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“Lo skateboard è una cura, sogno un’ Academy affinchè nessuno faccia i miei errori”, la storia di Gianluca Foti

“Lo skateboard è una cura, sogno un’ Academy affinchè nessuno faccia i miei errori”, la storia di Gianluca Foti

“Nello Skateboard trovo la mia massima espressione di libertà, quando salgo sulla tavola mi sento veramente libero. Sfoghi e canalizzi tutto il carico che ti porti addosso nella vita, è come una cura”. Ed è proprio dallo skateboard che Gianluca Foti, 33 anni, è ripartito. Il progetto che porta avanti con altri ragazzi si chiama “Clean Clean skateboard Academy” e vuole costruire una realtà che non è solo un posto fisico ma un luogo di unione dove si pratica non solo lo sport, dal 2020 inserito tra le discipline olimpioniche, ma anche tutto ciò che è connesso ad esso e alla sua filosofia come il videomaking, la grafica, la fisioterapia e l’allenamento. “Voglio solo che chi rischia di ricadere nei miei stessi errori non ci cada – dice Gianluca – E se stiamo insieme, creiamo un ambiente dove si condividono le passioni, ognuno si sente compreso, questo non succede”. E quanti ragazzi a Napoli si vedono in giro nelle piazze a praticare skateboard senza però avere strutture organizzate?

Dal sogno dello skate al carcere

Gianluca è un ragazzo di Napoli, nato e cresciuto nel quartiere Pianura. Il primo amore per lo skatebord ad appena 12 anni quando dietro a un campetto da basket vide un gruppo di ragazzi saltare e fare acrobazie sulla tavoletta con quattro ruote. “Capì che era quello che volevo fare anche io assolutamente”. Così la nascita di un sogno: “Vedevo di avere le potenzialità, volevo farne il mio lavoro, la mia vita. Davvero credevo di poter fare di quella mia passione il mio futuro. Ma avevo molte cose contro e non ero compreso fino in fondo come forse ancora oggi molti ragazzi di Napoli che vogliono praticare lo skate in maniera professionale ma non sono presi sul serio. Poi oggi come allora non ci sono le strutture adatte. E non per tutti è facile recuperare i soldi per partecipare a competizioni importanti. E’ capitato anche a me quando ero ragazzo. Trovatomi di fronte a tante difficoltà e incomprensioni, in un contesto complicato, sono caduto nelle droghe e così sono cominciati i casini”, racconta Gianluca. “Forse era la via più facile, così com’è anche per la criminalità: entrare in un contesto criminoso è più semplice di entrare in un contesto lavorativo. Non per tutti è facile dire no. E quella vita mi ha portato ad allontanarmi dal mio sogno”.

 

 

Furono quelli anni tremendi per Gianluca, che si era perduto in un contesto che non gli apparteneva. La sua mamma è sorda e sin da piccolo ha sviluppato una sensibilità fuori dal comune, un’attenzione per i dettagli e ogni piccolo movimento che gli fa comprendere tante cose soprattutto delle persone. Confuso e smarrito quando aveva 19 anni ha commesso un reato. Condannato a 16 anni di carcere, ne ha scontati 13 per buona condotta. Quando è uscito aveva 32 anni. Fortemente deciso a non gettare via quel tempo sospeso, si è messo a studiare: Prima il diploma di terza media, poi il liceo, ha portato a termine il percorso di studi all’interno del carcere, compresa l’Università. “Non sono state le mura a cambiarmi – dice – Ma la cosa positiva è stata che ho capito che era importante studiare e leggere. Così ‘evadevo’ dal carcere. Mi immergevo in storie che mi portavano via da lì, ero libero”.

Il percorso di studi in carcere e il paradosso del reinserimento

Gianluca ama leggere e così ha deciso di iscriversi anche all’Università, al corso di Laurea in Lettere Moderne. “In carcere ho fatto 8 esami nel Polo Universitario dell’Istituto  – continua il racconto – Avrei anche continuato dopo, ma una volta uscito non mi è stato possibile. Mi è molto dispiaciuto”. E qui Gianluca spiega un paradosso del sistema del reinserimento della Giustizia italiana: “Quando ero in misura alternativa mi veniva complicato andare avanti e indietro da casa al penitenziario per continuare gli studi: materialmente non avevo i soldi per comprare il biglietto e chiedere a casa i soldi a 30 anni non mi andava. Paradossalmente rischiavo già così di infrangere la legge, prendendo l’autobus senza biglietto. Ho dovuto così mollare l’Università per mettermi a lavorare. Non è stato semplice nemmeno trovare un lavoro da ex detenuto. Alla fine ho iniziato a fare volontariato. Avevo davvero tutti i migliori propositi per riprendermi la mia vita in mano, andare avanti, soprattutto per i miei cari. Ma non è stato affatto facile. A volte mi sembrava che mancasse proprio l’interesse da parte dello Stato a reinserire nella società le persone che hanno sbagliato e anche pagato. Ho visto programmi stilati dall’area educativa anche per altri ragazzi che erano in carcere con me, che non erano fattibili praticamente. Ho visto in carcere ragazzi che dovevano spendere molti soldi per raggiungere il posto di lavoro che poi magari era volontariato o il cui compenso era esiguo. E questo poi li ha portati a commettere ancora reati”. E chissà se dopo tanta sofferenza in carcere, se avessero potuto, avrebbe scelto di nuovo quella strada.

Gianluca ha scontato tutto quello che doveva, ha saldato il suo debito con la Giustizia, 12 anni in carcere e uno in semilibertà. Anche in carcere continuava a pensare allo skateboard, anche se non poteva praticarlo. Si è anche tatuato un piccolo skate sul braccio. “Quando sono uscito subito sono risalito sulla tavola”. Tanto è bastato per riaccendere in lui il sogno e ricominciare da dove aveva lasciato. “Ho visto che negli anni nulla era cambiato: il Centro Direzionale restava la nostra unica skate plaza anche se è una colata di cemento nel nulla. Non abbiamo strutture e pratichiamo uno sport olimpionico senza alcuna tutela o sicurezza. E non so perchè ma nessuno continua a crederci in questo potenziale. Ho riallacciato i rapporti con i miei amici con cui condividevo la passione, qualcuno si era allontanato ma io l’ho convinto a tornare. E ora penso al nostro progetto che si chiama ‘Clean Clean Skateboard Academy’ che intende creare una realtà nuova a Napoli. Può essere una bella situazione che dà un posto a molte persone vicine a questo mondo: oltre a chi pratica lo skateboard, penso ai videomaker, ai fotografi. La immagino come una struttura al chiuso che permetta di svolgere tutte le attività che riguardano lo skateboard, anche palestra, fisioterapia, perché praticando questo sport capita spesso di farsi male anche. A breve abbiamo intenzione di fondare un’Associazione che ci permetterà di partecipare a dei bandi e mettere su il nostro sogno”. Gianluca sogna un posto dove chi condivide la sua stessa passione possa sentirsi libero di farlo e compreso. Dove tutti i ragazzi di Napoli, anche quelli che si sentono più smarriti e soli, possano trovare punti di riferimento sani come lo sport.