Parlamento smentito
Per la Consulta il voto della Camera è ‘carta straccia’: si può usare il trojan contro i parlamentari
La sentenza che passerà alla storia della Repubblica italiana
Giustizia - di Paolo Comi
Tutto regolare. Per la Corte Costituzionale, presidente Silvana Sciarra, il voto del Parlamento è ‘carta straccia’. Con una sentenza che sicuramente passerà alla storia della Repubblica, la Consulta ha deciso che la Camera si era sbagliata quando aveva votato contro l’autorizzazione, avanzata dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, ad utilizzare le intercettazioni effettuate con il trojan inoculato nel cellulare di Luca Palamara e che coinvolgevano Cosimo Ferri.
Per la Consulta, relatore il giudice Stefano Petitti, storica toga di Magistratura democratica, Ferri, all’epoca parlamentare di Italia viva, venne intercettato in maniera del tutto ‘casuale’ da parte del Gico della Guardia di finanza su ordine della Procura di Perugia. La Camera, a gennaio del 2022, con 227 voti a favore e solo 86 contrari (M5s e Alternativa) aveva invece approvato la relazione della Giunta per le autorizzazioni con la quale vietava al Csm di utilizzare queste conversazioni nel procedimento disciplinare nei confronti di Ferri. Per il Parlamento vi era stata una macroscopica violazione della legge da parte degli inquirenti, un “regolamento di conti interno alla magistratura nel quale i deputati non devono entrare”, secondo il deputato Andrea Delmastro e ora sottosegretario alla Giustizia di Fratelli d’Italia.
Per il relatore Pietro Pittalis (FI) era evidente che già dal mese di febbraio 2019, quindi prima della cena all’hotel Champagne del 9 maggio successivo, gli inquirenti fossero a conoscenza che Palamara incontrava Ferri, il cui nome compariva quasi 400 volte nelle varie richieste di proroga delle intercettazioni telefoniche. “Appare plausibile – disse Pittalis a proposito di Ferri – che egli sia stato un chiaro bersaglio delle indagini, che erano in concreto indirizzate anche ad accedere nella sua sfera di comunicazioni”. Come era infatti emerso dagli atti, gli investigatori della Guardia di finanza avevano contezza che si sarebbe svolto l’incontro all’hotel Champagne e che vi avrebbero partecipato non uno ma ben due deputati (l’altro era il dem Luca Lotti, ndr) “ma non hanno avuto cura di interrompere un’attività investigativa che non poteva essere effettuata con quelle modalità”.
La captazione del 9 maggio non poteva, dunque, “minimamente essere ritenuta casuale e, conseguentemente, non lo sono nemmeno le successive”. Tra il giorno della captazione e quello dell’ascolto di tutti i progressivi delle captazioni prima e dopo l’incontro, inoltre, i pm di Perugia avevano anche dato istruzioni al Gico di non effettuare registrazioni nel caso in cui ci fosse la consapevolezza della presenza di un parlamentare. Dunque, non solo quelle intercettazioni non dovevano essere effettuate, “come da nota del pm”, ma, se effettuate, non potevano essere ascoltate, cosa che non è però avvenuta. A favore della tesi di Pittalis, sia Federico Conte (LeU) che Alfredo Bazoli (Pd). Per la ‘casualità’, prima della Consulta a guida Sciarra, solo il M5s.