Lo scontro politico
Così destra e procure stanno preparando un patto che cambierà faccia al regime
Editoriali - di Piero Sansonetti
La riforma della giustizia dovrebbe partire da pochi punti essenziali. Il primo è la riforma Costituzionale che separa le carriere, e in questo modo rende applicabile l’articolo 111 della Costituzione (che oggi è violato tutti i giorni), il quale prevede che accusa e difesa siano sullo stesso piano di fronte a un giudice terzo. (La costituzione su questo punto è molto precisa. Dice: “terzo è imparziale”. Non richiede solo imparzialità ma impone l’essere terzo, cioè in nessun modo associabile né alla difesa né all’accusa. Ovvio che un collega del Pubblico ministero non può in nessun modo essere considerato “terzo”).
Il secondo punto essenziale è la depenalizzazione di molti reati (specialmente dei reati non violenti) e la riduzione ai minimi termini della carcerazione preventiva. Il terzo punto è il ridimensionamento drastico delle intercettazioni, che anch’esse violano un principio costituzionale e che vengono spesso manipolate o usate per mettere alla gogna i sospettati o addirittura i parenti o gli amici dei sospettati. Quarto punto la piena affermazione della responsabilità civile del magistrato, e cioè la possibilità che il magistrato, come tutti gli altri esseri umani, possa essere chiamato a rispondere e a pagare per i suoi errori professionali (il Presidente delle Ferrovie rischia 7 anni di prigione perché un treno che passava per Viareggio era difettoso; mentre, per dire, i magistrati che rovinarono la vita a Enzo Tortora pagarono niente e anzi furono promossi).
Poi ci sono molte altre necessità di riforma. Ma quelle che ho scritto sono le essenziali. Bene, il governo si sta muovendo in tutt’altra direzione. Ha acceso lo scontro con la magistratura su questioni in grandissima parte secondarie, con un doppio obiettivo. Il primo è quello di mettere al riparo “i suoi”, specialmente in un momento nel quale un discreto numero di problemi giudiziari sta colpendo direttamente o indirettamente esponenti del governo e leader della maggioranza. Il secondo – forse legato al primo – è quello di portare a casa qualcosina che interessa all’establishment della destra, lasciando poi campo libero ai magistrati, che hanno risposto molto bene, piazzando la loro artiglieria ad alzo zero contro il potere politico.
Il governo pensa ad un accordo con la magistratura, perché immagina che un accordo possa portare alla fine della guerra e ad una ragionevole spartizione del potere che metta fuorigioco l’opposizione (una opposizione che da anni punta sempre le sue carte solo sull’azione delle Procure e che si troverebbe a terra se perdesse la leva della magistratura). Una Pace tra destra e procura, nell’epoca post-berlusconiana, costituirebbe un vero e proprio passaggio di regime. L’impressione alla quale comunque non si sfugge, è che ci troviamo di fronte a un gioco delle parti. I magistrati temono la riforma vera, non certo le minuscole correzioni all’attuale legislazione portate dalla riformina Nordio.
Temono sopra ogni cosa la divisione delle carriere (che ridurrebbe in modo clamoroso il potere politico delle Procure), temono la responsabilità civile e la riforma del carcere (che sterilizzerebbe in gran parte il loro maggiore potere: il potere “fisico” di cui dispongono e con il quale possono annientare un cittadino. E quindi anche ricattarlo). Non sono certo disperati per l’abuso d’ufficio e probabilmente neppure per la possibilità che sia negato al Gip il diritto di respingere una richiesta del Pm di archiviazione (misura che comunque sarebbe ragionevolissima e in linea con lo spirito costituzionale). Lo scambio di frecciate tra Palazzo Chigi e l’Anm che ha incendiato la ribalta politica nelle ultime 48 ore, se analizzato con attenzione, ha tutte le caratteristiche della messinscena. Non ha niente a che fare con gli scontri epici tra Berlusconi e le procure. Berlusconi affrontava a viso aperto i magistrati e difendeva i principi fondamentali del garantismo.
Spesso lo faceva a difesa di sé stesso, è vero, ma questo non cambiava la sostanza. Difendersi da una evidente persecuzione è un atto garantista. Va detto che Berlusconi ha combattuto sempre a faccia scoperta ma ha anche sempre perso. Forse perché – anzi: soprattutto perché – non è mai riuscito ad aggregare un fronte garantista e liberale. Lui era a capo di una destra che era riuscito bene ad addomesticare e a subordinare al suo carisma, ma non era mai riuscito a trasformare in una destra liberale.
Le pulsioni reazionarie e giustizialiste della Lega – ampia parte della Lega – e degli eredi di Almirante, talvolta è sembrata sopita, ma non è mai morta ed è sempre saltata su nei momenti decisivi. Quanto alla sinistra, dal ‘92 in poi, era scivolata in un sonno antiliberale dal quale non si è ancora ripresa. È curiosa la sinistra del dopo ‘92: si è riformata accettando la sottomissione al liberismo ma non al liberalismo. Cioè ha accettato solo la parte reazionaria del patrimonio politico dei suoi avversari. Berlusconi, quando si è arrivati al dunque, si è trovato debole e solo sotto i colpi di una magistratura “assetata” e di un mondo politico abbastanza vile. È stato buttato fuori dal Parlamento, e quello è stato il momento nel quale la democrazia italiana ha toccato il fondo.
Ora la nuova maggioranza ha fatto tesoro delle sconfitte e intende non ripeterle. Giorgia Meloni non è in grado nemmeno di firmare un comunicato. Lo firma: “negli ambienti di palazzo Chigi”. Già in questa firma sta la proposta di un patto all’Anm. Giorgia Meloni sa benissimo che questa volta non c’è nessun attacco organico al governo, da parte delle Procure, nessun complotto (come ce ne furono diversi contro Berlusconi) e che si tratta solo di giocarsi una partita alla fine della quale i due contendenti possano risultare entrambi vincitori. Lei ha bisogno di salvare i suoi finiti sotto accusa (compreso, probabilmente La Russa, che pure non deve rispondere di nessun reato) e di varare una riforma piccola piccola piccola. Le Procure chiedono che la Riforma resti davvero piccola e che non si tocchi il loro potere. Sta mediando il sottosegretario Mantovano. Il patto andrà in porto. Il giustizialismo, datemi retta, porterà a casa l’ennesima vittoria.
P.S. Io penso che una opposizione seria non debba chiedere ogni dieci minuti le dimissioni di qualche ministro. Mi stupisco un po’, però, quando mi accorgo che si chiedono dimissioni per Santanché (che non si sa se ha commesso qualche reato, ma comunque sono questioni economiche) o per Delmastro (il quale avrebbe rivelato cose che tutti sapevano e che oltretutto non portavano nessun disonore, ma anzi portavano onore a quattro deputati del Pd che avevano compiuto il loro dovere di visitare i carcerati), mentre si resta abbastanza indifferenti nei confronti di una autorità nazionale (e anche morale) come è il Presidente del Senato, il quale ha usato parole indegne nei confronti di una ragazza che verosimilmente ha subito una violenza sessuale.
Del resto, se dovessi indicare una ragione seria per la quale il governo, o almeno un paio di ministri del governo, avrebbe fatto bene a dimettersi, beh io direi la strage di Cutro, nella quale le responsabilità dell’Italia sono gigantesche e per la quale nessuno ha risposto né sul piano politico né, probabilmente, su quello giudiziario. Il fatto è che ormai nell’opinione pubblica è passata l’idea che essere responsabili per una tangente o per un traffico di influenze sia cosa assai più grave che essere responsabili della morte di 100 persone.