Parla il presidente Arci

Intervista a Walter Massa: “Il fascismo è un pericolo, tra poveri schiacciati e migranti deportati”

«La povertà esiste e in questi ultimi anni, complici le scelte completamente sbagliate dei governi che si sono succeduti, si è anche molto trasformata e “allargata”, oggi è ai limiti della soglia di povertà anche chi lavora 8 ore al giorno»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli - 19 Luglio 2023

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Intervista a Walter Massa: “Il fascismo è un pericolo, tra poveri schiacciati e migranti deportati”

Contro la guerra, dalla parte della pace, dei diritti, dell’uguaglianza, della solidarietà, del libero accesso alla cultura, della giustizia sociale, dei valori democratici. In difesa dei più indifesi. È l’Arci (oltre un milione di soci; 4.401 circoli; 105 comitati territoriali) della quale Walter Massa è presidente nazionale.

Dalla difesa dei migranti all’iniziativa pacifista. L’Arci è parte attiva e costante di quel “mondo solidale” che non si arrende. Quale risposta avete tra la gente?
Se mi permette direi anche qualcosa in più in questa terribile fase storica. Direi parte attiva di una opposizione sociale che esiste, si percepisce in molti contesti che noi incontriamo, dalla cultura, ai diritti, dal lavoro al tempo libero sempre più relegato a lusso per pochi e che ogni giorno lavora per ricomporre ciò che i governi devastano. Una opposizione sociale e solidale che ha delle proposte per il rilancio del Paese e vuole metterle in pratica facendo perno sull’idea della convergenza dei bisogni e dei diritti. La povertà esiste, non è una colpa e in questi ultimi anni, complici le scelte completamente sbagliate dei governi che si sono succeduti, si è anche molto trasformata e “allargata”; oggi è ai limiti della soglia di povertà anche chi lavora 8 ore al giorno. Anche per questo saremo in piazza il 30 settembre in una grande manifestazione che ha già l’adesione di più di 100 associazioni e reti, insieme alla CGIL, perché per salvare pace, ambiente, diritti, democrazia dobbiamo fare massa critica e rendere evidente che esistono i soggetti e il progetto di un’altra società. E dunque come non pensare alle centinaia di migliaia di cittadine e cittadini che tra pochissimo perderanno il reddito di cittadinanza? Chi si occuperà di loro? Noi. E insieme a noi altre organizzazioni del terzo settore. Perché? Perché siamo rimasti l’unico, concreto, presente punto di riferimento territoriale in grado di accogliere, curare, svolgere un presidio di prossimità e soprattutto di dare voce a chi la voce non ha più la forza di tirarla fuori. Tutto ciò nonostante a noi questa idea di Terzo Settore tutta funzionale a sostituire sempre più pesantemente pezzi dello Stato che nel frattempo taglia risorse al welfare non piace proprio per nulla e infatti siamo in campo per contrastarla apertamente. Nel nostro Paese come in Europa. Sappiamo di non essere soli e sappiamo anche che da soli non possiamo fare più di tanto ed anche per questo nelle settimane scorse abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa con la Lega delle Autonomie Locali per rafforzare la nostra azione culturale, sociale e civica partendo dai territori e dalle comunità. Ce lo chiedono i nostri circoli, ce lo chiedono sempre più amministratori ed Enti Locali che vivono una dimensione di solitudine e abbandono sempre più marcata.

Le stragi di migranti si susseguono senza soluzione di continuità. Da tempo ormai il Mediterraneo è diventato un immenso cimitero. Ma l’Italia e l’Europa continuano ad osteggiare in tutti i modi l’opera salvavita delle navi Ong e, al tempo stesso, continuano a finanziare autocrati, vedi la Tunisia di Saied, e criminali spacciati uomini di governo, vedi il generale libico Haftar, perché facciano il lavoro sporco al posto nostro.
È necessario continuare a ribadire un concetto molto semplice e molto chiaro, se serve fino alla nausea dato che è un fatto inconfutabile. Stiamo costringendo da oltre 20 anni decine di migliaia di uomini, donne e bambini alla roulette russa del Mediterraneo (o se volete della rotta balcanica) perché in Italia dall’entrata in vigore della Legge 189 del 2002 (Bossi Fini) non si può entrare regolarmente se non attraverso un decreto flussi annuale – recentemente riattivato – valido per i soli Paesi con cui il nostro governo ha accordi. Decreto Flussi che anche le pietre sanno essere invece utilizzato dai datori di lavoro (e dal governo stesso) per regolarizzare chi in Italia c’è già, facendo finta che non ci sia. Ora, attraversare il Mediterraneo serve solo ad una cosa dato il contesto: a tentare la via della regolarizzazione attraverso la richiesta d’asilo. Ecco spiegata la roulette russa del Mediterraneo. Quindi il problema davvero vogliamo continuare a dire sia chi salva vite in mare? Oppure davvero vogliamo far credere a qualcuno che non erano evitabili le stragi al largo della Grecia a giugno o nella tragedia di Cutro a febbraio scorso? O tutte le altre che non sappiamo? E per carità non s’incolpino i militari della guardia costiera o della marina militare che hanno nel sangue l’istinto di salvare vite. Ma come abbiamo visto qualche ordine dall’alto, non si sa bene da quale ministero partito e da chi, spesso lo impedisce. Occorre invertire al più presto la tendenza poiché non solo possiamo accoglierli tutti senza problema ma dobbiamo anche per garantire il futuro stesso al nostro Paese. Si guardi alla Germania ad esempio e non ad Orban tanto per cominciare. Intravedo qui alcuni segnali positivi, il recente voto contrario e compatto in Parlamento del partito democratico al rifinanziamento della guardia costiera libica è il segnale di controtendenza che aspettavamo da anni. È arrivato ed è un bene e va riconosciuto alla nuova segreteria del PD. È un fatto positivo in sé, ma lo è anche sul piano comunicativo delle opposizioni che possono ricompattarsi solo sui fatti concreti e non sulle formule. E noi tutti abbiamo bisogno di una forte e credibile opposizione che respinga convintamente l’idea che sta dietro al Memorandum d’intesa UE-Tunisia e che ripercorre strade già viste come nel caso turco o libico. Lo diciamo da tempo: l’esternalizzazione delle frontiere è un accordo contro il diritto internazionale e i diritti umani. Con la Tunisia succederà di nuovo: si firma un’intesa con un governo autoritario per impedire a persone in fuga da guerre e persecuzioni di arrivare in Europa. Ancora una questione su questi temi: tra qualche mese inizierà una importantissima campagna elettorale per le elezioni europee – per la verità pare già iniziata con l’approvazione della legge sulla natura ed è un segnale confortante – e dobbiamo fare in modo che si saldino fortemente le questioni etiche, politiche e del diritto relativamente alla salvaguardia delle vite umane con l’interesse stesso che l’Europa ha nel proporre opportunità di costruirsi una vita nel continente. È ciò che farebbe qualsiasi politico illuminato, mi permetto, di destra come di sinistra ma in questi anni, in Europa in pochi lo hanno veramente fatto.

La guerra senza fine. Si continua a discutere soltanto di invio di armi, ora anche le cluster bomb, all’Ucraina. E la politica? Chiunque, e l’Arci è tra questi, esce fuori dal coro riarmista viene subito tacciato di essere “filorusso”.
Lo dico subito con chiarezza: sono poco interessato alle etichette che personaggi discutibili e poco coerenti tendono ad affibbiarci. Anzi oserei dire che proprio non mi interessano. Questo presunto “filo putinismo” è parte di una propaganda bellica di parte che vede interessi diversi connettersi. Mi stupisce? Certo che no! È la storia di ogni conflitto ed ogni conflitto ha il suo Istituto Luce e la sua perentoria voce narrante. Certo fa effetto leggere qualche giorno fa su un quotidiano nazionale – auto iscritto nel campo del liberalismo – un titolo fuorviante che insinua il dubbio sulla presunta immoralità dei pacifisti. Fa effetto e preoccupa perché in modo subdolo, per effetto contrario, si dovrebbe intendere che invece chi è a favore della guerra sia da collocare nel campo della moralità. Concetto bizzarro e, appunto, strumentale ad una parte. Ma tornando a noi dove sta e dove è sempre stata l’Arci lo sanno tutti. Stiamo dalla parte della diplomazia, del negoziato e non delle armi. Soprattutto adesso dove si sta concretizzando l’escalation che da mesi stiamo denunciando. Ora siamo arrivati alle “bombe a grappolo”, che nonostante siano bandite dal nostro paese, laddove siano marchiate occidenti si rivelano spendibilissime nel silenzio più totale. Ma davvero possiamo sacrificare questo nostro Pianeta per una guerra totale che non si ha neppure il coraggio di dichiarare tale? E possiamo dopo oltre un anno, continuare a pensare che solo con l’annientamento di una delle due parti la guerra possa concludersi? In queste ore è venuto a mancare un grande testimone della pace, Monsignor Bettazzi. È stato l’ultimo testimone del Concilio Vaticano II, fondatore, presidente e animatore di Pax Christi che ha dedicato la sua vita all’impegno pacifista con una scelta di campo netta. La sua autorevolezza non è mai stata determinata dai bellissimi discorsi che pure era in grado di fare, autentici, sentiti e credibili ma dal suo impegno in prima persona, come in occasione del conflitto in ex Jugoslavia. Era il suo corpo, erano le sue gambe che viaggiavano da un conflitto ad un altro a determinare la sua credibilità di uomo di pace al di sopra delle parti. Ecco, l’Arci continua a stare dalla parte di questi uomini e di queste donne scomode, refrattarie ad ogni leaderismo, ma convinte che costruire ponti sia impresa difficilissima ma assolutamente possibile. Monsignor Bettazzi, come Tom Benetollo e Dino Frisullo sono il nostro pantheon dell’impegno pacifista come scelta politica. Se volete pure ideologica, che a dire il vero non ci ha mai spaventato come termine.

La butto giù seccamente. Perché contestare la “Nato globale” è diventata una provocazione per la quasi totalità dei partiti oltreché per la stampa mainstream?
Come provavo a spiegare prima la propaganda in tempo di guerra lascia poco spazio ai ragionamenti. Intanto assumiamo questi due dati: siamo in guerra e in guerra vige il potere della propaganda. A senso unico. Vale anche per la questione Nato e per i ragionamenti ad essa collegati. Possiamo continuare a foderarci gli occhi e non vedere che il recente vertice Nato di Vilnius ha di fatto esautorato la politica estera dell’Unione, già fortemente indebolita dal conflitto in Ucraina e a tutti gli effetti vera vittima politica di questa guerra? Ragionare di Nato oggi significherebbe ad esempio ragionare della scomparsa dallo scenario mondiale delle Nazioni Unite. Fino al conflitto nei Balcani quel ruolo esisteva e in qualche modo, pur nelle evidenti e pericolose ipocrisie (si pensi al massacro di Srebrenica ad esempio) resisteva. Dai bombardamenti in Serbia lo scenario mutò con un sempre più forte ed evidente ruolo della Nato e un ruolo sempre più marginale dell’Onu. Sarà ancora legittimo domandarsi perché? Evidentemente no, in questi tempi da guerra fredda ritrovata, e soprattutto no in quello che da anni molti analisti occidentali considerano come il nuovo scontro tra civiltà tra occidente e oriente. Io mi auguro passi presto questo pessimo clima e si torni a ragionare senza preclusioni e senza preconcetti, con un’attenzione in più al fatto che anche in Italia stiamo attraversando un periodo complesso – diciamo così – della nostra informazione. Una riflessione che come Arci ci apprestiamo a fare sapendo che non sarà facile ma che è necessaria. Siamo del resto al 41 posto della speciale classifica sulla libertà di stampa nonostante il nostro Paese sia ancorato al settimo posto quale paese più industrializzato del mondo, in Europa secondo solo alla Germania.

L’Arci gode di buona salute organizzativa, mentre i partiti arrancano. Qual è la vostra “ricetta”?
Siamo in forte crescita e ancora a molti di noi non pare vero visto che solo due anni fa abbiamo rischiato di chiudere. Qualche giorno fa abbiamo distribuito oltre 1 milione di tessere e consolidiamo un dato di affiliazioni intorno ai 4 mila tra circoli ed enti di terzo settore aderenti. Un dato straordinario che ci stupisce per la rapidità del recupero ma che non ci coglie impreparati. Sapevamo bene che dopo la pandemia ci sarebbe stato bisogno “di più Arci” perché diseguaglianze, esclusione sociale e diritti sarebbero stati ancora più compromessi dalla congiuntura mondiale e soprattutto delle sciagurate scelte degli ultimi governi. Sapevamo anche della china che avrebbe preso questo Governo con un attacco senza precedenti alla povertà e ai diritti costituzionali, non serviva nessun indovino per comprenderlo. A fare da sfondo a tutto ciò continua ad esserci l’allarme per la crisi sempre crescente della nostra democrazia, una crisi che si vede macroscopicamente nell’astensionismo sempre più marcato che attraversa ogni elezione da qualche anno a questa parte. Astensionismo che oggi, tra le altre cose, permette alla destra al governo di far vedere solo il dito, impendendoci di guardare la luna rappresentata da un consenso meno ampio di quello raccontato. Non è meno grave, sia chiaro, ma è estremamente differente da quella narrazione che vedrebbe l’egemonia di destra prevalere sul piano culturale. In tutto ciò, in quel ruolo determinante in democrazia, ci siamo noi, corpo intermedio, che prova a tenere unito il Paese e a rinsaldare i principi democratici su cui si fondano le nostre comunità. E in tutto questo può una associazione culturale e di massa come l’Arci fare spallucce? Possiamo permetterci di rintanarci in un cantuccio (peraltro sempre meno caldo) rappresentato da un civismo senz’anima o da una dimensione socio assistenziale sempre più ostaggio di misere politiche pubbliche? No, non possiamo anche perché non lo abbiamo mai fatto. Perché non siamo né una associazione di volontari intesi come coloro che devono donare qualche ora alla settimana “per fare del bene ad altri” e non siamo neppure una associazione di operatori sociali che debbono strenuamente difendere un lavoro, per quanto importante. Non c’è un giudizio in questo mio schematismo ma la convinzione che l’Arci, in questa ritrovata fase identitaria, sceglie nuovamente di essere prima di tutto una organizzazione di uomini e donne che utilizzano l’associazione come strumento di emancipazione, come a suo tempo Tom Benetollo ci insegnò: “Abbiamo scelto di essere parte del campo delle forze più vitalmente interessate al cambiamento. Sul terreno della socialità, della cultura, della solidarietà, dell’inclusione. Non surroghiamo i partiti, non tappiamo i buchi dello stato sociale, non siamo al servizio di chi vuole servirsi, pro domo sua, delle istituzioni. Siamo un’associazione di uomini e donne liberi e uguali, refrattari a ogni leaderismo, che agiscono su un terreno, quello dell’autogestione, che produce ciò che i nostri antenati hanno chiamato emancipazione”.

Che destra è, vista dall’Arci, quella che governa l’Italia?
Se mi concede la battuta, questa è una destra che fa la destra. Chi si stupisce oggi o è in malafede o deve ricredersi. È una destra come non l’abbiamo mai conosciuta in passato perché nessuno, tantomeno il ventennio di ubriacatura berlusconiana, l’ha mai veramente impersonificata. Certo l’ha sdoganata nel 1994 ma non ne ha mai veramente rappresentato le istanze e tutto ciò si vede bene oggi, nelle continue frizioni tra un centro destra rappresentato da Forza Italia e Lega e una destra rappresentata da Fratelli d’Italia. Mi consenta una specifica non di poco conto per chi leggerà: non sto dicendo che c’è in quella coalizione qualcosa da salvare da una parte, ma che sono cose diverse. A volte, molto diverse tra loro ed è bene saperlo. Questa destra meloniana sta sferrando attacchi a destra e a manca, senza soluzione di continuità; gli attacchi alle libertà, ai diritti civili, e all’autodeterminazione delle donne sta svelando tutta la portata di questa “Destra-Destra”. Il pericolo fascismo per molto tempo è stato sottovalutato e in tanti non hanno voluto sentire ragioni. Questa destra quindi non va sottovalutata e i segnali che arrivano dall’Europa, di una certa insofferenza dei popolari alle varie fiamme nuovamente accese è li a dimostrarne la reale pericolosità. Questa destra infatti è molto pericolosa, ha una storia alle spalle, ha un’organizzazione di partito che ha attraversato il novecento, ha un’ideologia, conservatrice e regressiva sui diritti civili. È una destra che non riesce a pronunciare la parola antifascismo perché è educata al revisionismo storico e culturale. La guerra in Ucraina ha poi svelato inequivocabilmente quanto la subalternità atlantica si equilibri con una tensione eurocritica tenuta assieme da una narrazione continua della nazione comandata da un capo che parla direttamente al popolo. Non vi pare un film già visto? Noi siamo alternativi a tutto ciò e ne abbiamo la consapevolezza. Anche per questo, come diceva lei in precedenza, godiamo di buona salute. Molte cittadine e molti cittadini trovano in noi un punto di riferimento capace di costruire una reale alternativa che parte dal basso, dai territori in forte crisi e dalle comunità. Ed è li che la credibilità dell’Arci e dei suoi circoli si sostanzia.

19 Luglio 2023

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