Parola alla politologa

“Il governo Meloni è quello dei peggiori, carezze agli evasori e schiaffi ai migranti”, parla Nadia Urbinati

«Non si può difendere Santanchè nel nome del garantismo, dovrebbe dimettersi. Altro problema: l’opposizione è divisa, occorre che abbia una voce sola»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli - 21 Luglio 2023

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“Il governo Meloni è quello dei peggiori, carezze agli evasori e schiaffi ai migranti”, parla Nadia Urbinati

Dal caso Santanché all’estate rovente della politica italiana. L’Unità ne discute con Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di Scienze politiche alla Columbia University di New York.

Professoressa Urbinati, che estate politica è quella che stiamo vivendo?
È una domanda che non può avere una risposta univoca. Ci sono alcuni nodi fondamentali che non si possono dirimere in una breve conversazione. Per soffermaci velocemente sulle vicende più caratterizzanti di questa torrida estate, credo che quello che dovrebbe preoccupare, e molto, è lo scadimento vertiginoso della classe politica governativa. Parto da qui, dove situo la linea Maginot rispetto a un modo di usare il servizio istituzionale che è a tratti sconvolgente.

Quali sono i casi più eclatanti di questo scadimento?
Mettiamola così. C’è un uso inappropriato del termine “garantismo”. Rovesciato e ideologico, che serve per giustificare una richiesta di privilegio da parte della “corporazione” politica che vive di arbitrarietà e di uso a dir poco “garibaldino” delle regole e delle istituzioni. Questo è un problema serissimo. Non si può difendere Santanché nel nome del garantismo. Qui non c’entra il garantismo. Stiamo parlando di una persona inadatta a quel ruolo ministeriale. Punto. In un altro Paese europeo basterebbe molto meno per mandare a casa questa persona. Boris Johnson se ne dovette andare perché aveva fatto una festa a Downing Street durante il Covid. Da noi, non pagare i dipendenti, usare il tfr per i propri comodi, far lavorare chi era in cassa integrazione: tutto questo non è sufficiente. Non si parla di possibili risvolti legali. Quello che sconvolge è che tutto ciò non sia ritenuto sufficiente per mandare a casa una persona che è oltrettutto arrogante nel suo esplicito disrispetto per i cittadini e la Costituzione, che chiede ai servitori dello stato “onore” e “disciplina”. A me basta questo. Non si usi il garantismo per coprire questa gente. Questo è privilegio. È arbitrio.

C’è consapevolezza di questi rischi da parte dell’opposizione?
Certo che c’è. Il problema è che quella che abbiamo è una opposizione ancora divisa, non convita che per alcune battaglie occorra avere una voce sola; l’opposizione deve fare i conti con una frammentazione che in questo caso è una disgrazia. Se fossero tutti convinti che la signora Santanché dovrebbe fare armi e bagagli e dimettersi da ministra della Repubblica, perché è una vergogna che sia ancora lì, beh su questo almeno una voce sola dovrebbero averla. In un Paese civile uno scandalo del genere non sarebbe digeribile – questa è etica politica, non giustizialismo.

C’è anche un problema di sensibilità dell’opinione pubblica?
Certo che c’è. Abituata da anni a pensare che i magistrati sono una congrega che fa gli interessi della sinistra. Balle. Se ci sono magistrati che intervengono è perché c’è una classe politica che con il suo comportamento fa sì che quel lavoro debba essere fatto. Se ci fossero classi politiche capaci di sapere qual è il loro limite, lo spartiacque tra il privilegio e la responsabilità del loro operato, le cose andrebbero un po’ meglio. La politica ha una sua etica e una sua giustizia, senza la quale non resta che il codice penale.

In questa estate “calda”, e non solo per il clima, la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha lanciato l’“estate militante”.
Non è solo uno slogan. Io mi trovo in questi giorni in Romagna. Qui si vive una situazione drammatica, anche perché il governo vuole che sia drammatica. Su questo c’è un velo di silenzio. Il governo ha fatto la scelta di procrastinare e lasciare incancrenire la situazione. I terreni allagati di fango sono a questo punto cementificati, e il dissodarli e renderli fertili e coltivabili avrà bisogno di molto denaro e temo. E considerando l’età medio-altra della popolazione impiegata nel lavoro agricolo e ortofrutticolo, si può prevedere che a molti non convenga attendere anni per ritornare ad avere profitti dal lavoro e dal capitale impiegati. Non è improbabile che ci sia una trasformazione d’uso dei terreni, e che approfittatori cerchino di lucrare. È una situazione veramente disperante. La lentezza di intervento del governo è parte in causa, premeditata per generare reazioni contro le amministrazioni locali (come sta già avvenendo) con l’obiettivo di cambiare i connotati politici della regione. Un dramma utilizzato per uno scopo fazioso: su questo è caduta una cappa di silenzio, non se ne parla, non se ne scrive come dovrebbe farsi. La sinistra prova a fare qualcosa sui territori, lavorando, discutendo, ma non è sufficiente, perché i mezzi di comunicazione sono in silenzio, perché la stampa non se ne occupa più. Lo aveva fatto quando c’era la tragedia che faceva notizia, adesso non c’è nulla di tragico che fa audience, che fa vendere copie o salire i like. La demoralizzazione delle persone è palpabile.

Non c’è il rischio che invece di riflettere, dibattere e nel caso anche dividersi su grandi temi come appunto quello dei cambiamenti climatici, o come le migrazioni o la guerra, si finisca sempre e solo per arrovellarsi sulle alleanze?
Non mi sembra che oggi il problema dirimente sia quello delle alleanze. Per le elezioni europee questo problema non si porrà, visto il sistema proporzionale vigente. Il problema, insisto su questo, è di trovare una opposizione unita. Renzi va per conto suo, e sostiene la destra: nulla di nuovo sotto il sole. Calenda è a metà strada tra sì voglio ma non voglio. Di fronte a questioni dirimenti che riguardano gli avvenimenti più tragici, come quello degli alluvionati o dei migranti che continuano a essere lasciati morire in mare, il perdono fiscale agli evasori, una riforma della giustizia che fa occhiolino alle parti peggiori che l’Italia berlusconiana ha prodotto su tutto questo, la politica mostra la corda, balbetta, arranca. Certo che c’è un problema di garantismo. Ma di noi cittadini contro questi lestofanti. Su questi temi dovrebbe esserci una opposizione unita a livello parlamentare, perché poi nel Paese ciascuno va secondo la propria organizzazione e la propria idea ispiratrice. Ma nelle istituzioni, a mio avviso, dovrebbe esserci una e una sola opposizione. La si deve costruire. Se questo ancora non avviene, forse è perché i partiti pensano che mostrandosi soli e con le loro bandierine porteranno a casa voti. Ma non funziona così.
Questo governo è il peggiore dei governi possibili. Con una classe politica vergognosa oltre che incompetente, che però trae vantaggio da un’opposizione non altrettanto agguerrita e unita. E di questo ci sarebbe tanto bisogno.

La butto giù seccamente. Delusa da Elly Schlein?
No. Almeno non ancora. Innanzitutto Elly Schlein non ha la bacchetta magica per cambiare le cose e non vogliamo nemmeno, almeno non io, che ce l’abbia, visto che non ho una visione plebiscitaria del partito. È un partito intero che deve essere rimesso in ordine, riorganizzato. Su questo bisogna insistere. All’interno del Pd ci sono resistenze rispetto a mutamenti dello statuto, a mutamenti organizzativi. Resistenze enormi. Se Schlein riesce a superare queste resistenze, le cose sono destinate, per come la vedo, a migliorare. La mia impressione è che all’interno del Pd le opposizioni siano in una sorta di stand by…

In che senso?
Aspettano le elezioni europee. Dopodiché se queste dovessero andar male si scatenerebbe una guerra civile e lei potrebbe cadere. Se questo è l’obiettivo – far fuori la Schlein- è evidente che vi ci lavora fa il gioco della destra, i cui giornali non lasciano passare giorno senza attaccare la segretaria del Pd. Ma non è che ci siano alternative a Elly Schlein. In questo momento non ne vedo. Sarebbe il caso di fare in modo che lei porti a termine un progetto di rinnovamento del partito e che la si smetta una buona volta con tutte ste stupidaggini che sto leggendo o ascoltando in giro a proposito di “massimalismo”, “estremismo”.

Perché, professoressa Urbinati?
Una politica dei diritti non è, e né può essere “estremista”! Di cosa stiamo parlando? La difesa della salute pubblica, è estremismo, è massimalismo? Il fatto è che si usano parole roboanti ma sbagliate e al fine di distruggere una leadership. Questo è il gioco dei birilli che si sta facendo oggi. Ed è profondamente sbagliato. Elly Schlein non è né massimalista né estremista. Se è massimalismo difendere l’unità italiana contro l’autonomia differenziata che vuole Calderoli o essere contro il presidenzialismo plebiscitario, se è massimalismo la difesa della sanità pubblica, allora siamo fuori binario, per lo meno quello democratico. Non c’è estremismo nel discorso dei diritti. Mi spiace per gli amici apparentemente liberali. Ma come i liberali sinceri sanno (e un poco ne ho studiato di liberalismo, che è parte della mia cultura politica), quando si parla di diritti si parla di giustizia e di istituzioni di garanzia, di limitazione del potere della maggioranza, di dignità della persona singola: che cosa c’entra con l’estremismo? J.S. Mill o Luigi Einaudi sarebbero estremisti? Il discorso dei diritti elimina alla radice l’estremismo che non si basa sui diritti ma invece sulla forza propagandistica di una parte. La cultura dei diritti erode l’estremismo.

Questo discorso si proietta anche in chiave europea, in prospettiva delle elezioni del 2024?
Assolutamente sì. L’Europa si sta proiettando verso un’identità nazionalista. Se l’Europa è quella dei nazionalismi che fanno “partenariato” con stati e regimi autoritari per difendere le loro frontiere vi è di che preoccuparsi. L’Italia e l’Europa democratiche si fanno “partner” (questa la parola usata dalla nostra presidente del Consiglio) con un dittatore, qual è l’attuale presidente della Tunisia, che ha chiuso il parlamento e riempito le patrie galere di oppositori: questo significa che l’Europa dell’utopia di Spinelli e di Monnet appartiene ai libri di storia. Oggi sembra che l’Europa abbia bisogno di essere circondata da Paesi non democratici per difendere le proprie identità etniche. Far fare il lavoro sporco di cani da guardia delle frontiere democratiche a governi autoritari: questo non può non avvilirci. Chiediamoci se questo tipo di “partenariato” sarebbe possibile qualora Tunisia, Libia o Turchia fossero paesi democratici come i nostri. Non sarebbe ovviamente possibile, perché uno Stato democratico non può costruire ghetti e recinti di filo spinato per chiudervi persone in viaggio. Il paradosso è che l’Europa per difendere le proprie etnie deve disporre intorno a sé di un cordone di Stati autoritari e dittatoriali con i quali può fare tutte le trattative altrimenti impossibili. Questo è un fatto tragico. Un tempo si diceva, kantianamente, che i Paesi sarebbero diventati, sia pure gradualmente, repubblicani o a regime costituzionale. Invece, avviene il contrario. Questi Stati nazionali, nati nel nome della pace kantiana in Europa, ora hanno bisogno di essere circondati da Stati non democratici per poter fare politiche di respingimenti e di chiusura delle frontiere. Qualcosa di gravissimo. Lo ha fatto Minniti per il governo Gentiloni; lo hanno fatto Conte, Draghi, lo fa ora Meloni. Tutti fanno la stessa cosa. Questo è. L’Europa vive grazie a paesi non democratici che pattugliano le sue frontiere. Le forze che oggi hanno più voce sono quelle che accettano senza scandalizzarsi questa politica nazionalistica. Per la Meloni non c’è alcun problema a fare “partenariato” con un despota. Per un democratico ci sono, ci devono essere, dei problemi. Una Europa di destra sarà fatta di nazionalismi, di chiusure e piani di sostituzioni etniche. I democratici, siano essi socialdemocratici, Verdi e anche popolari, dovrebbero sentire questo problema enormemente. Invece mi sembra che i nazionalismi abbiano più voce. La crisi economica, la guerra, il riarmo: tutto va verso una Europa dei nazionalismi che, la storia c’insegna, porta non ad una unione europea ma ad una disunione europea.

21 Luglio 2023

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