La contabilità della strage
Mancato soccorso, in sei mesi abbiamo fatto affogare 289 bambini
I dati forniti dall’Unicef lasciano sgomenti. Vittime dei mancati soccorsi. Eppure ci sono ancora esponenti del governo che parlano di difesa dei confini. Da chi? Da chi? Da chi? Dai bambini da colare a picco?
Editoriali - di Piero Sansonetti
Duecentoottantanove bambini, quasi trecento, sono sicuramente morti nel Mediterraneo, affogati, mentre cercavano di raggiungere l’Italia o la Grecia, in questi primi sei mesi dell’anno. Quasi due al giorno. Punto. Punto nel senso che forse sarebbe giusto chiudere qui, dopo poche righe, questo articolo. Cos’altro vuoi aggiungere?
Tiro il fiato e vado avanti. Questi bambini non erano una entità collettiva. Erano un bambino, più un bambino, più un bambino, più, più, più, fino ad arrivare a 289. Ciascuno di questi bambini era tenero, fragile, pauroso, speranzoso, ridente, dolente, come tutti i nostri bambini, figli, fratelli, sorelle, nipoti. Tutti piangevano prima che la barca si rovesciasse. E qualcuno diceva loro di non piangere, perché sarebbero arrivati i soccorsi. I soccorsi non arrivarono. I bambini sono morti nel modo più tremendo, sono annegati, perché non sapevano nuotare, o perché le onde erano troppo alte, o perché faceva troppo freddo, o perché il tempo passava veloce.
I dati, freddi freddi, li riferisce l’Unicef. Sono per difetto, perché nessuno è in grado di conoscere tutte le imbarcazioni partite dalla Tunisia, o dalla Libia e mai arrivate qui da noi. Secondo l’Unicef nei primi sei mesi del 2023 sono 11.600 i bambini che si sono imbarcati. Se invece torniamo indietro negli ultimi anni, non sappiamo il numero dei bambini che si sono imbarcati ma sappiamo che dal 2018, cinque anni fa, i bambini affogati sono circa 1500. In media trecento all’anno. Quest’anno la media è raddoppiata e il numero delle vittime è in solo sei mesi pari al numero di tutto l’anno negli anni precedenti.
Questi 11.000 bambini che nel 2023 hanno affrontato il mare per cercare un futuro in Europa, prima di imbarcarsi erano sfuggiti a molti pericoli. Venivano da diversi paesi poveri africani. Avevano attraversato deserti, città, campagne, monti e colline, erano scappati alle guardie libiche, pagate dall’Italia per catturarli e metterli in campi di concentramento. Se la storia di uno solo di questi bambini fosse stata conosciuta da uno scrittore europeo dell’ottocento, questo scrittore avrebbe potuto scrivere un romanzo-denuncia capolavoro.
Ma qui non siamo nella terra dei romanzi. Anche perché di fronte a questa gigantesca opera di inciviltà, o forse di crimine vero e proprio, che l’Europa sta realizzando con i mancati soccorsi in mare, e l’Italia con i suoi pasticci di folli leggi burocratiche, di fronte a tutto questo l’intellettualità europea è assente. Tace, magari sbuffa un po’, fa finta di niente. Ho una grande nostalgia dell’intellettualità di 30 anni fa. Non perché sono vecchio, ma perché quella intellettualità era molto migliore di quella di oggi.
E la politica? Fa qualcosa di più: è complice. E accetta che nell’opinione pubblica, nel senso comune, possa passare l’idea che scannare dei bambini è solo realpolitik, politica del reale, del realistico. È da questa politica che abbiamo dovuto ascoltare – senza che nessuno saltasse su a gridare: “Stai Zitta!!!”, – abbiamo dovuto ascoltare che il problema è la difesa dei confini esterni dell’Europa. Ora si chiama dimensione esterna. Che in Italiano non vuol dire niente: succede così, quando ti vergogni usi parole che non hanno significato.
E abbiamo dovuto assistere a dichiarazioni di giubilo, perché è stato considerato un successo dell’Italia il fatto che non mi ricordo più neanche in quale vertice europeo, tutti i paesi abbiano riconosciuto che il problema è quello: i confini esterni. Non è questione di sfumature politiche, di diversi modi di intendere la politica dei migranti: dire che dobbiamo difendere i confini esterni dall’assalto dei “negri”, tacere sulla tragedia biblica dell’affogamento in pochi mesi di quasi due bambini al giorno, è una bestialità che non ha colore politico. È la bestialità più assoluta che possa sentirsi.
Non c’è bisogno di un samaritano, o di un comunista, o di un liberale acceso per capire che continuare a ripetere questa bestialità espone il nostro paese all’ipotesi di essere accusato – in futuro, quando prima o poi la ragione tornerà ad avere un posticino nel dibattito pubblico – di complicità con la più orrenda strage compiuta dall’Europa in questo secolo.
Se l’Europa, o almeno l’Italia, non invertirà rapidamente la rotta e non ribalterà le sue scelte inauditamente burocratiche e feroci (come quella di ostacolare i soccorsi delle Ong) possiamo considerarci tutti complici di quello che una scrittrice ebrea, sfuggita ad Aushwitz, – Edith Bruck – ha definito “nuovo olocausto”.
P.S. 1- Ieri a Roccella una mamma è sbarcata piangendo a dirotto con un bambino di quattro anni morto tra le braccia. Si ha notizia di altre tre bambini dispersi nella stessa giornata. E l’Italia che fa? Si dà da fare per ostacolare le Ong che prestano soccorso. Sequestra le navi che potrebbero salvare i naufraghi. Processa Mimmo Lucano. Farabutti.
P.s: 2 – Ho fornito solo i numeri che riguardano i bambini morti. Poi ci sono gli adulti. 8300 morti in cinque anni. Circa 1600 morti all’anno. Azzardo un paragone molto scorretto. In Italia, ogni anno, la mafia uccide una trentina di persone (in stragrande maggioranza per regolamento di conti interni alle cosche). La matematica ci dice che il problema dei mancati soccorsi è 50 volte più drammatico.