Dopo il fuoco ci sarà un riflesso d’ordine? Più volte nella sua storia la Francia ha dovuto scoprire i limiti del culto dell’individuo astratto. Il cittadino, preso come universale, regna sovrano nelle Carte fondamentali ed appare come il protagonista indiscusso delle Dichiarazioni dei diritti. La sua vita, il corpo con i bisogni che premono, sono però abbandonati alle dure contingenze del mondo reale. Il cielo, così ben disegnato con la veste dell’eguale diritto, dicevano i classici, deve coesistere con la miseria della più infernale esperienza terrena.
Quando c’erano le classi sociali, e la politica sapeva organizzarle nella sfera pubblica, questo divario tra la forma e la sostanza delle cose era alla base del conflitto. I movimenti di lotta intendevano cogliere, oltre la generale astrazione, la dimensione più specifica o materiale che Georges Burdeau definiva come propria dell’“uomo situato”. Il bisogno, le necessità particolari erano cioè questione politica. Le differenze sociali e le radici del malessere non erano abbandonate alla polizia, al casellario giudiziario. Su questa base di intersezione dinamica tra diritto eguale e differenza reale, le tradizionali classi hanno conquistato una cittadinanza effettiva.
Da alcuni decenni, però, la coalizione sociale e le soggettività politiche, che hanno allestito il compromesso novecentesco tra capitalismo e democrazia, sono radicalmente frantumate. Proprio i ceti popolari, protagonisti dell’assalto al cielo del formalismo per reclamare iniezioni di eguaglianza sostanziale, diventano oggi una componente significativa di un blocco di destra radicale che innalza le tradizioni e la famiglia, i confini e le istanze protettive declinate in senso securitario, come vincoli di appartenenza e spazi di azione collettiva al posto delle dinamiche di classe.
Le “passioni tristi” che sfondano nelle tradizionali cinture rosse francesi coltivano un irriducibile sentimento di esclusione. La difesa sciovinista delle conquiste sociali, percepite come beni pubblici minacciati dagli intrusi che disturbano in un’età di risorse scarse, smentisce i pilastri di quella clamorosa sfida lanciata nell’Ottocento all’ordine proprietario sulla base dell’asserzione per cui “gli operai non hanno patria”. Lo stesso Marx, dinanzi all’odio dei proletari inglesi verso gli irlandesi, mostrava di non credere più al carattere scontato della sua prosaica traduzione della categoria di fratellanza. Nel Capitale accennò al rifiuto dei lavoratori bianchi americani di stringere legami di solidarietà con quelli che in fabbrica sono vicini nelle condizioni di sfruttamento ma hanno un colore diverso della pelle.
Contro i rifugiati politici, i migranti economici, i giovani del Sud del mondo alla ricerca di opportunità, le destre raccolgono il risentimento profondo delle periferie. La politicizzazione delle differenze paventate come una minaccia alle identità, alla sicurezza, alla stabilità, produce un fenomeno contagioso di etno-populismo che muta in radice la geografia politica. Ad essere spiazzate dalle reazioni ostili rispetto alle ondate migratorie sono le sinistre post-novecentesche, che sul terreno elettorale resistono soprattutto come rappresentanti dei soggetti centrali, scolarizzati, laici.
Grazie alla tenuta di un residuo di coalizione repubblicana aperta ai ceti urbani, alle professioni creative, alle fasce più istruite, la destra lepenista si è vista più volte sbarrare la strada dell’Eliseo. E però la solitudine del monarca repubblicano, che aveva sconfitto il Rassemblement National alle urne, era già apparsa ingigantita dopo i mesi di ribellione all’insegna dell’individualismo proprietario dei piccoli possidenti, degli interessi corporativi dei lavoratori autonomi della provincia profonda che protestavano per l’aumento delle tasse sul carburante. Ora il Presidente appare ancor più nudo dinanzi alla rivolta incendiaria che ha il volto della marginalità disperata e nichilista dei giovani migranti, ma soprattutto delle seconde e terze generazioni che, contro il comportamento sfacciatamente criminogeno della polizia, diffondono l’ordine di disobbedire attraverso internet e mettono a ferro e fuoco le città.
La République, ai loro occhi, è quella entità del tutto evanescente, e alquanto ipocrita, in cui il divieto di indossare il velo è la sola norma che le istituzioni riconoscono prontamente alle donne islamiche. Molto generosa nella distribuzione a buon mercato dei cascami non negoziabili del principio di laicità, essa si rivela poi indifferente dinanzi alla degradazione dello spazio urbano delle grandi città. Nelle periferie sorgono piccole comunità chiuse che proliferano come reti al di fuori di ogni legge, dove si afferma la sola vigenza di legami pseudo-tribali, tra vincoli etnico-religiosi ed esistenze di scarto.
Il segreto del cittadino astratto si trova così svelato nei bassifondi delle metropoli che, come fortezze identitarie, sono riservate ai migranti o ai nuovi francesi e risultano irraggiungibili per i simboli molto lontani della statualità. In queste inospitali terre di nessuno, date in appalto alla microcriminalità, cresce l’abbandono, niente può arrestare la sensazione dell’alienazione civile. La città appare divisa in quartieri etno-classisti tra loro non comunicanti, con le isole della ricchezza ben sorvegliate e di fatto inaccessibili che resistono al mare crescente del degrado e della desolazione urbana.
Parigi è da ritenersi già spacciata se interpreta la questione sociale delle periferie invivibili, con giovani che devastano i simboli del consumo insieme alle agenzie del micro-potere, come un problema di ordine pubblico. Ci sono incrostazioni ben più sotterranee. La nazionale francese di calcio ha vinto ogni trofeo schierando in campo quasi tutti giocatori di origine, e in qualche caso anche di nascita, africana. E però sugli spalti a fare tifo per il tricolore c’erano quasi solo cittadini di pelle bianca. Sono palesi tra i marginali, gli esclusi, i sentimenti di estraneità rispetto ai simboli pubblici della Francia moderna.
Se non va alla radice della questione sociale e culturale, per rispondere al falò ordinato tramite la rete e all’insocievole socievolezza dei social, allora la Repubblica ha già perso la sfida. Con la polizia e l’esercito schierati contro i barbari che escono dalle loro isole comunitarie per dare alle fiamme tutto ciò che incontrano, già accorrono squadracce fasciste armate. Solo una ritrovata sinistra di classe, dopo il fallimento del tecno-potere di Macron, può mettere in moto qualcosa di radicale in grado di arginare la fatale marcia lepenista su Parigi.