La vicenda
Perché Patrick Zaki è stato arrestato e condannato a tre anni di carcere in Egitto
Lo studente dell'Università di Bologna condannato al tribunale di Mansura. Dovrà scontare altri 14 mesi di carcere Amnesty accusa: "Peggior scenario possibile". Le reazioni di Meloni e Schlein
News - di Antonio Lamorte
Patrick George Zaki dovrà tornare in carcere. Dopo 668 giorni di detenzione dopo essere tornato in libertà nel dicembre 2021. Secondo quanto riferito da uno dei quattro legali all’agenzia Ansa al termine dell’udienza odierna a Mansoura, lo studente egiziano dell’Università di Bologna “è stato condannato a tre anni”. Stando a quanto riferito da una fonte legale “tornerà in carcere per tutto il tempo” della procedura necessaria a fare appello al governatore militare chiedendo l’annullamento della sentenza o il rifacimento del processo. Calcolando la sua detenzione preventiva di 22 mesi, dovrebbe scontare un anno e due mesi di carcere. La legale principale, Hoda Nasrallah, ha annunciato il ricorso.
Zaki era stato arrestato il 7 febbraio del 2020. Era tornato in Egitto dall’Italia per una breve vacanza ed era stato fermato in aeroporto. Aveva 29 anni. A Bologna frequentava un master in Studi di genere e delle donne. È stato accusato di aver scritto contenuti contro il governo egiziano: in particolare di aver prodotto e pubblicato nel 2019 un articolo pubblicato del 2019 sul giornale online Daraj in cui denunciava le discriminazioni che colpiscono la minoranza dei cristiani copti – comunità cui la famiglia di Zaki appartiene – in Egitto. “Displacement, Killing & Harassment: A Week in the Diaries of Egypt’s Copts”. I legali dello studente 29enne hanno insistito su un aspetto: alcuni post incriminati sarebbero stati pubblicati da un account quasi omonimo ma diverso dal quello dello studente.
Zaki era stato traferito al carcere di Mansura, sua città natale, in detenzione preventiva. Il suo avvocato aveva denunciato maltrattamenti ai danni del suo assistito che sarebbe stato bendato, picchiato, spogliato e minacciato. Qualche mese lo studente dopo era stato trasferito alla prigione di Tora, al Cairo, nota per ospitare detenuti politici in condizioni disumane e degradanti. Per mesi gli erano state negate le comunicazioni con l’esterno e le visite della famiglia. La sua legale lo aveva visitato la prima volta il 2 dicembre. Hoda Nasrallah aveva denunciato che il suo assistito dormiva a terra. A causa dei dolori alla schiena lo studente egiziano le aveva chiesto una pomata e una cintura di sostegno.
“Spero che stiate tutti bene. Voglio controllare la salute della mia famiglia e di tutti i miei amici in Egitto. Certo, le recenti decisioni sono deludenti e come al solito, senza alcun motivo comprensibile. Ho ancora problemi alla schiena e ho bisogno di forti antidolorifici e rimedi per dormire meglio. Il mio stato mentale non va molto bene dall’ultima seduta. Continuo a pensare all’università e all’anno che ho perso senza che nessuno ne capisca il motivo. Voglio inviare il mio affetto a tutti i miei compagni di classe e amici a Bologna. Mi mancano molto la mia casa, le strade e l’università. Speravo di trascorrere le vacanze con la mia famiglia ma questo non accadrà per la seconda volta a causa della mia detenzione”, si leggeva in un post pubblicato a dicembre 2020 dalla pagina Facebook Patrick Libero. “Noi, la famiglia e gli amici di Patrick, esprimiamo la nostra grave preoccupazione per la salute mentale e fisica di Patrick. Chiediamo il suo immediato rilascio per l’assenza di legittime giustificazioni per la sua detenzione cautelare e per l’impatto sempre più negativo della sua prigionia su di lui”.
Il caso aveva catturato una buona attenzione mediatica in Italia. Un appello alla liberazione era arrivato anche da parte dell’attrice statunitense Scarlett Johansson, che su Youtube aveva pubblicato un video che sollecitava la scarcerazione di quattro membri dell’ong egiziana per la difesa dei diritti civili Eipr, Iniziativa egiziana per i diritti personali. Costanti le accuse di Amnesty International che aveva definito “accanimento giudiziario” la vicenda. Il movimento aveva portato in Italia a una campagna di sensibilizzazione, sfociata in una mozione in Parlamento, per conferire la cittadinanza italiana allo studente. Circa 200 comuni italiani avevano nominato Zaki cittadino onorario. Suo padre aveva raccontato in un’intervista a Il Corriere della Sera di avere origini napoletane.
Le accuse, giudicate false e pretestuose da parte degli osservatori indipendenti, erano di “diffusione di notizie false dirette a minare la pace sociale”, “incitamento alla protesta sociale senza permesso”, “istigazione a commettere atti di violenza e terrorismo”, “gestione di un account social che indebolisce la sicurezza pubblica” e “appello al rovesciamento dello stato”. La detenzione era stata puntualmente e periodicamente prolungata. Si leggeva che le condanne avrebbero potuto portare a una condanna di 25 anni. Il processo è cominciato a settembre 2021 a Mansura.
Zaki era stato liberato l’8 dicembre 2021. Aveva chiesto di poter discutere la sua tesi di laurea a Bologna, un permesso che gli è stato negato – è ancora destinatario di un travel ban che gli impedisce di lasciare il Paese e recarsi all’estero. Si è laureato con 110 e lode in una cerimonia a distanza lo scorso 5 luglio. La sessione che includeva diverse udienze è durata quasi quattro ore. Il portavoce di Amnesty International Italia ha definito la condanna emessa nel Palazzo di Giustizia di Mansura come “il peggiore degli scenari possibili”. Zaki è stato portato via da un’uscita secondaria del tribunale. “Mio Dio me l’hanno preso, mio Dio me l’hanno preso”, le urla della madre citata dall’Ansa. La premier Giorgia Meloni ha assicurato il prosieguo di un impegno “per una soluzione positiva del caso”. La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha sollecitato, “di fronte a un verdetto scandaloso”, che “il governo italiano batta ufficialmente un colpo: il Ministro Tajani venga a riferire alle Camere”.