"Il filosofo dei 5 stelle"
Intervista a Domenico De Masi: “Meloni si vergogni ad attaccarmi su Borsellino”
«Il movimento operaio? Le classi sociali sono cambiate, oggi Marx rivedrebbe profondamente il suo pensiero. La definizione più bella del lavoro è nella Populorum Progressio: non è umano se non è intelligente e libero»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Nel campo della sociologia del lavoro è un’autorità assoluta. Domenico De Masi docente emerito di Sociologia del lavoro all’Università La Sapienza di Roma già preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione presso lo stesso ateneo, una sterminata pubblicistica di libri, ha elaborato un suo paradigma partendo dal pensiero di maestri come Alexis de Tocqueville, Karl Marx, Frederick Taylor, Daniel Bell, André Gorz, Alain Touraine, Agnes Heller e approdando a contenuti originali in base a ricerche centrate soprattutto sul mondo del lavoro. Ridurre tutto questo a definire il professor De Masi “il filosofo dei 5 Stelle” dà lo spessore, di carta velina, di certa stampa mainstream. Altra cosa è la sua passione politica, che non rinnega e anzi rilancia.
Professor De Masi, Lei ha affermato che senza l’unità delle opposizioni non c’è partita con la destra. Non crede che prima di cercare questa unità bisognerebbe trovare una piattaforma comune? Sui grandi temi: guerra, accoglienza, giustizia, lavoro. Lei come la vede?
Credo che in Italia ci siano di fatto 3 sinistre: una sinistra è quella finora impersonata dal Pd che ha portato avanti delle idee, delle battaglie, che sono risultate consone soprattutto alla classe media. Per dirla seccamente, pensando a Roma, il Pd è ormai votato ai Parioli, non è votato al Tiburtino. Il fatto è che anche ai Parioli c’è una classe media ormai insicura, precaria. Spesso anche il figlio del pariolino è disoccupato. Una prima sinistra, impersonata dal Pd, si è incaricata soprattutto della classe media in via di precarizzazione.
E le altre due sinistre?
Abbiamo un Movimento 5stelle che sin qui si è fatto carico in particolare di quello che un tempo si chiamava proletariato e, soprattutto, sottoproletariato. Lo ha fatto col decreto dignità e, soprattutto, con il reddito di cittadinanza e col portare avanti la battaglia per il salario minimo. Infi ne c’è una terza sinistra fatta di vari cespugli, il principale è quello capeggiato da De Magistris che è riuscito a riunire due o tre di questi cespugli, Rifondazione comunista etc, i quali hanno una modalità di pensiero e di azione più radicali. Queste 3 sinistre sono speculari alle 3 destre che abbiamo oggi nel paese. Come mai le 3 destre hanno vinto e le tre sinistre hanno perso?
La sua risposta, professor De Masi, qual è?
Le 3 sinistre dovrebbero in qualche modo imitare proprio le 3 destre. Ognuna delle 3 sinistre dovrebbe portare avanti un suo programma, mirato a un preciso segmento sociale, che non coincida con quello delle altre sinistre, come in parte sta già avvenendo, proponendo un modello di società comune. Un modello di società che sia appetibile da parte degli elettori. Comprensibile ed appetibile. Imitando la strategia posta in atto dalle 3 destre, le 3 sinistre potrebbero farcela. Questa è la mia idea.
Non pensa, però, che per tentare una soluzione unitaria, pur nelle tre diversità, bisognerebbe partire da un passo indietro dei vecchi gruppi dirigenti? Vale per il Pd come per Conte?
Guardi, come ho cercato di spiegare, trovo negativo, controproducente, l’azione unitaria. I tre segmenti sociali, cioè la classe media in via di precarizzazione, il sottoproletariato, e poi il radicalismo, hanno pochi punti in comune tra di loro. Il punto in comune è la società a cui tendono e a cui vorrebbero arrivare. Ognuno ci vuole arrivare da un lato. Io credo che non occorra assolutamente un appiattimento, un’unità. L’unità farebbe perdere sicuramente le frange di destra e quelle di sinistra. Occorre che ognuna di queste 3 sinistre occupi il proprio spazio sociale. Poi al momento delle elezioni si vedrà di tirare le fi la e di andare insieme. Quello è un momento particolare che può consentire di andare al governo insieme, conservando anche al governo le differenze. D’altra parte, anche la destra che governa oggi mantiene le sue differenze tra l’azione dei Fratelli d’Italia, l’azione della Lega e l’azione di Forza Italia. Non voglio sfuggire alla sua domanda. Lei mi ha chiesto se per fare questo occorra una mutazione della classe dirigente. A ben vedere questa mutazione sta già avvenendo. Non possiamo dire che la Schlein sia la stessa cosa di Zingaretti o di Letta. Non possiamo dire che Conte sia la stessa cosa di Grillo o di Casaleggio padre. Non possiamo dire che De Magistris sia la stessa cosa di Bertinotti. Una mutazione sta già avvenendo.
Professor De Masi, cosa ha provato quando la presidente del Consiglio riferendosi a Lei, ma scambiandola con De Rita, ha affermato di essere indignata quando un “filosofo” dice che è meglio vivere in dittatura che stare in guerra… Quel filosofo era Lei.
La Meloni credo che si riferisse a un mio intervento nel programma di cinque minuti che di Bruno Vespa. Dentro 5 minuti, e quindi con la velocità che occorre in questo breve arco di tempo, avevo detto che quando si ha di fronte a sé un nemico preponderante come è la Russia rispetto all’Ucraina, non c’è una sola modalità di reazione. Una modalità è la guerra guerreggiata. La guerra di eserciti come quella che sta avvenendo. Ed è quel la in cui il paese debole è più debole. Quando un paese più debole ha vinto, ha vinto non perché ha fatto la guerra guerreggiata ma perché ha fatto la guerriglia, che è cosa ben diversa dalla guerra guerreggiata. Infatti i vietcong che erano pochissima cosa rispetto all’immensa potenza americana, hanno vinto. I talebani erano pochissima cosa rispetto alla potenza americana, hanno vinto. Quando un paese piccolo, debole, si confronta con l’esercito di un paese grande finisce per stare nella situazione attuale, essere distrutto totalmente e anche se vince lo fa sulle macerie. C’è poi anche un altro modo di reagire quando si viene occupati ed è il modo utilizzato in India da Gandhi. Sia la guerriglia sia il metodo Gandhi hanno vinto, la guerra invece quando è stata fatta da un piccolo paese contro un grande paese, il primo ha perso sempre. Questo intendevo dire ma non credo che la Meloni lo avesse capito né che magari lo possa capire. Mi lasci aggiungere che trovo assurda la violenza verbale che la presidente del Consiglio ha usato, nella stessa giornata, sia alla Camera sia al Senato. E cosa ancora più grave che abbia tirato in ballo Falcone e Borsellino. Questo no, non glielo lascio passare.
Cosa l’ha indignata, professor De Masi?
Usarli per darmi addosso è una cosa indegna. Nei cinque minuti da Vespa, io avevo detto anche che è vigliacco mandare le armi e non andare di persona a combattere. Quando i giovani polacchi, i giovani francesi, andavano a combattere con Garibaldi, venivano loro non è che mandavano le baionette. Noi invece mandiamo le armi e restiamo al sicuro. Borsellino e Falcone, citati dalla Meloni, hanno fatto proprio come ho detto io. Non hanno mandato le armi contro la mafi a restandosene a Roma. Sono stati ammazzati in un territorio della mafi a. Falcone e Borsellino dimostrano proprio quello che dico io: se uno vuole combattere un nemico deve andarci di persona, non deve mandare vigliaccamente delle armi. Ma la Meloni ha spezzettato strumentalmente quello che avevo detto, distorcendo volutamente e totalmente il mio pensiero. Lei ha voluto usare me per sbeffeggiare i 5 Stelle, senza sapere che io non c’entro niente con i 5Stelle. Non sono un “filosofo dei 5Stelle” come ha detto lei. In primo luogo, sono un sociologo, ma non saprei dire se la Meloni conosca la differenza tra i saperi. E non sono il filosofo di nessuno se non di me stesso. Se poi qualcuno vuole prendere qualche idea mia, ben venga.
Non sarà ora di smetterla con il nuovismo e tornare alla Storia e vecchie tradizioni e ai valori di fondo del movimento operaio?
Ora siamo in una società post industriale. La società industriale è durata circa duecento anni. Ha avuto come centrale la produzione di beni materiali, le automobili, i frigoriferi etc, e come soggetto preminente l’operaio. Nel 1850 la città più industrializzata del mondo era Manchester, su 100 lavoratori, 94 erano operai, e gli altri 6 erano manager, dirigenti, liberi professionisti. Oggi in Italia gli operai sono il 25%. La stessa cosa negli Stati Uniti. Non sono quantitativamente preminenti. E la società non è più centrata sulla produzione in grande serie di beni materiali, ma è centrata prevalentemente sulla produzione di beni immateriali. I beni immateriali sono le informazioni, sono i servizi, sono i simboli, i valori, l’estetica e altro. Questo signifi ca che siccome gli operai sono minoritari e la produzione è prevalentemente immateriale, non si può ripetere la stessa procedura, la stessa tattica, la stessa strategia di quando la composizione sociale era completamente diversa. Oggi Marx modifi cherebbe profondamente il suo pensiero su questo, cioè la composizione delle classi, così come hanno fatto quelli che hanno aggiornato Marx, si pensi alla Scuola di Francoforte, ad Adorno, Horkheimer…Nel 2023 non si possono applicare le idee che Marx partorì nel 1848, sarebbe impossibile. Marx stesso le cambierebbe per primo, perché seguendo il suo metodo, quello che lui ci ha insegnato, dobbiamo fare come prima cosa l’analisi delle classi, la quale analisi muta di tempo in tempo col mutare delle condizioni oggettive, in questo caso soprattutto della tecnologia e della globalizzazione.
Recentemente l’Unità ha pubblicato la Populorum progressio. Non le sembra un bel canovaccio per fare un programma?Nel mio libro Il lavoro nel XXI secolo, dove nel primo capitolo analizzo le varie encicliche, dico che l’enciclica più avanzata in assoluto finora è proprio la Populorum progressio.
Perché, professor De Masi?
Perché è l’unica enciclica, di più è l’unico documento papale, che ammette la rivoluzione. C’è un passaggio in cui dice che l’intervento rivoluzionario tranne in casi di dominio lungo e autoritario, è vietato. Ciò signifi ca che in caso di dominio lungo e autoritario la rivoluzione è consentita. Secondo motivo perché secondo me è all’avanguardia, la più bella defi nizione in assoluto del concetto di lavoro. Io studio da sessant’anni il lavoro e quindi ho dovuto leggere migliaia di definizioni del lavoro. La più bella in assoluto, infatti l’ho messa nel pensiero iniziale del libro, è quella della Populorum progressio, in cui dice che il lavoro non è umano se non è intelligente e libero. In queste parole c’è la sintesi assoluta della sociologia del lavoro.