Il corporativismo classista
Né concorrenza né redistribuzione: la destra è assistenzialista
Questo governo concepisce l’azione pubblica come strumento di tutela di una socialità selettiva, non molto diversamente rispetto al socialismo fascista.
Politica - di Iuri Maria Prado
Centocinquant’anni di banalissima letteratura e pratica economica non hanno spiegato alla destra di governo che ci sono due modi con cui si tenta di rimediare alla scarsità di ricchezza che affligge innanzitutto i più bisognosi: far sì che sia prodotta più ricchezza, sicché la quota supplementare ridondi in favore di chi ne ha meno, o redistribuire quella che c’è.
Non importa discutere qui quale sia il modo più efficace: importa osservare che questa destra, nelle soluzioni di cui sinora ha dato prova e in quelle fumose e vaghe che prospetta, dimostra di non aver scelto e di non voler scegliere né un modo né l’altro, e piuttosto fa ricorso a un modulo di sostanziale corporativismo classista.
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Quello che denuncia il “pizzo di Stato” non per risolvere un problema effettivo del sistema economico italiano, fondato su una diffusissima economia nera che non cessa di essere patologico solo perché sostiene attività altrimenti impossibili, ma per perpetuarlo onde ottenerne il favore elettorale. Il sostanziale corporativismo classista che, ancora, erode bensì i margini del reddito di cittadinanza, ma senza offrire soluzioni alternative e soprattutto lasciando intonsa l’enorme somma di privilegi accreditata in favore di realtà altrettanto disfunzionali ma ormai socialmente accettate: per capirsi, il padroncino verso le cui disinvolture è bene chiudere un occhio perché rimetterlo sulla riga della legalità di un sistema economicamente sostenibile suppone un impegno più grave e meno capace di consenso rispetto al proclama contro il furbetto da divano.
Un governo che scegliesse – come questo governo sta scegliendo – di non assediare e anzi di tutelare i bastioni anti-concorrenziali e protezionisti cu sui ancora si regge l’economia italiana, avrebbe almeno un pizzico di dignità politica se non si rivolgesse – come invece questo governo si sta rivolgendo – alla cura puramente conservatrice dei diffusi privilegi di classe che provvisoriamente, a non si sa ancora per quanto, sopravvivono alla crisi.
Identicamente statalista, la destra di governo concepisce l’azione pubblica come strumento di tutela di una socialità selettiva, non molto diversamente rispetto al socialismo fascista che tutelava bensì “il lavoro” ma senza toccare la rendita di classe e parassitaria che, non a caso, si sarebbe perpetuata nel corso repubblicano sotto le insegne nominalmente diverse degli ordini professionali, delle associazioni di categoria, del mandarinato burocratico e, soprattutto, delle signorie imprenditoriali colluse con il potere pubblico cui finivano per cedere il 45% di un dominio spartitorio e di libera grassazione delle classi lavoratrici.
Un governo liberista, ma anche solo liberale, sarebbe legittimamente avversato dalle opposizioni. Solo che non è questo governo. Il quale meriterebbe di essere avversato – non solo dalle opposizioni, ma anche dai liberali, se esistessero – perché tira a conservare ciò che di peggio ha questo Paese, ciò che più lo consegna al declino.