La strategia del far west
L’unico confine da difendere è quello del diritto
Italia ancora condannata a risarcire uno straniero vittima nel 2020 di riammissione informale in Slovenia alla frontiera triestina. Una prassi contraria alla Costituzione e al diritto internazionale, che Piantedosi promette di riprendere come e più di prima
Politica - di Gianfranco Schiavone
Il 9 maggio 2023 il Tribunale di Roma con ordinanza (n. RG 3938/22) ex art. 702 bis c.p.c. della giudice Damiana Colla condannava per la seconda volta il Governo italiano, riconoscendo al ricorrente un cospicuo risarcimento per aver subito la prassi, riconosciuta illegittima sotto plurimi profili, delle cosiddette “riammissioni informali” attuate prevalentemente tra maggio 2020 e gennaio 2021 al confine italo-sloveno.
La vicenda, provata in giudizio, riguarda un cittadino straniero, cui è stata successivamente riconosciuta la protezione internazionale, respinto al confine triestino e riconsegnato alla polizia slovena il 17 ottobre 2020 nonostante avesse espressamente chiesto asilo (circostanza riconosciuta dall’amministrazione). La persona è stata poi oggetto di respingimenti a catena, condotti con metodi brutali, fino alla Bosnia dove è sopravvissuto senza ricevere alcuna accoglienza, ma vivendo in un accampamento di fortuna auto-costruito nelle campagne attorno alla città di Bihac; questo fino all’aprile 2021, quando l’uomo ritentava il “game” (espressione usata dai migranti per indicare il violento “gioco” di tentativi di entrare nell’UE e relativi respingimenti) entrando nuovamente in Italia e chiedendo asilo in una città italiana lontana dal confine.
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Diversamente dal caso oggetto dell’ordinanza del 18 gennaio 2021 (n. RG. 56420/20) emessa dalla giudice Silvia Albano, in relazione alla quale il Governo italiano difese il proprio operato principalmente obiettando che non v’era alcuna prova che la persona ricorrente fosse effettivamente mai stata oggetto della riammissione, nel nuovo caso di condanna i fatti sono evidenti ed accertati. Le riammissioni informali sono state più volte rivendicate come condotta legittima da parte delle autorità italiane, ma soprattutto sono state continuamente invocate da larga parte della classe politica come soluzione giusta e necessaria alla presunta “crisi” degli arrivi dei richiedenti asilo. Già il 3 febbraio 2021, a poche settimane di distanza dall’Ordinanza del giudice Albano, il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, affermava: “Questa Amministrazione regionale è intenzionata – come ha già fatto in passato – a difendere la pratica delle riammissioni nella vicina Slovenia. Una procedura che rispetta pienamente sia i principi della Costituzione italiana che quelli del diritto internazionale”.
Da ultimo, il 20 aprile 2023, esercitandosi in una propria assai peculiare interpretazione giuridica, lo stesso Fedriga affermava che “è fondamentale la disponibilità, per quanto mi riguarda, non soltanto dell’Italia, come sta dimostrando, ma anche della Repubblica di Slovenia a continuare a far crescere le riammissioni in Slovenia, perché altrimenti vorrebbe dire non soltanto far arrivare immigrati irregolari nel nostro Paese quando passano per altri Paesi europei, ma negare lo stesso Diritto europeo”.
E’ opportuno soffermarsi su dichiarazioni come queste per comprendere a fondo la pratica della riammissione, che è consistita in un tenacissimo tentativo di sovvertimento della legalità di cui sono stati violati persino i più basilari principi, a iniziare dall’assenza di qualsivoglia provvedimento motivato in fatto e in diritto e notificato all’interessato. Come sottolinea la giudice Damiana Colla del Tribunale di Roma “l’illegittimità della prassi è dunque evidente innanzitutto per la mancata previa emanazione di un provvedimento amministrativo notificato all’interessato ed impugnabile dinnanzi all’autorità giudiziaria (…) la carenza di un provvedimento impugnabile finisce per privare la persona sottoposta alla riammissione dei propri diritti alla difesa ed a un ricorso effettivo, in violazione dell’art. 24 della Costituzione italiana, dell’art. 3 della CEDU e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE”.
Eppure, già nel luglio 2020, rispondendo alla Camera dei Deputati all’interrogazione dell’on. Riccardo Magi, l’allora sottosegretario all’Interno Achille Variati (PD) oggi parlamentare europeo, affermava con teatrale disinvoltura (si veda pure il video della seduta) che “l’esecuzione di tale tipologia di riammissione non comporta la redazione di alcun provvedimento formale, applicandosi per prassi consolidate le speditive procedure previste dall’accordo di riammissione”. La storia delle riammissioni informali, triviale neologismo finalizzato a coprire la realtà di respingimenti illegali a catena, è una storia di lungo corso che investe sia il centro destra che il centro sinistra (le riammissioni furono infatti condotte durante il governo Conte 2).
Ciò mette in luce ancora una volta, analogamente a quanto accaduto in diverse altre circostanze, prima tra tutte gli accordi con la Libia, quanto profonda sia stata, e in parte lo sia tuttora, la crisi politica e culturale in cui è sprofondata la sinistra italiana rispetto all’adesione effettiva al valore supremo della difesa dello Stato di Diritto e della tutela dei diritti fondamentali della persona. Il film di Andrea Segre Trieste bella di notte, costruito raccogliendo la storia di una dozzina di rifugiati respinti dall’Italia e che hanno subito inaudite violenze lungo la rotta balcanica, solleva magistralmente il nauseabondo groviglio di responsabilità e omissioni politiche che sta alla base di una delle più opache pagine della nostra storia recente.
Radicalmente prive di una base legale, delle riammissioni si è subito tentata una legittimazione giuridica invocando l’accordo bilaterale tra Italia e Slovenia sulla riammissione delle persone irregolari rintracciate nell’area di frontiera risalente al lontano 3 settembre 1996. Ma con la nuova ordinanza, il Tribunale di Roma ricorda, come aveva già fatto la giudice Albano con la sua precedente ordinanza, che tale accordo “non essendo stato mai ratificato dal parlamento italiano, non può introdurre modifiche o derogare alle leggi italiane o alle norme di derivazione europea o internazionale vigenti nell’ordinamento italiano”. Di estrema importanza risulta il rilievo della giudice Colla laddove evidenzia come, oltre che prive di provvedimento, le riammissioni sono state condotte senza la “preventiva convalida dell’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 13 della Costituzione e come già previsto per i cittadini stranieri dagli artt. 10,c.2 bis e 13 c.5bis del d.lgs 286/98”.
Trattandosi a tutti gli effetti di una misura che incide “profondamente sulla sfera giuridica e sulla libertà della persona interessata”, ogni allontanamento coattivo dal territorio nazionale deve infatti essere soggetto a controllo giurisdizionale come stabilito dalla Corte Costituzionale fin dal 2001 (Corte Cost. Sentenza n. 195/2001) e a nulla rileva la circostanza che la riammissione è attuata nell’arco di poche ore. Già la giudice Albano, nell’ordinanza del 18 gennaio 2021 aveva evidenziato come “A fronte dell’autorevolezza e pluralità delle fonti che danno conto delle sorti dei migranti “riammessi” in Slovenia, sottoposti di fatto a un respingimento a catena fino in Bosnia, come l’odierno ricorrente, deve ritenersi che il Governo italiano avesse tutti gli strumenti per sapere che le “riammissioni informali” avrebbero esposto i migranti, anche i richiedenti asilo, a trattamenti inumani e degradanti. La condotta delle autorità italiane è stata, pertanto, posta in essere in contrasto con obblighi di diritto interno, anche di rango costituzionale, e di diritto internazionale”.
La giudice Colla sposa lo stesso corretto orientamento e, richiamando le diverse pronunce in materia da parte della Corte EDU, con estrema chiarezza richiama nella sua ordinanza, un principio giuridico tanto importante quanto usualmente indigesto all’amministrazione, ovvero che il divieto di non respingimento, che non ammette eccezioni, “si configura inoltre anche nell’ipotesi che in cui lo Stato membro [dell’UE] sia a conoscenza (o possa ragionevolmente esserlo) che il rischio reale e attuale di condotte lesive dell’integrità e dignità della persona si concretizzi non nel primo Paese in cui la persona è respinta (tappa intermedia), bensì in un altro e successivo luogo definito”.
Smentendo la tristissima posizione bi-partisan sostenuta da Fedriga così come a suo tempo dal già citato Variati, che nella citata risposta all’interpellanza dell’on. Magi riteneva Slovenia e Croazia “intrinsecamente Paesi sicuri, sotto il profilo del pieno rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali in materia”, la giudice Colla ricorda come “la Corte di Giustizia UE ha più volte affermato che il diritto europeo osta a qualsiasi presunzione assoluta di rispetto dei diritti fondamentali da parte dello Stato membro designato come competente”. A fine novembre 2022 l’attuale Ministro dell’Interno Piantedosi annuncia la ripresa delle riammissioni verso la Slovenia, in attuazione del citato accordo bilaterale, seppure senza citare in modo espresso i richiedenti asilo (anzi fuggendo sul punto alle domande dei giornalisti).
Ciò provoca “oltre 650 tentate riammissioni in pochi mesi, di cui 500 a carico di cittadini afghani tecnicamente inespellibili” come evidenzia una acuta e circostanziata inchiesta del mensile Altreconomia pubblicata a inizio maggio. Questa volta il tentativo maldestro si risolve in un sostanziale fallimento per la scarsa o nulla collaborazione della Slovenia sulla quale l’Italia esercita pur forti pressioni; già a marzo 2023 il nuovo tentativo di forzare la legalità al confine orientale dunque cessa, ma temo, solo provvisoriamente. Tutti i confini europei, anche quelli interni, incluso il nostro confine orientale, si configurano infatti come luoghi nel quale la certezza del diritto è totalmente assente perché sottratti di fatto al controllo giurisdizionale e nei quali è altresì impedito con ogni mezzo l’accesso alle organizzazioni di tutela dei diritti dei cittadini stranieri. Luoghi perfetti dunque nei quali poter attuare prassi illegali, che altrove è più difficile mettere in atto.
Ciò spiega perché vi sia un ossessivo orientamento da parte dell’attuale politica, sia italiana che europea, a modificare, de iure o anche solo de facto, le normative dell’UE (dal codice Schengen ai regolamenti su procedure asilo) per rendere le frontiere (la cui stessa nozione giuridica viene dilatata) il luogo cruciale nel quale gestire i fenomeni migratori, esaminare le domande di asilo con procedure accelerate, respingere gli stranieri, meglio se informalmente, ovvero senza alcun controllo. Il confine terrestre italo-sloveno che corre a Trieste e Gorizia è dunque per l’Italia uno dei laboratori privilegiati di questa cupa e pericolosa strategia e di ciò è necessario essere consapevoli.