La lettera aperta
Natalia Aspesi tra sviste, offese e manipolazioni: ecco il metodo Repubblica
Nella rubrica che tiene su “Il Venerdì” la giornalista mi attribuisce posizioni che non mi appartengono condendo il tutto con notazioni velenose sul mio conto. Ma dai vertici solo silenzio
Editoriali - di Fabrizio Mastrofini
Cara collega Natalia Aspesi, perché approfitti della tua rubrica su Il Venerdì e mi fai dire quello che non ho detto? Perché attraverso di me manipoli i tuoi lettori, facendo confusione, facendo finta di non capire la questione che ho sollevato? Eppure è semplice: rispondendo a una tua lettrice anonima (anonima! Ancora a questo punto siamo, come nell’Ottocento?), che solleva interrogativi a partire da una mia lettera, tu interpreti quello che ho scritto e mi metti in bocca (o sulla carta…) concetti che non mi sono mai sognato di esprimere (neppure di pensare).
E poi siccome ho reagito, della mia reazione citi quello che ti pare, per non fare capire più niente a nessuno, passare te per povera vittima e sferrare il più classico e inutile degli attacchi. Quello “ad hominem”, prendendo una mia foto in rete (delle molte) e commentandola. Complimenti per la lezione di alto giornalismo. E adesso facciamo capire un po’ meglio ai lettori de l’Unità di cosa parliamo. Il 9 giugno Il Venerdì, nella rubrica di N. Aspesi, pubblica una mia considerazione sul tema del ruolo dei padri, in relazione a due lettere di una signora che raccontava la sua esperienza di fecondazione eterologa.
Si noti: la mia era in riferimento ai temi trattati dalla signora – la questione di una donna che per avere un figlio ricorre, appunto, alla fecondazione eterologa e lo cresce da sola. Il 23 giugno, la stessa rubrica pubblica la lettera di una signora (anonima!) che mi cita esplicitamente, criticandomi, e risponde sulla sua esperienza di crescere un figlio da sola perché maltrattata dal marito, che ha (giustamente) lasciato. E fin qui la ‘cosa’ sarebbe pacifica. Il punto è che la nostra Aspesi non ha avuto (non ha voluto avere?) la prontezza di rispondere spiegando alla seconda che la mia lettera trattava di un tema completamente diverso. Chiarito questo, la Aspesi poteva rispondere alla sua lettrice come credeva più opportuno. Invece, legando la lettera del 9 giugno a questa del 23, che riguarda una situazione diversa, la Aspesi è partita con fantasiosi fuorvianti riassunti dei contenuti da me espressi.
Ecco gli esempi, per capire meglio. Dicevo il 9 giugno: “Non dovrebbe essere la relazione tra due persone a dare valore e valori ad una nuova vita? Certo, dirà, ci sono molti fallimenti nelle coppie e tante situazioni monogenitoriali (…) O dobbiamo rassegnarci a descrizioni di solitudini esistenziali fatte di padri assenti e madri (sempre) presenti? E in ogni caso, dovremmo sempre chiederci se davvero il “bene” di uno o dell’altro genitore, diventi automaticamente anche il bene del figlio/a?”. Scrive l’anonima del 23 giugno: “Ho cresciuto una figlia da sola, tanto dolore per solitudine alle feste scolastiche e compleanni (…). Non capisco cosa voglia dire il lettore Mastrofini, mi aiuti lei. Forse che anche avendo un padre biologico la fatica e la solitudine e talvolta la disperazione sono travolgenti?”.
E qui arriva il colpo di scena (il primo!). La Aspesi non dice che sono due temi diversi. Si mette a fare l’esegesi della mia lettera, e parte per la tangente. E così afferma sicura: “Il signor Mastrofini dice quel che gli uomini sostengono, che un padre “biologico” è meglio di un padre anonimo”; “Sempre che la nuova destra ce lo consenta, anche le donne potranno, volendo, avere figli senza padre, come del resto abbiamo avuto per secoli, con i padri fuggiti e del tutto indifferenti e lontani” e termina: “temo che gli uomini che in questo momento sono i più portati a sperare nelle nascite, in realtà temano di essere esclusi dalla procreazione, con l’idea terrorizzante di qualcosa di, forse, spaventoso”.
Faccio notare che non ho mai detto (e non penso) che “un padre biologico è meglio di un padre anonimo”. In nessun passaggio di quello che ho scritto si può avallare questa affermazione. E i riferimenti alla “nuova destra” o “l’idea terrorizzante” di essere esclusi dalla procreazione, non c’entrano con la mia lettera e le mie considerazioni. Invece diventa tutto un guazzabuglio indistinto. È una attribuzione di idee penalmente rilevante (se ci fosse una giustizia veloce, e se La Repubblica avesse un Garante dei Lettori!). Ma arriva il secondo incredibile colpo di scena. La rubrica del 7 luglio della Aspesi è dedicata a me. Quale onore. Prima un lettore (non anonimo) mi cita in positivo. Ma subito dopo la Aspesi prende la parola e per tre colonne e mezzo mi fa passare per uno che fa passare lei per una svampita manipolatrice poco di buono (ma quando mai!). E poi ci va giù con la perla delle bugie. La trascrivo.
Nota la Aspesi il 7 luglio che lei, poverina, il 23 giugno “in tutto il mio sproloquiare (il suo cioè, ndr) mai, dico mai, il signor Mastrofini viene citato”. E invece non è vero, visto che scrive proprio “Il signor Mastrofini dice quel che gli uomini sostengono che un padre ‘biologico’ è meglio di un padre anonimo”. Caspita che memoria corta! E poi, dai, ma che bisogno c’è di usare un tono astioso, commentare una foto trovata in rete e dire che non sapeva che fossi un collega giornalista? Cerca di ridicolizzarmi e non si accorge che nel descrivermi cita due libri che ho pubblicato, ne fa la pubblicità (anche l’Editore ringrazia per mio tramite!). Libri che siccome si occupano di Chiesa, mi fanno diventare automaticamente “di parte”. E già perché invece lei da che parte sta?
Questo è il giornalismo che ci meritiamo? Questo è il trattamento da infliggere ai lettori? In tutto questo discutere, chi capisce più da dove eravamo partiti? E invece eravamo partiti da un tema serio: adulti, rapporti di coppia, diritti dei figli, tecnologia che interviene sul desiderio di maternità e paternità. Temi seri, “incianfrusagliati” da ipotetiche fantasiose sbagliate esegesi di quello che i lettori non dicono. Qui agisce l’ideologia e il disordine informativo (tema di un mio libro che la Aspesi non cita mentre farebbe bene a leggere). Scopo: evitare di discutere per davvero. Come direbbe una scrittrice più famosa di me (e della Aspesi, temo), “niente e così sia”. Ho scritto a Direttore e vicedirettori de la Repubblica. Nessuna risposta, ovviamente. Scrivo una Lettera aperta, perché la vicenda è emblematica di un giornalismo arrogante, irrispettoso e alla lunga fallimentare.