La furia del fratello Pietro
Chi era lo zio di Emanuela Orlandi, Mario Meneguzzi, accusato di molestie: “Fango, scaricano tutto sulla famiglia”
Fratello di Lucia Orlandi, cognato di Ercole Orlandi, gestì la comunicazione via telefono dopo la scomparsa della 15enne. La furia di Pietro Orlandi, che organizza una conferenza stampa: "Di questa vicenda si era già occupata la magistratura italiana nei primi anni Ottanta senza arrivare ad alcun esito"
Cronaca - di Redazione Web
Mario Meneguzzi era titolare della caffetteria di Montecitorio. Era padre di tre figli, Pietro, Giorgio e Monica ed era marito di Lucia Orlandi, cognato di Ercole Orlandi, il padre di Emanuela. Quando la ragazzina, protagonista di uno dei casi più torbidi e clamorosi nella storia italiana degli ultimi anni, sparì nel giugno 1983, gli venne assegnato dai genitori dell’adolescente il compito di gestire i rapporti con l’esterno, con i giornali e i presunti rapitori. Lo zio dell’adolescente scomparsa è il protagonista cui porta l’ultima pista battuta sul mistero della ragazza scomparsa a Roma.
Le accuse sono state rilanciate dalla Santa Sede da un carteggio del settembre 1983 ripescato in Vaticano in cui si leggeva che l’allora Segretario di Stato Casaroli aveva chiesto a un sacerdote inviato in Colombia da Papa Wojtyla delle informazioni. Quel sacerdote era stato confessore degli Orlandi e confessore di Natalina, sorella maggiore di Emanuela. Il Segretario chiedeva una conferma sugli abusi sessuali subiti da quest’ultima da parte dello zio Mario. “Sì, è vero —la risposta da Bogotà — , Natalina è stata oggetto di attenzioni morbose da parte dello zio, me lo confidò terrorizzata: le era stato intimato di tacere oppure avrebbe perso il lavoro alla Camera dei Deputati dove Meneguzzi, che gestiva il bar, la aveva fatta assumere qualche tempo prima”.
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Nessuna prova. Meneguzzi fu anche pedinato dagli investigatori. Era stato lui a intrattenere i rapporti con “Mario”, “Pierluigi” e l’“Americano”, gli interlocutori che telefonavano a casa Orlandi. Finse di essere il padre della ragazza. Era considerato molto vicino ai servizi segreti italiani, in particolare ad agenti del Sisde. Ercole Orlandi avrebbe dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera nel 2001 che a rapire la figlia erano stati proprio “i servizi segreti”. Già dal fascicolo d’inchiesta originario risaltava lo stupore di chi indagava nel raffronto tra il volto di Mario Meneguzzi e l’identikit tracciato dal vigile e dal poliziotto che raccontarono di aver visto, la sera della scomparsa, un uomo che parlava con la 15enne appena uscita dalla scuola di musica. Raffronto mai raccontato dai fatti – Pietro Orlandi ha già raccontato che quel giorno, il giorno della scomparsa, lo zio non era a Roma.
La Procura capitolina guidata da Francesco Lo Voi si concentrerà anche sul motivo per il quale quell’episodio non venne evidentemente valorizzato abbastanza dalle indagini precedenti. Ma per il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro Orlandi, la pista è vecchia, già battuta. “Sono arrabbiato, furioso. Hanno passato il limite come non mai e con l’avvocato Sgrò sto organizzando una conferenza stampa. Non possono scaricare le responsabilità di tutto su una famiglia”. Pietro Orlandi ha organizzato una conferenza stampa per oggi pomeriggio alle 16:00 presso la sede della Stampa Estera.
“Non pensano ai parenti, ai figli? No, questa carognata non può passare così. Nessuno ha chiamato né me, né mia sorella, né i figli di mio zio. Non siamo stati chiamati dalla Procura di Roma da nessuno. Mi auguro che questa commissione parlamentare parta e svergogni chi oggi miserabilmente ci ha infangato. Di questa vicenda si era già occupata la magistratura italiana nei primi anni Ottanta senza arrivare ad alcun esito. Spero che queste non siano le uniche carte, che non sono affatto una novità, che la procura Vaticana ha inviato alla procura di Roma”. Mario Meneguzzi è morto, non può certo difendersi.