Il caso della ministra
Perché la Santanché ha saputo di essere indagata dai giornali
Se c’è una cosa su cui destra e sinistra potrebbero mettersi d’accordo è proprio questa: difendere il parlamento dagli spifferi giudiziari
Politica - di Iuri Maria Prado
Poteva essere il solito scandalo che lambisce un politico, con le curve “dimissioni sì, dimissioni no” in desolante contrasto parlamentare: e invece anche questa volta irrompe in quel mediocre scenario di contrapposizione il profilo sformato della giustizia adoperata senza controllo. Ieri infatti un quotidiano (Il Domani), e a ruota le testate online, i blog e i social che rilanciavano la notizia, faceva sapere che la ministra Santanché sarebbe indagata dall’autorità giudiziaria.
Accantoniamo il dettaglio dell’ulteriore, strabiliante particolare riferito da quel giornale, e cioè che la ministra sarebbe indagata da mesi, ma ancora non ne avrebbe saputo nulla perché l’iscrizione nel registro degli indagati sarebbe stata “segretata”: un segreto per l’indagato, dunque, non per il giornale che lo sputtana. Ma non possiamo accantonare gli interrogativi, i soliti, che in questi casi non ricevono mai risposte appaganti.
Primo: perché l’indagato (se è tale), deve sapere dai giornali di un’indagine che lo riguarda? Secondo: perché deve saperlo quando le supposte indagini sono ancora in corso, mentre la legge prevede semmai che debba esserne informato quando le indagini sono chiuse? Terzo: perché quell’informazione, che dovrebbe avvenire per ordine dell’autorità giudiziaria, nei tempi previsti dalla legge, e che avrebbe finalità di garanzia, prende sistematicamente la via delle redazioni giornalistiche per trasformarsi in una notizia inevitabilmente screditante?
Da anni, da decenni ormai, occorre fare queste domande. E occorre farle perché l’andazzo continua. Continuano a uscire dai tribunali carte e notizie in violazione dei diritti dei cittadini. Continuano a registrarsi turbative del sistema democratico rappresentativo per opera di chi utilizza o inventa notizie giudiziarie a fini – o in ogni caso con effetti – di pura denigrazione. Continua il costume nazionale – ugualmente indossato a destra e a manca – di mettere in prima pagina la voce dell’accusa e in trafiletto la notizia dell’assoluzione. Continua, soprattutto, il rapporto di vischiosa contiguità tra certo giornalismo e certi ambienti giudiziari.
Ieri, in Senato, dopo che lei si era giustificata (negando peraltro di avere notizia di un’indagine a suo carico), parlamentari dell’opposizione hanno rinfacciato alla ministra Santanché il lungo elenco dei casi riguardanti parlamentari e ministri toccati da indagini giudiziarie, e dei quali perciò le controparti reclamavano le dimissioni. Hanno fatto benissimo, perché è vero che chissà quante volte la destra ha preteso che questo o quell’avversario si dimettesse solo perché indagato. Ma se c’è una cosa su cui destra e sinistra potrebbero mettersi d’accordo è proprio questa: difendere il parlamento dagli spifferi giudiziari, sempre e a prescindere dalla direzione del refolo.