La stretta sui reati di mafia
Così Meloni usa Borsellino per bastonare Nordio
Il dl sui delitti di criminalità organizzata preannunciato per “rimediare” a una sentenza della Cassazione mette all’angolo il Guardasigilli che aveva proposto di rivedere il concorso esterno.
Giustizia - di Angela Stella
Oggi si commemora Paolo Borsellino, ricordando la strage del 1992 che lo assassinò insieme alla sua scorta sotto casa di sua madre. Giorgia Meloni avrebbe voluto ma per motivi di ordine pubblico non parteciperà alla tradizionale fiaccolata serale in via D’Amelio organizzata storicamente della Destra e invece sarà presente a una cerimonia ufficiale, nella primissima mattinata, alla caserma Lungaro.
«Ricordate come ho cominciato a fare politica?», aveva chiesto con tono retorico domenica scorsa. Alcune settimane fa era stata annunciata la presenza della premier solo il 21 luglio, in occasione di un convegno sulla mafia organizzato da Fdi al San Paolo Palace, per commemorare il giudice Borsellino, evitando le commemorazioni del 19. Ma ora può permettersi di esserci, pur in maniera limitata, anche in questa giornata dopo che due giorni fa ha annunciato un decreto legge per “rimediare” a una “recente sentenza della Cassazione” che potrebbe mettere a rischio alcuni processi di mafia, lasciando impuniti delitti gravi di cui non emerge nettamente il collegamento con la criminalità organizzata. L’intento del Governo è quello di chiarire “una volta per tutte” cosa debba intendersi per “reati di criminalità organizzata”.
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Ad essere presa di mira la sentenza 34895 del 2022, Presidente Angela Tardio, relatore Filippo Casa. A spiegare le criticità è stata la stessa premier: «La Cassazione ha affermato che possono farsi rientrare “nella nozione di delitti di criminalità organizzata solo fattispecie criminose associative, comuni e non”». Il problema, secondo Meloni, è che, ad esempio, «un omicidio commesso avvalendosi di modalità mafiose, o commesso al fine di agevolare un’associazione criminale, non sarebbe un delitto di criminalità organizzata, secondo la Cassazione». La stessa preoccupazione era stata sollevata dal Procuratore Nazionale Antimafia, Giovanni Melillo, in un convegno organizzato a marzo scorso da AreaDg, guidata da Eugenio Albamonte, dove affermò: «Dire che un omicidio di mafia non è un delitto di criminalità organizzata è obiettivamente qualcosa che si fa fatica a spiegare; su questa strada si sta incrinando la sorte di tutti processi di criminalità organizzata ancora non definiti con sentenza passata in giudicato».
La questione è molto complessa se si legge il dispositivo di quella sentenza della Cassazione, in cui gli ermellini hanno accolto un motivo di ricorso della moglie di un boss di camorra in quanto un gip del Tribunale di Napoli erroneamente «autorizzò l’intercettazione di conversazioni tra presenti sulla base dei presupposti di cui all’art. 13 dl. n. 152/91, pur non riguardando le finalità d’indagine un delitto riconducibile alla categoria della ‘criminalità organizzata’». Ciò comportò l’annullamento, con rinvio ad altra sezione, della sentenza della Corte di Appello di Napoli. Non è escluso che di tale sentenza si sia discusso nell’incontro tra i vertici di Piazza Cavour, Margherita Cassano, primo presidente di Cassazione, e Luigi Salvato, Procuratore generale, e il Capo dello Stato Mattarella e che il tema sia stato oggetto del colloquio successivo avuto giovedì scorso con la premier Meloni, la quale con l’iniziativa annunciata mette completamente all’angolo il ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Non solo lo ha sconfessato nei giorni scorsi dicendo che il reato di concorso esterno non si tocca, ma addirittura con questa mossa lo sorpassa e per alcuni lo umilia persino, emarginandolo completamente anche dal partito che lo ha fatto eleggere, ossia Fratelli d’Italia che fa quadrato intorno alla iniziativa della presidente del Consiglio. Qualcuno potrebbe alzare la mano e ricordare che nella nota di due giorni fa si scriveva che l’iniziativa era stata presa «d’accordo con il ministro Nordio», tuttavia appare più una mossa di facciata che una reale unione di intenti. Un modo per far vedere il Governo compatto quando in realtà la faglia tra la numero uno di Palazzo Chigi e il responsabile di Via Arenula sarebbe ampia.
In pratica sul terreno della giustizia stiamo assistendo ad uno strano fenomeno: le iniziative partono direttamente dalla premier, al cui orecchio sussurra il fedelissimo sottosegretario Alfredo Mantovano, e arrivano come contrasto alle dichiarazioni del suo Ministro della Giustizia, così fortemente voluto. Gianni Alemanno intervenendo ad In Onda su La7 qualche sera fa ha detto che «Nordio parla troppo» ma ci si chiede cosa si aspettasse di diverso Giorgia Meloni da un pm così indipendente, che a questo punto, sostiene qualcuno, dovrebbe cominciare a pensare alle dimissioni.
Forse è uno scenario troppo drastico da immaginare per adesso, occorre però tenere presente anche l’apertura mostrata da Fratelli d’Italia – con il capogruppo alla Camera, Tommaso Foti – che spinge per un dialogo con i magistrati definito “indispensabile” alla riforma del ddl Nordio. Un’apertura tutta da definire e applicare, tenendo conto del freddo silenzio di Forza Italia e della Lega sul tema. Anzi Forza Italia parla ma lo fa per difendere il Guardasigilli: «Il concorso esterno in associazione mafiosa è un reato a condotta evanescente, che non sempre traccia in modo netto il discrimine preciso fra ciò che è lecito e ciò che non lo è – ha dichiarato ieri a Radio 1 il senatore azzurro Pierantonio Zanettin – .Sicuramente in questi anni è servito a colpire alcune fattispecie e per il momento credo che il governo non abbia intenzione di cambiarlo. Però sono d’accordo con il ministro Nordio nel dire che quel reato, così come è configurato nella norma astratta presente nel nostro codice penale, non abbia le caratteristiche di tipicità che la nostra Costituzione prevede».
Comunque, secondo fonti parlamentari, del tentativo di ricucire con l’Anm, attraverso la possibilità di apportare delle modifiche al testo del ddl Nordio durante l’iter parlamentare, si sarebbe discusso proprio nell’incontro avvenuto sempre tra Meloni e Mattarella. Intanto è al Quirinale che resta bloccato il primo progetto di riforma: è trascorso più di un mese dal suo varo in Consiglio dei Ministri e dopo la lunga permanenza presso il Ministero dell’Economia, ora stagna sul tavolo dei consiglieri giuridici del Capo dello Stato. Il suo via libera parrebbe scontato, ma non è detto che non eserciti la sua moral suasion soprattutto in merito all’abuso di ufficio, la cui abrogazione creerebbe problemi con l’Europa.