X

“In Palestina crimini fascisti”, le scomode verità di Levy

“In Palestina crimini fascisti”, le scomode verità di Levy

È l’icona vivente del giornalismo “radical” israeliano. Storica firma di Haaretz, il quotidiano progressista di Tel Aviv, Gideon Levy è l’uomo delle verità scomode. Per questo è inviso al potere politico. Perché non fa sconti a nessuno. Più volte minacciato di morte dai fanatici zeloti di “Eretz Israel”, l’estrema destra israeliana di cui il movimento dei coloni rappresenta l’ala più agguerrita, in tutti i sensi, Levy continua a documentare, con analisi e reportage dal campo, le devastanti conseguenze dell’occupazione dei Territori palestinesi da parte d’Israele.

L’Unità ha raccontato la storia di Mohammed Tamimi, 3 anni, ucciso a Jenin durante un’operazione dell’esercito israeliano. L’esercito israeliano non ha aperto alcuna inchiesta per appurare eventuali responsabilità per la morte del bambino. Il caso è chiuso. Così si muore in Palestina. Ma c’è chi continua a indignarsi, a denunciare questi crimini, a scriverne. Giornalisti coraggiosi. Come Gideon Levy. Che su Haaretz, lancia un possente, documentato, j’accuse: «Non ci sono molte popolazioni al mondo così indifese come i palestinesi che vivono nel loro Paese. Nessuno protegge le loro vite e le loro proprietà, tanto meno la loro dignità, e nessuno intende farlo. Sono totalmente abbandonati al loro destino, così come le loro proprietà. Le loro case e le loro auto possono essere incendiate, i loro campi dati alle fiamme. È giusto sparare senza pietà, uccidendo vecchi e bambini, senza forze di difesa al loro fianco. Nessuna polizia, nessun militare: nessuno. Se viene organizzata una forza di difesa disperata, viene immediatamente criminalizzata da Israele. I suoi combattenti vengono etichettati come “terroristi”, le loro azioni come “attacchi terroristici” e i loro destini sono segnati, con la morte o la prigione come uniche opzioni».

Chi fa resistenza va combattuto ed eliminato. Ogni palestinese sotto occupazione diventa una minaccia potenziale, da neutralizzare. Annota Levy: «Nel caos totale creato dall’occupazione, il divieto per i palestinesi di difendersi è una delle regole più folli; è una norma accettata che non viene nemmeno discussa.  Perché i palestinesi non possono difendersi da soli? Chi dovrebbe farlo per loro? Perché, quando si parla di “sicurezza”, si parla solo della sicurezza di Israele? I palestinesi hanno più vittime di aggressioni, spargimenti di sangue, pogrom e violenze – e non hanno strumenti di difesa a disposizione. Nei tre giorni della scorsa settimana, 35 pogrom sono stati compiuti dai coloni. Dall’inizio dell’anno, circa 160 palestinesi sono stati uccisi dai soldati, la maggior parte inutilmente e la maggior parte in modo criminale. Dal piccolo Mohammed Tamimi all’anziano Omar As’ad, i palestinesi sono stati uccisi senza motivo. Nessuno ha impedito ai soldati di sparare indiscriminatamente, nessuno ha affrontato i tiratori scelti. Nessuna autorità israeliana ha nemmeno preso in considerazione l’idea di trattenere centinaia di coloni scatenati. Con le sue azioni e omissioni, l’IDF è stato pienamente complice dei pogrom, così come la polizia. I palestinesi sono stati abbandonati al loro destino».

Alla mercé dei coloni in armi. Racconta Levy: «Abbandonati, i residenti palestinesi hanno assistito impotenti all’incendio delle loro case, dei loro campi e delle loro auto da parte degli abominevoli coloni, con la paura di respirare. Provate a immaginare centinaia di odiosi teppisti all’ingresso di casa vostra, che bruciano e distruggono tutto, e voi stessi sperate che non entrino in casa vostra e facciano del male ai vostri figli, senza poter fare nulla finché non se ne vanno. Non c’è nessuno da chiamare o a cui rivolgersi per chiedere aiuto. Non c’è polizia, non ci sono autorità e non c’è nessuno a cui chiedere aiuto. Qualsiasi passo compiuto per autodifesa sarebbe considerato un atto di terrorismo. Provate a immaginarlo. Quando i coraggiosi combattenti del campo profughi di Jenin – che sono molto più coraggiosi dei ben protetti soldati dell’IDF, oltre che più giusti – cercano di fermare le invasioni militari del campo con le loro armi meno potenti, sono ovviamente considerati terroristi, con un solo destino che li attende.

L’invasore è legittimo e chi difende la sua vita e la sua proprietà è un terrorista. I criteri e le regole morali sono incomprensibili nella loro assurdità. Ogni uccisione da parte di un soldato è considerata giusta, compresa quella di Sadil, una ragazza rifugiata di 15 anni uccisa sul tetto della sua casa la settimana scorsa. Ogni sparo per autodifesa contro un soldato invasore è considerato un brutale atto di terrorismo. In un’altra realtà, si potrebbe almeno sognare una forza ebraica israeliana che si mobilita per difendere i palestinesi indifesi. Si potrebbe sognare una sinistra israeliana che si mobiliti in difesa della propria vittima, come hanno fatto alcuni individui notevoli, tra cui alcuni ebrei esemplari, per aiutare a difendere i neri sudafricani sotto l’apartheid, combattendo con loro e rimanendo feriti e imprigionati per molti anni al loro fianco. Due palestinesi, di 2 e 80 anni, morti: Caso chiuso

Un bambino palestinese morto dimenticato ancora una volta dai media israeliani Pochi hanno sentito parlare del piccolo Mohammed. Ancora meno sentiranno parlare dei suoi assassini Accompagnare gli studenti a scuola per proteggerli è nobile, ma non basta. È facile parlare, ma è difficile agire. Questa idea non è mai decollata durante tutti gli anni di occupazione, tranne uno o due tentativi subito bloccati da Israele. È difficile incolpare la sinistra per questo, ma è impossibile non provare un po’ di amarezza per la sua inazione. Questa settimana, altri palestinesi saranno uccisi senza motivo e le loro proprietà saranno distrutte. I bambini bagneranno i loro letti, temendo qualsiasi fruscio nel cortile, sapendo che i loro genitori non possono fare nulla per proteggerli. Ancora una volta, i palestinesi saranno lasciati indifesi. L’invasore è legittimo e chi difende la sua vita e la sua proprietà è un terrorista. I criteri morali sono incomprensibili nella loro assurdità».

Gideon Levy, che chi scrive ha l’onore di conoscere da tempo immemore, ha ancora la forza e il coraggio d’indignarsi. E di prendere le parti di un popolo da 56 anni sotto occupazione. E affermare che chi vive in questa condizione ha il diritto a resistere. Non è il solo a pensarlo. Sarei entrato in un’organizzazione terroristica.  È la risposta che Ehud Barak, già primo ministro d’Israele, il soldato più decorato nella storia dello Stato ebraico dette al giornalista quando gli chiese che cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese. Quell’intervista lasciò il segno. Il giornalista era Gideon Levy.

Dice a l’Unità Hanan Ashrawi: «Cosa si pretenderebbe dai palestinesi? Di dire all’occupante israeliano prego si accomodi, fate come se foste a casa vostra! Perché questo Israele continua. a fare da più di mezzo secolo: trattare i Territori palestinesi occupati come “cosa nostra”. Terre da colonizzare, da annettere come di fatto sta avvenendo. Terre su cui instaurare un regime di apartheid, definito come tale non dai Palestinesi ma da agenzie internazionali, da relatori Onu sui diritti umani, da organizzazioni israeliane come B’tselem. Nei primi 30 giorni del 2023, Israele ha ucciso 35 palestinesi. Dov’è l’indignazione? Ora questo governo estremista e razzista sta intensificando le sue misure crudeli e illegali per rendere la vita dei palestinesi ancora più impossibile».

Quanto poi all’accusa di terrorismo, Ashrawi risponde così: «Israele considera ogni forma di resistenza all’occupazione come “terrorismo” e minaccia alla sua sicurezza. “Terrorismo” sono anche le azioni dirette non violente di opposizione alla colonizzazione, la disubbidienza civile. “Terroriste” sono per Israele anche le Ong palestinesi messe fuorilegge. Minaccia alla sicurezza è considerato anche l’appellarsi alla giustizia internazionale perché indaghi sui crimini commessi dalle forze di occupazione. Togliere speranza significa creare le condizioni perché un senso di giustizia finisca per trasformarsi in desiderio di vendetta, il dolore in rabbia. I giovani palestinesi, la loro stragrande maggioranza almeno, non sono dei fanatici integralisti. Io li conosco bene, di molti di loro sono stata insegnante. Amano la vita, sono acculturati, navigano in internet, e attraverso la rete conoscono il mondo. Nella loro testa non c’è la distruzione d’Israele.  C’è il sogno, la volontà di vivere da uomini e donne liberi in uno Stato palestinese indipendente, dove potersi muovere liberamente, in cui costruire il proprio futuro. Tutto questo viene negato dall’occupazione. Si possono dare tutte le definizioni che si vuole alla resistenza palestinese, all’intifada. Da sempre sono convinta che tra militarizzazione e resa esiste una terza via: quella della resistenza popolare non violenta. Resta il fatto che la resistenza è una reazione e non certo la causa dell’occupazione israeliana. Se non si parte da qui, da questo riconoscimento, è impossibile la ricerca di una pace giusta, duratura, tra pari».

Gideon Levy, Hanan Ashrawi: la speranza ha i loro volti. E la loro coraggiosa determinazione nel riaffermare verità scomode. Che la stampa mainstream ignora. L’Unità, no.