Le visioni a confronto
Lo Stato da Schmitt a Derrida: cosa c’è nel cuore della politica
Il punto più alto della vita pubblica è per il pensatore tedesco il riconoscimento del nemico. Ma il filosofo francese ribaltò il concetto: conta ciò che è amico
Editoriali - di Danilo Di Matteo
Carl Schmitt considera la politica, la sfera del politico come caratterizzata dalla distinzione tra “amico” (amico politico, appunto, amico pubblico) e “nemico” (pubblico, politico). A riprova di una sorta di priorità di quest’ultimo, sottolineata da Jacques Derrida, poniamoci in ascolto di un passaggio del concetto di “politico” schmittiano: “Pensiero politico ed istinto politico si misurano perciò, sul piano teoretico come su quello pratico, in base alla capacità di distinguere amico e nemico. I punti più alti della grande politica sono anche i momenti in cui il nemico viene visto, con concreta chiarezza, come nemico” (corsivi miei).
“Nemico”, dunque con la concreta possibilità di eliminarlo fisicamente. Per contro, il capolavoro di Derrida Politiche dell’amicizia bilancia il rapporto tra “nemico” e “amico”, fino anzi a capovolgerlo: un controcanto, si direbbe, o un contrappunto. Schmitt, poi, sostiene con forza che, qualora Machiavelli fosse stato un machiavellista (il fine è tutto), avrebbe scritto un’opera completamente diversa dal Principe: un discorso edificante volto a raggiungere il suo scopo con la persuasione a buon mercato, ricorrendo a espedienti e acrobazie retoriche. Il Segretario, al contrario, prova a denudare “la verità effettuale della cosa”; a indicare, cioè, le leggi, i meccanismi e i moventi profondi e autentici dell’agire politico. Proprio come si propone di fare lo stesso Schmitt, quasi dicesse: non vi racconto opinioni o inclinazioni personali, provando bensì a smascherare, se necessario in modo cinico, la cruda realtà.
E qui, di nuovo, entra in gioco Derrida, come un quarto “maestro del sospetto”. Da un lato, sembra dire, Schmitt si propone di analizzare il “politico” e, dunque, l’istituzione statuale con il massimo rigore e la massima lucidità possibili. Dall’altro, tuttavia, si pone, più o meno consapevolmente, lungo la scia dell’idea di Stato prussiana e tedesca, che trova la propria espressione più alta in Hegel. E così ciò che appare (e che in parte è) uno studio obiettivo, quasi freddo e distaccato si caratterizza anche per una presa di posizione particolare: quella, appunto, raffinatamente statalista.