Il concerto della band
I Depeche Mode acclamati a Roma, il tormento e l’estasi all’Olimpico
“Memento mori” è l’ultima perla di una carriera straordinaria, salutata dai cori da stadio della Capitale, pronta ad annegare i ricordi del Covid in un’altalena di emozioni che spazia dalla paura alla liberazione
Cultura - di Graziella Balestrieri
Partiremo dalla fine e partiremo anche dall’ultimo album, Memento Mori, uscito il 24 Marzo 2023 , per raccontare quella che è considerata ed è a tutti gli effetti, non solo una delle pochissime band sopravvissuta e capace di battere e abbattere gli anni Ottanta con la corona in testa, ma una delle band che ha trasformato il mondo della musica e ha dato in 43 anni di attività la conferma che Martin Gore e Dave Gahan (e fino alla sua morte Andy Fletcher) hanno un talento, ognuno diverso, che nessun altro è riuscito a emulare o/a scalfire. Per l’ennesima conferma schiacciate il testo rewind e rigustatevi il fantasmagorico concerto che l’ormai duo di Basilton ha tenuto ieri sera a Roma nella cornice di uno stadio Olimpico in visibilio, e non per un gol di Dybala.
O meglio, fate un salto a Milano (San Siro 14 luglio) o a Bologna (Stadio Dall’Ara, venerdì 21 luglio) per gustarveli dal vivo, dedicandovi così la giusta dose di felicità smodata stile ultras, che tutti meritate. Badate bene che 43 anni per chi fa musica possono anche valere il doppio, perché si rischia tante volte, tantissime, di ripetersi in maniera anche imbarazzante fino a cadere nel ridicolo. E invece no, il ripetersi non è mai successo (tanto meno l’essere ridicoli) ai Depeche Mode, gruppo londinese nato nel 1980. Ma torniamo ancora di più alla fine e precisamente al 26 maggio del 2022, quando Andy Fletcher, tastierista e uno dei fondatori della band, muore nel sonno per una dissecazione aortica.
Scioccati Martin e Dave, che nella vita reale non hanno mai avuto rapporti di amicizia o di frequentazione al di fuori del lavoro, si stringono in un dolore evidentemente profondissimo che paradossalmente, ma poi nemmeno tanto, li avvicina come persone. Andy era una sorta di tramite tra loro due, la loro via di comunicazione: perso lui, Dave e Martin sono stati quasi costretti ad affidarsi l’uno all’altro, non solo come artisti ma come uomini. Memento Mori era stato registrato prima della morte di Fletcher quindi non c’è nessun collegamento con la sua scomparsa, e per quanto sia facile far viaggiare la testa ed avere le emozioni lì a portata di mano, considerando che i testi sembrano inevitabilmente far pensare alla porta della morte che si apre, nella realtà e per parola dei due, questo alone di morte, del pensiero della morte che si sente ha a che fare più con il periodo pandemico che con tutto il resto, che anche quello in una forma diversa, lo possiamo considerare come una morte, non solo fisica per tante di quelle persone che hanno perso la vita, ma anche una morte spirituale, un’alienazione totale, qualcosa che ci ha profondamente cambiati, peggiorati purtroppo, distrutti, in alcuni casi fatto riscoprire debolezze e mostruosità e sopra ogni cosa ci ha fatto perdere quel senso di libertà che pensavamo essere scontato.
Così Memento Mori è un invito a vivere di ogni piccola e quotidiana cosa, perché dietro l’angolo c’è sempre quella famosa partita a scacchi che molto probabilmente potremmo avere la capacità di rinviare, se siamo fortunati, ma che va affrontata e di sicuro tutti ne usciremo sconfitti e poi c’è un futuro che noi abbiamo creato e che di tanto in tanto ci si ritorce contro. Poi c’è da dire che il sound dei Depeche Mode è sempre stato piuttosto – non direi esattamente cupo – ma profondo nel senso proprio di profondità, di qualcosa che sembra non finire mai e per questo in alcuni casi spaventa, perché il suono dei Depeche Mode va al di là di ogni confine immaginabile.
Ecco, se una dote unica c’è, che è una costante in tutti questi anni, e che deve essere riconosciuta a Martin Gore, la mente da dove parte tutto, è il fatto di avere evidentemente un cervello talmente creativo da costruire dei brani che hanno la capacità di portarti in un’altra dimensione. Non ci addentreremo in questa sede nella spiegazione degli album o nel dire quale sia stato il migliore o meno, o quale sintetizzatore sia stato usato, o quale riff e quale magheggio Martin abbia usato per ipnotizzarci… etc. etc. etc. Non ci addentreremo su come i suoni nascono o Gore li costruisce ma è molto probabile che per capire i Depeche Mode bisogna solo lasciarsi andare, come se stessimo per iniziare un viaggio nella nostra mente, come se la loro musica ci aiutasse ad attraversare anche le zone più oscure, quelle che pensiamo che non esistano ma sono brutalmente familiari.
Questa è la musica dei Depeche Mode in un certo senso, ed è per questo, perché segue le dinamiche infinite della mente, che in tutti questi anni ha saputo quasi inventare suoni/mondi paralleli perché gli album dei Depeche Mode, dal primo all’ultimo, possono essere considerati mondi paralleli. Ed accanto alla mente creativa di Martin Gore (forse il numero uno assoluto, possiamo dirlo, per quanto riguarda le creazioni di nuove sonorità ma con un marchio sempre identificabilissimo) c’è la personalità mostruosamente sensuale di Dave Gahan e di lui parleremo più avanti.
Tornando al sound invece c’è qualcosa nei suoni, in quei magheggi che restituisce una sensualità perduta, un tempo nascosto, una favola e un incubo insieme, la fatina che ti rassicura di giorno e la strega che cerca di avvelenarti con una pozione di notte. I Depeche Mode sono magia in bianco e nero, ed è per questo che si avvalgono da sempre, sin dagli inizi, della collaborazione del talentuosissimo e originalissimo fotografo e regista Anton Corbijn.
Ma questo bianco e nero, al buio si trasforma in una luce potentissima, accecante. Bastano alcuni titoli per rimanere accecati e ne faremo molti di titoli con le date accanto, così per fare capire bene la costanza nella genialità e la disciplina di Gore nell’essere geniale: Just Can’t get Enough 1981, A photograph of you 1982, Everything Counts 1983, Master and Servant 1984, A question of lust 1986, A question of time 1986, Never Let me down Again 1987, Behind the wheel 1987, Personal Jesus 1989, Policy Of Truth 1990, Enjoy the silence 1990, Walking in my shoes 1993, In your Room 1993, It’s no good 1997, Home 1997, Dream On 2001, Freelove 2001, A paint that I’m used to 2005, Suffer Well 2005, Demaged People 2005, Hole to feed 2009, Wrong 2009, Welcome to my world 2013, Heaven 2013, Broken 2013, South My soul 2013, Where’s the revolution 2017, Ghosts Again 2023, People are good 2023, Always you 2023.
Tutti brani in bianco e nero e che sono riusciti a dare alla musica un suono che non si è mai più sentito, nemmeno qualcuno che per sbaglio gli si possa accostare. E poi quell’estetica, quell’assoluta e sontuosa eleganza: un filo di trucco leggero agli occhi, le unghie smaltate a modo, giacche e pantaloni elegantissimi, nessuna forma di volgarità portata sul palco, quasi come se la loro musica fosse un’esibizione di una sfilata di Alta Moda. La creatività di Martin Gore è al servizio della voce, della sensualità, della straordinaria modalità in cui sa stare su un palco Dave Gahan.
Che potrebbe leggere non solo tutto il menù di un ristorante per alzare la temperatura corporea, ma potrebbe anche chiamarvi al telefono e presentarsi come uno delle agenzie delle entrate e statene sicuri, sia donne che uomini eh, vi porterebbe via tutto e voi non direste niente. Dave Gahan ha avuto tantissimi problemi che chiamarli problemi è anche poco. La sua tossicodipendenza aveva non solo devastato il gruppo ma quasi stava per mettere fine alla sua di vita. Prima nel 1995 tentando un suicido e poi nel 1996 un mix di speedball lo ha reso praticamente morto per tre minuti e in quella stanza di albergo a Los Angeles, i soccorritori pensarono che per lui fosse la fine. E invece no, Dave si salva e questa volta per sempre.
Decidendo di farsi curare e di entrare in un centro di disintossicazione dove incontrerà la sua futura terza moglie. Quella di Martin Gore e Dave Gahan è una combinazione felicemente fatale da un punto di vista musicale, straordinariamente imprescindibile. Non c’è molto altro da aggiungere sui Depeche Mode, se non che considerarli (poi ognuno ha le proprie preferenze musicali) come il miglior gruppo nella storia della musica, per la creatività, la costanza e la capacità di mischiare più generi insieme, inventando suoni che non si ripetono mai.