I numeri del lavoro

I migranti ci hanno salvato, senza l’Italia sarebbe al fallimento: i dati

Se non bastasse il dato grosso, relativo al 10% di Pil italiano generato dai lavoratori immigrati, conferiscono più di quel che prendono

Editoriali - di Iuri Maria Prado - 9 Luglio 2023

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I migranti ci hanno salvato, senza l’Italia sarebbe al fallimento: i dati

Come ogni demagogia populista, anche la retorica sui disastri dovuti all’immigrazione ha un debito con la realtà: la realtà di un Paese, il nostro, che senza gli immigrati sarebbe puramente e semplicemente fallito. Se non bastasse il dato grosso, relativo al 10% di Pil italiano generato appunto dai lavoratori immigrati (ma in settori specifici, come l’agricoltura e la ristorazione, arriva al 17%), bisognerebbe ricordare che il rapporto tra gettito fiscale e contributivo, da un lato, e la spesa per servizi e assistenza, dall’altro lato, continua a essere squilibrato positivamente (insomma gli immigrati conferiscono più di quel che prendono).

Il che – sempre per via di realtà – smangia alle fondamenta il castello di sciocchezze sull’Italia invasa da gente che non produce, ruba il lavoro a noialtri e si gode gratis i nostri servizi pubblici. Ma i dati reali contro la propaganda anti-immigrazionista sono ulteriori e anche più ficcanti. Non solo, infatti, non è vero che gli immigrati gravano improduttivamente sulla pubblica economia consumando senza corrispettivo il nostro welfare: è vero semmai che la popolazione immigrata, che si segnala per un’età media inferiore di almeno dieci anni rispetto a quella indigena, urta in modo assai modesto il sistema della spesa pubblica. Per capirsi, non c’è il vegliardo lasciato senza assistenza medica per colpa degli ospedali pieni di africani: c’è piuttosto una buona quota delle pensioni degli Italiani pagata dagli immigrati.

Ma è possibile – e sarebbe intellettualmente onesto, e perciò doveroso – confrontarsi in modo ancora più approfondito con la realtà della presenza e del lavoro degli immigrati in Italia. Perché non solo, ancora, facciamo finta di non sapere che interi settori della vita sociale e del circuito economico sarebbero abbandonati alla devastazione senza il contributo degli stranieri (si pensi al c.d. welfare familiare, alle costruzioni, alle ristrutturazioni edilizie), ma inoltre teniamo clandestina questa verità anche più significativa e fastidiosissima: e cioè che quei settori si reggono sulla “economicità”, per il cosiddetto “sistema Paese”, di prestazioni lavorative scarsamente tutelate (proprio nel campo del lavoro domestico, infatti, ma anche nell’edilizia, cioè nei comparti che maggiormente impiegano gli immigrati, si registrano livelli ridotti di prestazioni contributive).

Allo sguardo sovranista dispiace la gravida cingalese al pronto soccorso, che prende il posto dell’italiano “che non arriva alla fine del mese”: lo turba meno, molto meno, la connazionale di quella usurpatrice, la signora che imbocca il nonno bianco e cristiano non autosufficiente ed è lasciata senza ristori quando la pandemia produce tra gli immigrati il -4% di occupazione (dieci volte più che tra gli italiani). Siamo i più vecchi d’Europa. Senza gli immigrati degli ultimi decenni saremmo i più vecchi del mondo, e lo saremo tra poco se non investiremo in modo proficuo e intelligente per valerci della risorsa rappresentata dagli immigrati anziché dissiparla dicendo stupidaggini sulla sostituzione etnica. Non è solo per giustizia, né ancora soltanto per spirito di fraternità o solidaristico che dobbiamo integrare questa gente: è perché ne abbiamo bisogno. È per utilità. È perché ci aiutino nella nostra vecchiaia. È perché senza di loro non ce la facciamo. E a dirlo non è una filosofia trasognata: sono quei numeri. È quella realtà.

9 Luglio 2023

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