In un momento in cui Fratelli d’Italia sembra aver accantonato l’idea di voler modificare il reato di tortura, da Reggio Emilia arriva la notizia che dieci agenti di polizia penitenziaria sono accusati dei reati di tortura, lesioni ai danni di un detenuto e falso ideologico in atto pubblico. Sono stati raggiunti da un’ordinanza della Procura reggiana che ha disposto la misura coercitiva dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio e servizio.
A darne esecuzione il nucleo investigativo centrale e quelli regionali dell’Emilia Romagna, di Padova e di Milano del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Il Gip ha accolto la qualificazione giuridica dei fatti prospettata dalla Procura, ritenendo sussistenti i delitti a carico degli indagati, in concorso tra loro. Sono accusati di aver redatto tre relazioni di servizio attestanti un diverso svolgimento dei fatti. La vicenda trae origine da una denuncia presentata da un detenuto di origini tunisine in relazione a quanto accaduto all’interno dell’istituto penitenziario lo scorso 3 aprile.
Secondo il racconto del recluso, sarebbe stato picchiato da una ventina di agenti, dopo essere stato costretto a stendersi sul pavimento. Per la senatrice dell’Alleanza Verdi e Sinistra, Ilaria Cucchi, «in carcere si continua ad usare la tortura contro i detenuti. Una pratica che a parole tutti dicono di condannare ma che poi, in realtà, viene usata sempre più spesso, in particolare dal personale delle forze dell’ordine. Sono stata nel mese di aprile in visita al carcere di Reggio Emilia e ho potuto constatare con i miei occhi le drammatiche condizioni in cui vivono i reclusi in quel carcere. Condizioni inumane e degradanti».
Aggiunge la parlamentare: «Se mai ce ne fosse bisogno, questa è l’ennesima dimostrazione dell’importanza di aver approvato una legge che punisse la tortura nel 2017» e ricorda che «dall’ultimo rapporto di Antigone emerge una realtà inquietante: 13 i procedimenti e i processi per presunte violenze e torture avvenute negli istituti di pena di Ivrea, Modena, Viterbo, Monza, Torino, San Gimignano, Santa Maria Capua a Vetere, Palermo, Nuoro, Bari e Salerno. Un giro d’Italia di violenze e torture inaccettabile e non degno di un Paese civile». Da Bari invece arriva la notizia che il gup, al termine del processo di primo grado celebrato con rito abbreviato, ha condannato a tre anni e sei mesi di reclusione il sovrintendente della polizia penitenziaria Domenico Coppi, a un anno e due mesi il medico dell’infermeria del carcere di Bari Gianluca Palumbo e ha assolto l’agente di polizia giudiziaria Roberto Macchia.
I tre erano stati rinviati a giudizio con altre 12 persone, fra agenti e medici della casa circondariale del capoluogo pugliese, per le presunte torture avvenute il 27 aprile 2022 a danno di un detenuto con patologie psichiatriche. Per Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, queste condanne sono «un segno importante di giustizia e rappresenta l’ennesima dimostrazione dell’importanza di aver approvato una legge che punisse la tortura nel 2017. È l’ennesimo caso di condanna, tutte finora in primo grado di giudizio, dopo quelle arrivate per gli episodi avvenuti nel carcere di Ferrara e nel carcere di San Gimignano».
Nella fattispecie di Bari «l’elemento importante era rappresentato dal fatto che la denuncia fosse partita dalla direttrice dell’Istituto e dalla comandante della Polizia Penitenziaria, che di fatto permisero di rompere il muro di omertà che capita si crei in queste vicende. Occorre constatare come, ancora una volta, oltre agli agenti ad essere imputati ci siano anche dei medici. Troppo spesso accade infatti che questi si rifiutino di refertare le persone detenute o di denunciare episodi. Un tema che dovrebbe interrogare i vertici dell’ordine professionale e delle Aziende Sanitarie responsabili dell’assistenza in carcere».