Gli oppositori

Altro che Conte e Schlein: i veri nemici della Meloni sono La Russa e Santanché

Il danno peggiore alla Meloni rischia di farglielo la sua incapacità di uscire, nonostante Palazzo Chigi e il 30% dei consensi, dalla mentalità asfi ttica del Msi

Politica - di David Romoli - 9 Luglio 2023

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Altro che Conte e Schlein: i veri nemici della Meloni sono La Russa e Santanché

In due giorni Daniela Santanchè e Ignazio La Russa hanno fatto più danno al governo Meloni di Elly Schlein in 4 mesi e Giuseppe Conte in 8. Meriterebbero il titolo di capi dell’opposizione ad honorem. E’ grazie a loro che la presidente del consiglio si ritrova, fuori tempo massimo, del tutto a sproposito e contro ogni suo desiderio, in una parte che somiglia alla caricatura del Silvio Berlusconi degli anni ruggenti. Grazie a loro ma anche molto grazie a se stessa.

E’ stata la premier in persona, con la sua reazione scomposta alla scompostezza patologica della ministra del Turismo, a rianimare una magistratura sino a questo momento afasica e costretta a stanche proteste d’ordinanza. Senza la reazione sproporzionata di palazzo Chigi il presidente dell’Anm Santalucia non avrebbe potuto, a direttivo dell’Associazione ancora in corso, rimettere in campo argomenti leggerini come la sacrosanta difesa della Costituzione: “Quando il livello dello scontro si alza, il nostro silenzio sarebbe l’impacciato mutismo di chi non sa reagire con fermezza a una politica muscolare rivolta a un’istituzione di garanzia. Sarebbe un arretramento e noi non arretriamo quando si tratta di difendere i valori della Costituzione”. Stentoreo ma inevitabile.

Che il problema numero uno fosse la tendenza a straparlare e strafare dei suoi ufficiali lo si era capito sin dalla nascita del governo e le conferme non si contano. una gaffe istituzionale via l’altra, uno strafalcione comunicativo al giorno: una parola inopportuna non se l’è negata nessuno. Ma erano punture di spillo a paragone di una ministra che sfoggia e quasi rivendica, con tutti i riflettori addosso, comportamenti da ancien régime da indice di gradimento popolare sotto terra indipendentemente dagli esiti giudiziari.

O di un’autodifesa dalla quale chiunque ha potuto solo evincere che, con ogni probabilità, la ministra ha mentito prima di tutti proprio alla sua premier, poi anche al Senato e al Paese, cercando a ogni costo di non vedere quello che era invece più vistoso di un pitone reticolato. Per non parlare di un secondo cittadino dello Stato che, invece di conservare il silenzio che chiunque, inclusa la ragione, gli suggeriva, se ne è uscito con una sgangherata difesa del figlio indagato per stupro con argomenti del calibro di quelli illustrati 44 anni fa, e non sono pochi, dallo storico Processo per stupro, anno di grazia 1979.

Trattandosi di figure di rilievo non solo nella destra italiana ma nello stesso partito della premier, è inevitabile che le ombre politiche si proiettino anche su di lei, vanificando in poche ore buona parte di un lavoro d’immagine portato avanti con pazienza nel corso di qualche anno. C’è da chiedersi perché Giorgia Meloni, che non è una ingenua e tanto meno una sprovveduta, non si sia tirata fuori dai guai come le sarebbe stato relativamente facile, o almeno possibile, fare. Perché non abbia scaricato la ministra-imprenditrice, una volta resasi conto di essere stata lei stessa ingannata e presa in giro.

Perché non abbia preso ufficialmente le distanze, pur con garbo e diplomazia, dal comunicato dal sen fuggito a firma Ignazio La Russa. Perché, sulla base di due episodi minori come una fuga di notizie che erano già in piena libertà e l’irrigidimento di un gip sul caso Delmastro, sia stata colta da sindrome d’accerchiamento e abbia reagito con bazooka a punture di spillo. In entrambi i casi la risposta va cercata in quel documento d’identità presentato da Giorgia Meloni stessa quando rivendicò un passato politico da underdog, cioè proprio di una formazione politica ghettizzata e costretta per definizione a non uscire dalla marginalità. In formazioni del genere il fare muro contro qualsiasi attacco esterno, anche quando si sa perfettamente che l’elemento attaccato è indifendibile, è la norma.

Daniela Santanchè, pur con tratti anomali, è comunque parte di quel gruppo e la reazione quasi pavloviana del capo è stata la difesa a ogni costo. In quel modello di partito inoltre, basta pochissimo, basta un gip in disaccordo con la potente procura di Roma, per far scattare la sindrome d’accerchiamento, il sospetto di un complotto, la paura dell’aggressione pianificata. Il danno a Giorgia Meloni lo hanno fatto Santanchè e La Russa ma molto di più rischia di fargliene l’incapacità di uscire, da palazzo Chigi e con quasi il 30% dei consensi, dalla mentalità asfittica del Movimento Sociale Italiano.

9 Luglio 2023

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