La legge sulla natura
L’Europa batte un colpo: non c’è futuro senza ecologia
La spaccatura nel Ppe che ha portato all’approvazione della Nature Restoration Law ci dice che dopo il Covid la sensibilità ambientale è cresciuta e la politica non può più mettere la testa sotto la sabbia
Ambiente - di Marco Boato
Dopo la recente approvazione, da parte del Parlamento europeo, della Nature Restoration Law, con la sconfitta dello schieramento di centro-destra guidato da Manfred Weber dei Popolari, che si era contrapposto alla Commissione di Ursula von der Leyen, è utile dare uno sguardo più complessivo a questa fase storica, sotto il profilo dell’ecologia politica.
La pandemia da Covid19 aveva fatto emergere in Italia, in Europa e in tutto il mondo la sua drammatica connessione con la questione ecologica, con lo sconvolgimento degli eco-sistemi, causa principale dello spillover. Ma anche con i tragici effetti sulla salute dell’inquinamento atmosferico, che provoca annualmente decine di migliaia di morti, oltre che con il diffondersi nei Paesi sottosviluppati di un’altra drammatica e troppo spesso ignorata “pandemia”: quella della fame, che provoca milioni di vittime, in particolare tra i bambini. Per non parlare delle conseguenze dei cambiamenti climatici, che già sono assai pesanti sul Pianeta Terra e che si prospettano di una gravità assoluta per i prossimi anni, in un arco temporale ormai sempre più breve.
Comprese le ricorrenti tragedie dei fenomeni migratori nel Mediterraneo, provocati non solo dalle guerre, ma anche dagli stessi sconvolgimenti climatici, dei quali abbiamo avuto in Italia una drammatica prova nei mesi scorsi, con l’alternarsi del fenomeno della siccità ai dirompenti eventi alluvionali, specialmente in Romagna, ma non solo. Dall’Europa sono arrivati in questi anni segnali drammatici, sia sul versante economico che su quello sociale e politico. Stiamo dunque vivendo una fase storica di grandissimo cambiamento e grande difficoltà, a livello europeo ma anche mondiale, ulteriormente aggravata dalla crisi provocata dalla pandemia, dai devastanti effetti della crisi climatica e dalla guerra della Russia di Putin contro l’Ucraina.
Il principale (non unico, ovviamente) elemento che vedo di innovazione e anche di speranza rispetto al futuro è la crescita dei vari soggetti politici ecologisti e verdi, sostanzialmente accomunati dai temi dell’ecologia politica e dalla maturazione di una nuova soggettività politica, culturale ed anche etica. Oltre ai Verdi nella dimensione europea e mondiale, mi riferisco anche al movimento dei Fridays for Future, promosso dalla allora giovanissima Greta Thunberg, oltre che a Extinction Rebellion e più recentemente a Ultima generazione. Penso che questo fenomeno dell’ecologismo politico, che si è sviluppato ed accresciuto negli ultimi decenni, sia qualcosa di più dell’ambientalismo classico, e che riguardi nel suo complesso anche l’ecologia economica, l’ecologia sociale fino all’ecologia culturale e della mente. Sia cioè qualcosa che non riguarda più soltanto l’aspetto, pur importantissimo, dell’ambientalismo storico come l’abbiamo conosciuto fino a pochi decenni fa.
Questo nuovo ecologismo politico ha sviluppato l’ambizione di essere non una nuova ideologia, ma una nuova visione culturale, su basi scientifiche, e un nuovo progetto politico, che cerca di affrontare tutte le principali questioni della società contemporanea: da quelle ambientali a quelle economiche, da quelle sociali a quelle culturali, da quelle etiche a quelle istituzionali. Per quanto riguarda il pur difficile percorso dell’ecologismo politico in Italia, resta ancor oggi di grande attualità il riferimento al pensiero ed all’impegno politico-culturale di Alexander Langer, nonostante siano passati ormai quasi trent’anni dalla sua scomparsa (il 3 luglio 1995). La “conversione ecologica”, come l’ha teorizzata Langer, ha a che fare proprio con un cambiamento profondo della società e delle persone, che riguarda la cultura, gli stili di vita, i modelli di comportamento sociale.
È di grande interesse il fatto che di “conversione ecologica” sia tornato a parlare papa Francesco nella enciclica Laudato si’ del 2015, scrivendo anche di “cittadinanza ecologica”, di “educazione alla responsabilità ambientale” e della necessità di una “rivoluzione culturale”. E ancora, nelle parole di Francesco: “Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia”. Una osservazione che vale sia per i cambiamenti climatici e, purtroppo profeticamente, anche per l’attuale crisi internazionale, scatenata dalla guerra della Russia di Putin contro l’Ucraina.
La crisi economica nei Paesi europei (ma non solo) sposta una parte della società verso un populismo di destra, mentre un’altra parte, stante anche la crisi intermittente della socialdemocrazia, trova nell’ecologismo una sua forma di rappresentanza e di prospettiva politico-culturale innovatrice. In questo panorama, dunque, l’ecologismo politico sta costituendo un importante elemento di innovazione, che da solo ovviamente non risolverà tutti i problemi, e non riuscirà certo a governare i Paesi, salvo in qualche caso a livello locale (Germania in primis), ma che costituisce già un termine di confronto e di paragone, inducendo anche le altre forze politiche a rapportarsi con queste nuove tematiche, assolutamente decisive per un futuro sostenibile.
C’era una parola d’ordine che si era diffusa negli anni della pandemia: “nulla sarà più come prima”. Questo sarebbe davvero auspicabile, ma perché ciò avvenga sarà necessario un profondo cambiamento di rotta, una radicale inversione di tendenza. Nella Unione Europea è stato comunque lanciato negli ultimi anni, dal Parlamento e dalla Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, un importante Green Deal, una svolta verde per promuovere quel cambio radicale reso necessario dall’incombere dei cambiamenti climatici.
Ma c’è il rischio che anche questo necessario e urgente obiettivo strategico possa essere ridimensionato dall’incombere del crescente populismo di destra, che mira a negare gli effetti della crisi climatica e, nella prospettiva delle elezioni europee del 2024, a rovesciare la “maggioranza Ursula” che governa attualmente il Parlamento e la Commissione europea. Eppure questa del Green Deal è la strada da seguire assolutamente, se davvero si vuole che “niente sia più come prima”. Errare humanum est, perseverare diabolicum. La questione ecologica, emersa fin dai primi anni ’70 del secolo scorso, a partire dal Rapporto del Club di Roma del 1972, è oggi più attuale che mai, in Italia, in Europa, nel mondo intero.