legislativo) che non si cura del contesto (parlamentare), scade a pretesto (politico). La sua approvazione sarebbe un miracolo, ed io ai miracoli non credo. Specialmente su temi come questi, i mezzi vanno commisurati ai fini perché a contare sono i risultati ragionevolmente conseguibili, non le intenzioni.
6. Entrambe le iniziative hanno però il merito di porre all’attenzione generale il tema di fondo: l’habeas corpus, qui declinato al femminile. Ciascuno di noi è una singolarità incarnata. È questo dato esistenziale a collocare le questioni del corpo al centro di tutti i conflitti per le libertà e i diritti, fin dalla Magna Charta del 1215. Regola cruciale, l’habeas corpus, è costruita attorno all’indisponibilità fisica e all’inviolabilità del corpo del cittadino rispetto alla pretesa di controllo del sovrano: incapacitarlo, infatti, significa togliere alla persona, con la libertà di movimento, anche l’autodeterminazione e l’autonomia nell’agire.
È, questa, una tentazione sempre presente nei processi riproduttivi. Lo si vede nel revival delle politiche per la natalità, nell’idea balorda e spietata della gpa quale reato universale, nella procreazione assistita legislativamente ostacolata. L’aborto non fa eccezione, in quanto «esperienza umana totale, della vita e della morte, del tempo, della morale e del divieto, della legge, un’esperienza vissuta dall’inizio alla fine attraverso il corpo» (Annie Ernaux, L’evento, 2019). A questa sorta di neo-sovranismo corporale si deve reagire. Qualcuno, finalmente, inizia a farlo.