Il reclamo del Ministero
Il governo stoppa i giudici: non vi impicciate di migranti
Lo Stato non è obbligato a rilasciare visti umanitari e l’unico modo per entrare in Italia è attraverso i corridoi umanitari o le evacuazioni organizzate di tanto in tanto. È questa la pretesa avanzata
Politica - di Angela Nocioni
Chi entra in Italia lo decide il governo, i giudici non si occupino di migranti, sono fatti nostri. Questo il senso di un ricorso del ministero degli affari esteri contro la decisione del Tribunale di Roma che ordina alla nostra ambasciata a Teheran di rilasciare un visto per permesso umanitario. Non solo il ministero non ha ottemperato alla decisione del giudice, non solo l’ambasciatore non ha rispettato la sentenza immediatamente esecutiva.
Il ministero ha pure presentato un reclamo avanzando l’ incredibile pretesa che i giudici non si occupino di chi ha o non ha il diritto a chiedere protezione. Nemmeno fossimo a Tunisi, governo Saied. Succede a Roma. Governo Meloni. Politicamente gravissimo. Giuridicamente folle. Il dettaglio della sentenza lo leggerete tra qualche riga. È un precedente molto interessante e chiarisce questioni fondamentali. La notizia che ha dell’incredibile è però l’inaudita arroganza del reclamo. Il suo contenuto lo racconta l’avvocata Loredana Leo, dell’Asgi: «È un reclamo contro la decisione del giudice, senza però effetto sospensivo, in cui si sostiene tra le altre cose che lo Stato non è obbligato a rilasciare visti di tipo umanitario e che l’unico modo per entrare attualmente in Italia sarebbe tramite i corridoi umanitari o le evacuazioni organizzate di tanto in tanto dal governo italiano».
Non è solo la conferma del fatto che questo governo vuole cancellare la possibilità di richiedere il permesso umanitario, vuole impedire che una persona che si trovi all’estero possa iniziare un procedimento legale per vedersi riconosciuto il diritto a chiederlo. È la pretesa di dire a un tribunale italiano: tu occupati di altro, l’immigrazione è roba nostra. È anche una intimidazione ai giudici. Alcuni infatti si precipitano ad allinearsi e tentano di dare spazio alla obiezione (governativa) che il diritto a un visto per motivi umanitari dal tribunale sia scavalcare ignominiosamente la fila. Un’inversione logica. Non solo perché si tratta dell’esercizio di un diritto ma perché la fila è solo ipotetica: le evacuazioni da molti paesi sono bloccate.
Nel caso del paese in cui si trova la persone del ricorso del Tribunale di Roma, l’Iran, l’evacuazione era bloccata. In ogni caso le evacuazioni sono azioni straordinarie. Si tratta di solito di aerei speciali organizzati da paesi limitrofi per gruppi di persone specifiche senza nessuna certezza su procedure, su chi parte e quando parte e sulla base di quali diritti. I corridoi umanitari si attivano con protocollo firmati volta per volta da vari ministeri e soggetti del terzo settore: Sant’egidio, innanzitutto, Arci, Caritas. La scelta dei beneficiari viene lasciata a chi organizza il corridoio e sono loro che si occupano sia della selezione delle persone che del loro sostentamento su territorio italiano.
Nel caso dell’Afghanistan, per esempio, è stato firmato nel 2021 per l’ingresso di 1000 afghani in due anni. Il Tribunale di Roma ha scritto: «Nemmeno vale l’ulteriore obiezione di consentire in questo modo agli odierni ricorrenti di superare le persone che attendono l’ingresso secondo il canale in principio predisposto, atteso che siffatta considerazione non può impedire la valutazione giudiziale nel singolo caso sottoposto all’esame del giudice. Tale timore può piuttosto essere scongiurato dall’Amministrazione stessa, mediante l’effettiva implementazione dei canali previsti nei confronti di persone nella stessa situazione degli odierni ricorrenti. Si nota piuttosto come la programmazione dell’operazione di evacuazione cui fa riferimento l’Amministrazione (a prescindere dalla sua effettività nella pratica) non faccia che rafforzare la dimostrazione di una presa in carico da parte dello Stato italiano delle persone (…) e dunque di uno stretto collegamento tra questi ultimi e lo stesso Stato con il correlato diritto dei primi a fare ingresso (…) alla luce della grave situazione di pericolo in cui si trovano».
Il caso specifico riguarda un cittadino afghano, ex membro dell’esercito, che ha studiato in Italia, si è laureato prima all’Università di Modena e Reggio Emilia e poi in giurisprudenza all’Università di Roma Tor Vergata. Rientrato in Afghanistan, ha continuato ad avere stretti rapporti con i Paesi Nato e soprattutto con l’Italia, dove è venuto più volte per motivi di formazione. Con la presa del potere da parte dei talebani è stato chiamato per l’evacuazione da parte delle autorità italiane insieme alla sua famiglia. Che però in quel momento si trovava nella Valle del Panjshir e non è riuscita a tornare in tempo a Kabul per partire alla volta dell’Italia, dove invece è stato evacuato il padre che ora si trova a Roma.
Lui quindi era stato costretto a scappare in Tagikistan, per sfuggire ai talebani a cui non stano simpaticissimi i locali che hanno lavorato con la Nato. La sua famiglia, moglie e figli, era rimasta in Afghanistan. Tramite l’avvocata Leo quest’uomo ha quindi, presentato domanda di visto per motivi umanitari. Non concesso. Ricorso al Tribunale civile di Roma ai sensi dell’art. 700 c.p.c.. Il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso. Quando è uscita la sentenza il marito si trovava in Tagikistan mentre la moglie ed i figli erano ancora in Afghanistan. Non potendo andare in Tagikistan, Paese pericoloso per gli afghani e in cui comunque non è presente un’Ambasciata italiana, tutta la famiglia si è spostata in Iran, vendendo tutti i beni, Il marito per farlo ha lasciato il lavoro. Pur avendo il Tribunale stabilito che il nucleo dovesse entrare in Italia entro 12 luglio, ieri risultava ancora che l’Ambasciata d’Italia a Teheran ed il Ministero degli esteri, sollecitati più volte con pec su pec, non hanno mai risposto alla richiesta.
La sentenza del Tribunale di Roma che il ministero degli esteri si rifiuta di rispettare afferma oltre al caso di merito dei principi fondamentali. Innanzitutto sulla relazione qualificata tra lo Stato e il ricorrente. Il Tribunale afferma la preesistente relazione qualificata tra il cittadino straniero e lo Stato individuandolo in primo luogo nel fatto che il ricorrente abbia vissuto per lungo tempo in Italia, sottoposto alla giurisdizione italiana e, inoltre, nella circostanza che lo stesso fosse stato preso in carico dalle autorità italiane ai fini dell’evacuazione, poi non avvenuta per cause di forza maggiore: «Nel caso di specie, dunque, non può negarsi che lo Stato italiano abbia effettivamente usato la propria autorità per esercitare una forma di potere e controllo sulle persone dei ricorrenti, così intensa da poterli sottrarre al rischio della loro incolumità e trasferirli dal loro Stato di cittadinanza entro il territorio fisico dello Stato italiano».
Si esprime poi su una delle eccezioni molto spesso presentate in questo genere di cause. Si chiede di solito: perché allora non ha richiesto la persona di essere inserimento nelle liste di evacuazione, o di corridoi umanitari? Sul punto il Tribunale afferma che la richiesta di inserimento nelle liste non può dirsi pregiudiziale alla richiesta di ingresso per motivi umanitari, in quanto la domanda di evacuazione non può incidere negativamente «sulla valutazione circa la sussistenza del diritto fatto valere nel giudizio».
Nota a margine. Da notare che la smargiassata inserita nel ricorso ministeriale, quell’impuntarsi contro i giudici che osano accettare ricorsi di cittadini stranieri con diritto a chiedere visto umanitario all’Italia, avviene contemporaneamente a sconfessioni governative del decreto Piantedosi che tenta di spazzar via le ong dal mar mediterraneo. Sette mesi sono passati. Ora alle navi delle ong viene dato l’ordine ufficiale di fare quei soccorsi multipli in mare che il decreto Piantedosi vieta.