Lo sfregio
Venere degli Stracci, lo shitstorm su Napoli e il paradigma della destra sulla povertà
Dopo il rogo della Venere degli Stracci, l’arresto del clochard 32enne ha fermato lo shitstorm su Napoli, ma non quel modello che ispira le politiche sulla povertà della destra al governo
Editoriali - di Carmine Fotia
Erano già pronti a scattare i titoli a effetto: “L’assalto delle baby-gang all’arte”, “Pugno di ferro contro i criminali deturpatori”, “Dallo scudetto al degrado”, e via elencando luoghi comuni e stereotipi, che sono ormai prevalenti nella rappresentazione sui media e nei social di Napoli e del sud. L’incendio della Venere degli stracci, in piazza del Municipio a Napoli, era l’occasione perfetta per alimentarli, costruendo un paradigma utile alla politica di colpevolizzazione della povertà che il governo Meloni ha chiaramente intrapreso con l’abolizione del reddito di cittadinanza che, per quanto imperfetto era un argine, sostituito dalle mance una tantum.
Il paradigma è questo: i poveri sono causa della loro stessa condizione talmente degradata che per loro è impossibile apprezzare l’arte e la bellezza e la galera è il posto giusto per loro. L’opera di Michelangelo Pistoletto era perfetta per dimostrarlo: la prova provata che mischiare l’arte con la povertà, la bellezza della Venere con il simbolo stesso della povertà, gli stracci, è impresa impossibile. Il solito vizio illuminista. L’arresto di un senzatetto di 32 anni con problemi psichiatrici ha fermato lo shit-storm su Napoli, ma non i fondamenti di quel paradigma che ispira le politiche sulla povertà della destra al governo.
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Qui si cercherà di rovesciare quel paradigma. “Se vivi in un posto brutto ti abitui alla bruttezza, nella bellezza c’è anche dignità, mentre l’impoverimento imbarbarisce” è la frase che mi ha detto qualche tempo fa Mario Cappella, che lavora all’associazione San Gennaro nel rione Sanità di Napoli, dov’è nato Totò, indicandomi i bei murales e le piazze messe a nuovo in occasione dell’anniversario della nascita del Principe De Curtis. Seguendo nel corso degli anni il suo lavoro e quello di chi si impegna nella lotta contro la povertà, a Napoli come a Reggio Calabria, a Palermo come a Bari, ho compreso che l’opposto di povertà e degrado non sono ricchezza e opulenza; sono dignità e bellezza.
L’ho compreso andando in giro con Padre Fabrizio Valletti, che ha raccontato la sua esperienza nel libro “Un gesuita a Scampia”, che mi ha spiegato il brand #Fattoascampia: i prodotti freschi degli orti coltivati dai detenuti di Secondigliano, una parte dei quali proviene proprio da Scampia, i prodotti conservati, i prodotti di sartoria, di legatoria e cartotecnica, oggetti belli e curati. #Fattoascampia, 45 persone contrattualizzate, geniale capovolgimento del paradigma, per cui il “fatto” della droga, diventa il #fatto con “piedi, cuore, testa e mani” da chi cerca di uscire dalla povertà e dalla marginalità con il lavoro e la cura della bellezza, ovvero della dignità delle persone.
“E’ un vizio napoletano e nazionale questa assurda tendenza alla generalizzazione, per cui in seguito al fatto che una persona ha incendiato, e non si è capito perché, un’opera d’arte, si conclude che i poveri odiano l’arte mentre la borghesia la ama”, dice con un moto di indignazione Marco Rossi Doria, oggi presidente della Fondazione “Con i Bambini”, maestro di strada, già sottosegretario all’istruzione nel governo Monti, figlio di uno dei più grandi meridionalisti italiani, Manlio Rossi Doria. “Andiamo a vedere cosa è successo, era il motto di una grande operatrice napoletana, Daniela Lepore, purtroppo prematuramente scomparsa – racconta Rossi Doria – mentre oggi si giudica prim’ancora di capire cosa sia successo. Dieci anni fa, in un’estate torrida, erano scoppiate le fogne nella zona Flegrea dove erano le spiagge facilmente raggiungibili dai quartieri Spagnoli. Allora gli abitanti del quartiere, oggi tornato a nuova vita grazie a tante associazioni del terzo settore, bloccarono il traffico e misero le piscine di gomma per le strade in modo che i loro figli potessero bagnarsi e far fronte alla calura. La borghesia gridò all’illegalità mentre faceva il bagno a Positano o a Ischia”.
Napoli è una città complessa, non semplice da capire se si sta aggrappati allo stereotipo di una città dickensiana contrapposta a una città moderna e borghese. A Napoli, ma questo vale per tutto il sud, le rigidità non servono a capire. Il nodo legalità/illegalità è per esempio difficile da districare: “Dopo lo scudetto c’è stato un vero e proprio boom del turismo cosiddetto selvaggio, ma è meglio che i miei ex-alunni aprano qualche attività anche senza ogni carta a posto o che facciano cose peggiori? Dieci anni fa in quei quartieri non potevi lasciare la macchina neppure per un minuto, altrimenti spariva. Oggi ci passano migliaia di persone al giorno. È un magma dentro al quale devi stare, come fanno tutti i giorni le associazioni del Terzo Settore che sono il pilastro della lotta alla povertà, e trovare insieme ai poveri il percorso giusto. La nostra fondazione investe a Napoli sessanta milioni di risorse proprie seguendo la via dello sviluppo autogestito dal basso. Tutti i progetti che finanziamo sono progetti integrati nei quali sono sempre presenti l’arte, la musica, il cinema, lo sport”, racconta Rossi Doria.
I problemi e i conflitti non mancano, spiega: “A Borgo Sant’Antonio Abate a circa 80 metri dal teatro San Ferdinando, il teatro voluto da Edoardo De Filippo, i ragazzini per strada creavano disagi e problemi. Allora è cominciato un percorso di dialogo con le mamme, che ha dato vita a uno spettacolo poi rappresentato nel teatro. Dobbiamo sempre inventare il modo di tenere insieme la città dickensiana e la città borghese, facendo in modo che l’idea del bene comune entri nella vita di tutti i giorni”. Per questo Rossi Doria si dice completamente d’accordo con il sindaco Gaetano Manfredi che ha proposto subito di ricostruire l’opera ma lancia un appello: “Ricostruire sì, ma parliamo del come. E parliamone coinvolgendo i ragazzi, le scuole, il Terzo Settore”. Il problema della povertà è diventato esplosivo, in Campania ci sono un milione trecentomila persone povere, quanto tutte le regioni del nord sommate insieme e la maggior parte di esse si concentra a Napoli.
Una condizione che spinge i giovani a fuggire, oltre trecentomila negli ultimi dieci anni: “i giovani vanno via come i loro trisnonni. Se ogni anno il sei per mille dei giovani napoletani emigra, e sono i più intraprendenti, questa cifra messa insieme per tanti anni, forma un numero imponente. Se il 47% dei minori della città di Napoli è povera o a rischio povertà, siamo di fronte ancora oggi a un problema che Francesco Saverio Nitti considerava urgente più di un secolo fa. Sono gli effetti della crisi, dei tagli al Welfare che il centrosinistra non è riuscito a fermare: quando la crisi azzanna i poveri vengono azzannati più dolorosamente. Napoli è il paradigma della povertà e della diseguaglianza, se non viene messa al centro di un grande progetto nazionale di riscatto, il suo futuro è compromesso. Ma chi parla di questo oggi?”, si accalora Rossi Doria.