Un punto per Schlein
Salario minimo, il governo rinvia la decisione a settembre
La destra avrebbe potuto chiudere la partita in pochi minuti approvando l’emendamento soppressivo della pdl delle opposizioni, ma il 70% dei suoi elettori è favorevole alla misura. Domani l’arrivo in aula, poi il governo chiederà la sospensiva
Politica - di David Romoli
Salvo sorprese, domani, su richiesta della maggioranza, l’aula di Montecitorio rinvierà di due mesi l’esame del salario minimo: se ne riparla a settembre, probabilmente intorno al 25. Anche se nessuno lo ammetterà mai, si tratta di una vittoria dell’opposizione. Governo e maggioranza avrebbero potuto chiudere la partita in una manciata di minuti, con l’emendamento soppressivo e la delega al governo. Avevano anche tutte le intenzioni di farlo, poi Giorgia Meloni, e anche la Lega, si sono resi conto del clamoroso errore.
Quello dei salari bassi è un tema troppo universalmente avvertito come urgente per liquidarlo con un colpo di ghigliottina in commissione Lavoro. Il 70% degli elettori di destra è favorevole alla proposta che Tajani, con incredibile autogol, definisce un provvedimento da Unione sovietica. Fuori da quel perimetro elettorale il consenso è ovviamente anche più vasto. La premier ha capito in extremis di non poter passare per chi affossa sbrigativamente una richiesta giusta e necessaria per la stragrande maggioranza degli elettori. La proposta di rinviare tutto per cercare un punto d’accordo deriva da questa tardiva scoperta.
In una lunga intervista, la premier ha provato a rivolgere l’arma contro l’opposizione: “Dopo dieci anni al governo scoprono solo ora che salari e precariato sono un problema e ne addossano la responsabilità a un governo in carica da 9 mesi”. Giusto ma insignificante come spiegazione del no alla proposta dell’opposizione. Nel merito la premier ripete le sue motivazioni, molto meno peregrine e assurde di quelle del vicepremier Tajani: “Il salario minimo funziona bene come slogan ma quante possibilità ci sono che il parametro dei 9 euro diventi sostitutivo dei contratti e quindi finisca per essere un parametro al ribasso per i salari?”. È lo stesso timore che giustifica il no della Cisl ma anche, sino a poche settimane fa, quello della Cgil. Non è un’argomentazione campata per aria ma non è neppure sufficiente per spiegare la scelta di affossare la proposta invece che perfezionarla in modo da ovviare al rischio.
Per camuffare la retromarcia Meloni si appiglia all’atteggiamento di Calenda e di Azione, molto meno rigidi del resto dell’opposizione: “C’è una parte dell’opposizione molto responsabile, seria e garbata che chiede un confronto e quando c’è un’opposizione non pregiudiziale è giusto dare un segnale di confronto”. In parte è un tentativo di dividere il fronte dell’opposizione e Calenda, ossessionato dal timore di apparire troppo di sinistra, è prontissimo a coglierlo. Ma in parte ben maggiore è un alibi abborracciato all’ultimo momento per spiegare e motivare la mezza retromarcia senza farla apparire come tale. La realtà è che Meloni ha bisogno di tempo per bocciare la proposta, però mettendo in campo una soluzione alternativa della quale al momento non dispone.
Pd, 5S e Avs, consapevoli di aver messo il governo in una difficoltà che rischia di erodere il consenso di cui gode, non mollano la presa. “Come si possa definire ‘slogan’ la condizione di 3 mln e mezzo di lavoratori poveri non lo capisco. Noi siamo disponibili al confronto sul merito ma servono atti concreti e chiediamo il ritiro dell’emendamento soppressivo”, incalza Elly Schlein. Il ritiro non ci sarà. In compenso il governo eviterà di mettere ai voti l’emendamento che chiuderebbe brutalmente la partita. Domani il testo arriverà in aula, sarà discusso per alcune ore, l’opposizione sfrutterà l’occasione per affondare ancor di più la lama, poi il governo chiederà la sospensiva e se ne riparlerà a settembre.
Parlare della fine di settembre, però, significa chiarire da subito che il nodo del salario minimo sarà discusso contestualmente alla legge di bilancio. Meloni mira a sfruttare l’intreccio per avanzare una proposta alternativa a quella dell’opposizione ma in ogni caso il problema del salario non potrà essere silenziato e a questo punto non lo permetterebbe neppure la Cgil che pure, avendo firmato un terzo dei contratti al di sotto dei 9 euro e essendosi opposta nella scorsa legislatura a qualsiasi proposta di salario minimo, qualche responsabilità pesante ce l’ha. Ora tuttavia è pronta allo sciopero generale.
Sarebbe senza dubbio un esercizio di fantasia complottista immaginare che la destra voglia forzare sulla propria agenda di riforme, il presidenzialismo e l’autonomia differenziata, proprio per distogliere l’attenzione dai fronti che vedono il governo in maggior difficoltà a partire proprio dal salario minimo. Se ieri i capigruppo di maggioranza al Senato hanno presentato a sorpresa un odg che chiede appunto di stringere i tempi sulla riforma costituzionale cara a FdI e sull’autonomia differenziata reclamata dalla Lega è per una quantità di ragioni, a partire dai reciproci interessi dei due principali partiti della maggioranza in vista delle prossime europee. Ma almeno un pensierino sull’opportunità di mettere in primo piano qualcosa di diverso dai problemi materiali degli italiani è facile che ci sia scappato davvero.