Il ricordo
Chi era veramente Arnaldo Forlani, l’impegno per la pace e la cooperazione
La Resistenza, gli esordi da sindacalista, l’impegno per la pace e la cooperazione, l’amore per la politica. Nonostante i clamori di Tangentopoli, “bevve la cicuta fino in fondo”. Ci ha lasciati l’ultimo grande leader politico
Editoriali - di Mons. Vincenzo Paglia
Pubblichiamo qui di seguito ampi stralci dell’omelia che monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la Vita, ha dedicato ad Arnaldo Forlani in occasione dei funerali dell’ex leader Dc, da lui presieduti, presso la Chiesa Ss. Pietro e Paolo all’Eur.
Arnaldo Forlani compie il suo ultimo tratto che lo separa dalla Gerusalemme del cielo. Quante volte Arnaldo ha ascoltato questa pagina dell’Apocalisse! E, come credente, quei cieli nuovi e quella terra nuova li ha sempre avuti davanti, certo solo in visione, come meta della sua vita, ma anche della stessa azione politica. La visione della nuova Gerusalemme come destinazione di tutti i popoli, non riguarda solo la fine della storia: essa orienta già da ora l’azione del credente.
Questa pagina biblica che ascoltiamo in questa celebrazione illumina non solo il senso della morte – quella di Arnaldo, la nostra, di tutti – come passaggio verso la destinazione della storia, appunto la Gerusalemme del cielo ove anche la morte sarà vinta per sempre. E questa luce illumina anche il buio di questo tempo segnato tragicamente da guerre, stragi, distruzioni, che lasciano spaesati e senza più visioni. Ecco, vorrei ricordare Arnaldo Forlani proprio a partire di qui, ricordarlo come uomo di pace. Lo fu non solo da ministro degli Esteri – primo governante europeo a visitare una Cina ancora sconvolta dalla scomparsa di Mao – ma in tutta una lunga attività politica, attentissimo alle relazioni multilaterali, alla cooperazione internazionale e all’europeismo.
Voleva che l’Europa portasse un proprio originale contributo per lo sviluppo e la pace nel mondo e fu anche, per un breve periodo, ministro per i rapporti con le Nazioni Unite. Tutto ciò aveva una radice profonda che affondava nel terreno della sua formazione giovanile nell’Azione Cattolica e nella Fuci. Ed appariva appassionata quando parlava di La Pira, un credente che ha sempre avuto nel cuore la visione finale della Gerusalemme del cielo: in lui – diceva – era “sempre presente il disegno biblico finalizzato alla pace e un nuovo ordine: le spade convertite in vomeri”.
Visioni come questa spingevano Arnaldo Forlani a dare un esempio di rigore, di serietà e di sobrietà. Non ci ha lasciato solo un’importante eredità politica, ha anche compiuto un’opera che resta nelle fibre profonde della società italiana. È bene dirlo: se l’Italia è diventata così diversa – in meglio – da come era nel 1945 è anche per la sua opera e per quella di tanti altri, credenti e non, impegnati con serietà a servire il Paese. Fin dalla giovinezza Arnaldo lo ha fatto, quando, ancora ventenne, negli anni della liberazione entrò nella clandestinità partecipando alla Resistenza. E ha continuato a servire con fedeltà il Paese. Fece suo il vecchio motto “giusto o sbagliato è il mio Paese”.
Ed è bene ricordare che quanto Arnaldo ha fatto con passione e zelo per l’Italia – assieme a tanti altri – conta ancora, anzi suggerisce uno stile di vita. In una realtà conflittuale e polarizzata come quella in cui viviamo, appare forse più chiara l’importanza della sua opera costante per conciliare posizioni diverse, per avvicinare forze contrapposte, per tessere alleanze tra mondi anche culturalmente lontani. Tutto ciò che la buona politica avvicina, ricompone, collega, migliora la vita di una società e, al tempo stesso, fa accumulare a chi la promuove un tesoro prezioso che resta patrimonio comune. Il Paese ha bisogno di visioni che uniscano.
Nella sua solida formazione cristiana Arnaldo ha trovato i motivi ispiratori del suo impegno politico che lui riassumeva in due parole: dovere e passione. Ci vogliono entrambi per far fruttare i talenti ricevuti, come lui ha fatto. Il senso del dovere, anzitutto. Il talento di cui parla il vangelo non è qualcosa di proprio ma, appunto, un dono che si riceve e la cui proprietà resta sempre di un Altro. E qui il senso cristiano dell’esistenza ha segnato con decisione la sua azione politica. E poi anche passione. Nell’impegno per la società c’è bisogno di creatività, di determinazione, di pazienza, di coraggio e di speranza. Sì, dovere e passione, non spingono a seppellire i talenti sottoterra, come avviene quando li usiamo per noi stessi, ma spingono a investirli perché producano molti frutti per il bene degli altri, magari correndo qualche rischio personale, accettando rinunce e mettendo in conto anche sconfitte, croce compresa.
Ho conosciuto meglio Arnaldo Forlani quando si abbatté su di lui la tempesta giudiziaria. Di quei momenti ricordo la sua dignità, la mitezza ed anche l’equilibrio. Certo, in un mare di dolore e di sconcerto. Mi colpì la sua fiducia in Dio: si affidò alle sue mani, come il salmista: “anche se vado in una valle oscura non temo alcun male, perché tu sei con me”(Sal 23, 4). E sentiva forte l’amicizia della sua famiglia e degli amici. Molti hanno sottolineato l’inconsistenza delle accuse che gli sono state rivolte, e di certo non si è arricchito con il suo impegno pubblico. E neppure si è sottratto all’azione della magistratura rispettandone l’azione, interpretando, poi, tutto come un effetto amaro del clima devastante di quegli anni. Ma lui – così disse – volle bere “la cicuta fino in fondo”.
Tutto ciò non intaccò, anzi rafforzò, la sua attenzione – ne fece uno stile umano e politico – a non indebolire le istituzioni sulle quali si fonda la convivenza civile e il bene di tutti. Il suo rispetto anche per chi aveva idee diverse dalle sue, è stato un contributo sostanziale allo sviluppo e al consolidamento della democrazia nel nostro Paese. Arnaldo ha sempre mostrato un grande senso delle istituzioni tutte le volte in cui è stato presidente e vicepresidente del Consiglio o ministro. La sua sobrietà e il suo rigore si univano in lui a una viva sensibilità per i problemi sociali, più volte ne abbiamo parlato assieme, anche perché da giovane iniziò come sindacalista nella corrente cristiana nella Cgil, allora unitaria. Era sempre attento agli effetti pesanti sulla vita di tante persone che avevano gli squilibri del sistema economico – come, in Italia, quelli tra città e campagna, tra Nord e Sud – e spesso i suoi discorsi rivelano una profonda sintonia con le encicliche sociali di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.
Arnaldo non si riconosceva nell’immagine di uomo di corrente. Era sì un uomo di partito, quando i partiti erano le forze vitali della democrazia italiana. E pensava che i partiti fossero chiamati a servire gli interessi non di una parte ma di tutti gli italiani. Uno dei motivi per cui ammirava tanto De Gasperi – me lo raccontò un giorno nei nostri colloqui – fu la commozione e la gratitudine che l’intero popolo italiano espresse per lo statista trentino mentre lo accompagnava nel suo ultimo viaggio da Trento a Roma. Lo scrisse anche: “è stato il momento di più intensa identificazione tra il nostro partito e l’Italia”. Il ruolo guida della Dc gli pareva una necessità, in presenza di un grande partito comunista in Italia. Era convinto che questo problema non potesse essere risolto con forzature, ma solo con “un lungo e difficile confronto” democratico: escludeva, perciò, la creazione di “un blocco d’ordine” che avrebbe lacerato in modo drammatico la società italiana e ha sempre contrastato l’uso politico della violenza da parte di gruppi con opposte matrici ideologiche.
È stato lui a coniare l’immagine del “potere discreto”, per indicare l’ideale di una limitazione del potere da parte anzitutto di chi lo esercita. Lo diceva anche per il suo partito: deve rispettare “anche nell’immagine una consuetudine di prudenza e di collegialità”. E, pur convinto dell’importanza dei partiti per la democrazia italiana, era però contrario alla concentrazione di tutto il potere nelle loro mani: fin dagli anni Sessanta, fu tra i primi a parlare di riforme istituzionali per correggere i limiti e le deformazioni del sistema politico, un problema di cui ancora oggi si continua a discutere, non sempre con il disinteresse e la lungimiranza di cui egli era capace. Anche la sua uscita di scena – trent’anni fa; un’uscita totale e irrevocabile – è stata improntata all’ideale di un “potere discreto”. È rimasto sempre fedele al partito in cui si è svolta la sua intera vicenda politica.
Non ha condiviso le scelte di quanti, anche vicini a lui politicamente, hanno rotto quell’unità che per lui costituiva un bene superiore agli interessi personali: doveva sempre prevalere sulle divergenze di vedute e sui conflitti di potere, per ragioni più profonde di quelle solo politiche. Con la fine della Dc, Forlani ha ritenuto definitivamente conclusa anche la sua esperienza politica, scegliendo un rigoroso riserbo. Ma ancor prima delle risposte sentirà il Signore che sull’uscio gli dirà, come il Vangelo suggerisce: “Arnaldo, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuto padrone”.
E ci piace immaginare l’amata moglie, Alma Maria, farsi avanti tra i tanti che lo aspettano per riabbracciarlo, e con lei i genitori la moglie e gli amici, numerosi, che gli fanno festa. E tu, caro Arnaldo, davanti a Dio ricordati di noi tutti, ricordati dell’Italia che hai amato e servito, ricordati dell’Europa e intercedi con insistenza perché venga presto la pace in Ucraina e perché tutti i popoli si incamminino verso quella fraternità universale che resta il sogno di Dio sul mondo.