Il concerto a Monza
Chi è Bruce Springsteen, il ‘Boss’ che rappresenta da sempre l’America dei deboli
In 72mila al concerto dell’unico artista capace di misurare la distanza tra la realtà e il sogno. Nasce in una famiglia di operai: il padre di origini irlandesi e olandesi, la madre invece è di origine italiane, di Vico Equense
Spettacoli - di Graziella Balestrieri
Davanti ai 72000 di Monza, ancora una volta, Bruce Springsteen si divora le polemiche sterili e inutili e riesce a donare uno show pieno di potenza, emozione, coraggio e voglia di andare avanti dimostrando, ancora una volta, che come diceva Obama – “lui è il capo”. È il 6 dicembre del 2009 e alla Casa Bianca a Bruce Springsteen viene assegnato il premio del Kennedy Center Honors, attribuito dal governo statunitense agli artisti che si sono distinti nella diffusione della cultura americana.
Ma quando si parla di Bruce Springsteen di quale cultura americana stiamo parlando? E poi Bruce e il capo di cosa e di chi? Bruce Springsteen nasce da una famiglia di operai, nel New Jersey, il padre (di origini irlandesi e olandesi) sarà costretto a cambiare spesso lavoro, mentre la madre di origini italiane (di Vico Equense) lavorerà come segretaria presso uno studio legale. Il piccolo Bruce deve affrontare tutte le difficoltà economiche di una famiglia della classe operaria di allora, e questa condizione rimarrà impressa nella sua mente e marchiata sulla sua pelle anche negli anni avvenire e sarà uno dei temi principali della sua carriera artistica. Il rapporto con il padre però sarà il fulcro centrale delle paure di Bruce, e la musica l’unico mezzo per fuggire via.
Un rapporto che si è trasformato in paura con gli anni, una sorta di spettro, quando nella sua vita si affaccia la depressione. Paura che lo ha assalito e divorato per anni, la paura di diventare come suo padre, descritto come un personaggio alla Bukowski dove “vivere ed imparare a sopravvivere con lui era semplicemente misterioso, imbarazzante e ordinario “. Votato all’alcolismo, Doug Springsteen trattava in malo modo Bruce e spesso in maniera violenta, a dispetto di quello che si possa credere, Bruce ha dovuto combattere per non diventare come lui o, meglio, nel periodo più buio della sua depressione il timore di scivolare verso quell’uomo che non gli ha mai saputo dire ti voglio bene, e che solo negli anni 90, quando nascerà il primo figlio di Bruce, cercherà di riavvicinarsi al figlio.
Ma quella paura nella musica del Boss non è mai andata via, quella tristezza pesantissima a tratti, che compare nelle sue melodie, perché sì Bruce potrebbe apparire come quello con la camicia smanicata, il ghigno sornione, quello capace di fare più di tre ore di spettacolo live, quello che macina soldi, quello che sembra affrontare la parte peggiore dell’America e mettersela sotto ai piedi, Bruce, il Boss, il capo , quello che può tutto ma in realtà Bruce Springsteen è a fatica diventato il capo ma delle sue paure, l’unico modo per non soccombere è riuscire a gestirle, affrontarle e poi correre. Cosciente di avere dentro una fragilità che può disintegrarti ma che può diventare anche la tua forza, Bruce Springsteen rappresenta la parte fragile dell’America, in questo senso. Di quei ragazzi costretti a combattere sempre, di quei ragazzi costretti a non farsi divorare dall’alcool o dalle droghe per uscire da una situazione economica e familiare che li tiene soffocati.
Sì, Bruce Springsteen rappresenta da sempre l’America dei deboli e ci dispiace moltissimo per quelli che ora puntano il dito e dicono “è pieno di soldi”, per quelli che la critica è più facile che cercare di pensare per qualche secondo, ma in fondo si sa che quello che non si vive non può mai essere percepito e capito ma solo criticato. Nella sua lunga carriera però, tutta questa paura, tutta questa tristezza e anche questa aura di non essere capace, di essere un fallito, di fallire davanti agli occhi di chi ti ama, viene sempre fuori. La paura costante di essere ciò che da piccolo sempre temeva e da cui voleva a tutti i costi fuggire. E la paura di non riuscire a farcela che ti può condurre nei tunnel più bui e senza uscita perché più combatti qualcosa che ti appartiene più ad un certo punto, il diavolo te la propone in maniera talmente succulenta che alla fine quasi quasi cedi e invece di combatterle ci fai un patto, un patto però che potrebbe essere la fine. Bruce no, combatte e scopre la musica e sarà la sua mamma a regalargli la sua prima chitarra.
Anche qui, le persone che hanno sempre criticato Bruce Springsteen quando durante i concerti fa salire la madre per ballare con lui durante Dancing in the dark. Beh, anche in questa che a molti sembra una specie di sceneggiata, qualcosa solo per fare spettacolo, in realtà non lo è. Perché chi davvero conosce la musica, i testi, la storia di Bruce, capisce che quella danza con la madre per lui rappresenta l’avercela fatta in qualche modo, per lui quell’abbraccio con la madre davanti a migliaia di persona rappresenta il fatto di essere riuscito grazie alla musica, e a sua madre che lo ha incoraggiato, il fatto di essere diventato un altro rispetto al padre, rispetto alla violenza, rispetto ai silenzi, rispetto all’alcolismo. Ecco perché la musica di Springsteen dai suoi esordi è una paura che parte dal singolo e arriva a toccare il generale.
La sua lotta parte dalla sua famiglia e arriva all’America degli ultimi, degli abbandonati, di chi arriva a trovare nella depressione l’unica esistenza, di chi si lascia andare all’alcool, di chi sprofonda nelle droghe, di chi uccide sé stesso perché cosciente che società lo ha già sotterrato. E allora eccolo lì il Boss, che affronta le sue paure e quelle dell’America tutte, diventando l’americano più americano di tutti, senza nascondere mai i difetti della sua patria, senza rifugiarsi mai nelle sue paure, affrontandole invece, criticandole, cercando di attraversarle anche con quella famosa corsa che appartiene in modo del tutto simbolico e metaforico alle sue melodie. Questa corsa verso che cosa? Verso chi? Verso dove? Verso la salvezza, verso la salvezza come uomo, come cittadino, come essere umano, verso il riconoscere di essere fragili. E non staremo a indicare i titoli degli album, quanto sia rock, quanto sia blues, come suona, la sua E-Street band che non lo ha mai abbandonato e che lui tiene sempre attaccata a sé come fosse la sua famiglia da sempre su quella strada.
No, non parleremo di Born To Run, di Thunder Road, di Born in The Usa, nemmeno di Street of Philadelphia o di The River. No, non parleremo nemmeno Only The strong Survive, non parleremo nemmeno di American Skin (41 Shots) o di The Rising o di Letter to you, no, non parleremo nemmeno di Glory Days o Dancing in the dark. Non parleremo di tutta questa storia, anche perché bastano i titoli per capire di chi stiamo parlando, bastano queste poche canzoni per capire quale storia stiamo attraversando e che non si può cambiare, perché Bruce ha fatto e fa la storia della musica.
Parleremo di questa corsa straordinaria invece, di un ragazzo nato in una famiglia che lo ha segnato profondamente, cresciuto in mezzo alle strade di una nazione che era specchio della sua famiglia, una nazione arrabbiata, una nazione dove l’ingiustizia la faceva (e la fa) da padrone, una nazione dove una pistola è più importante di qualsiasi sorriso, una nazione votata alla guerra con la finta scusa di cercare la pace. Bruce è il figlio di una nazione e di una famiglia che non ha mai avuto pace, Bruce alla ricerca disperata nella sua musica di una strada, di quel sogno americano di cui tutti parlano ma che nessuno sa in fondo che cosa sia. Che non è il successo, non sono i soldi, i soldi non ti aiutano a restituirti la serenità se l’hai perduta. Non è il successo e la scalata sociale.
Bruce Springsteen non ha mai cercato il sogno americano, non parla di quel sogno fatto di soldi, Bruce è da sempre l’unico artista capace di misurare la distanza tra la realtà e il sogno, che potrebbe essere una distanza fatta di vuoto anche, ma che lui quel vuoto lo ha trasformato in un ponte. Ed è quella distanza che raccoglie tutta la sua essenza, di un uomo profondissimo, di un uomo che ha dovuto lottare con i suoi demoni, con i suoi geni, con la sua famiglia. Quella distanza tra la realtà e il sogno americano è un tunnel profondissimo dal quale Bruce Springsteen ne è venuto fuori non senza graffi e ferite, ci è passato prima di tutti però e grazie alla musica ed è questo che racconta da sempre, non il sogno, non l’arrivo, ma come ci si arriva. E lui da sempre lo fa correndo.