Aveva solo 21 anni Gelsomina Verde quando fu brutalmente torturata, uccisa e poi bruciata all’interno della sua auto. Era il 21 novembre 2004, Gelsomina, che tutti conoscevano come Mina, fu uccisa a Scampia, periferia di Napoli. Impazzava in quegli anni la cruenta prima faida di camorra. Una vera e propria guerra quotidiana che lasciò a terra molti morti, a tutte le ore del giorno e della notte. Una guerra che vedeva da una parte gli eredi di Paolo Di Lauro, boss indiscusso di Secondigliano; dall’altro gli ‘scissionisti’, ex alleati dei Di Lauro, divenuti poi loro acerrimi nemici. I due gruppi si contendevano con ogni mezzo gli affari criminali sul territorio, legati in particolare al traffico di droga. Gelsomina era completamente estranea a tutto questo. L’unica cosa che condivideva con queste tremende storie criminali era il quartiere: anche lei era nata e viveva a Scampia, all’ombra delle vele.
La storia di Gelsomina Verde è balzata alle cronache perché il 27 luglio 2023, 19 anni dopo il terribile episodio, sono stati arrestati due presunti assassini, Luigi De Lucia e Pasquale Rinaldi, alias “ò Vichingo”, gravemente indiziati del femminicidio, con l’aggravante della premeditazione e del metodo mafioso in quanto commesso allo scopo di favorire l’organizzazione camorristica Di Lauro. Per il medesimo episodio sono stati già condannati Pietro Esposito, che aveva condotto la giovane all’appuntamento con i suoi assassini, e Ugo De Lucia, ideatore e partecipe alla esecuzione materiale dell’agguato in qualità di responsabile di uno dei gruppi di fuoco attivi durante la faida per conto dei Di Lauro.
“Per l’omicidio di una ragazza di 22 anni è il responsabile intero gruppo criminale (il clan Di Lauro, ndr), penalmente ci saranno sicuramente altre posizioni da definire, moralmente sono tutti colpevoli“. Lo ha detto il capo della squadra Mobile di Napoli Alfredo Fabbrocini, nel corso di una conferenza stampa in Questura indetta dopo l’arresto di due presunti appartenenti al commando del clan Di Lauro che uccise barbaramente Gelsomina Verde, come riportato dall’Ansa.
Mina lavorava come operaia in una fabbrica di pelletteria e nel tempo libero si occupava di volontariato: la sua unica “colpa” era quella di essere stata legata sentimentalmente per un breve periodo a un ragazzo, Gennaro Notturno, entrato in seguito a far parte del cosiddetto cartello degli scissionisti di Secondigliano; tale relazione si era peraltro conclusa almeno tre anni prima del suo barbaro assassinio.
Mina conosceva Gennaro e altri ragazzi della zona, conosceva i loro volti ed è proprio per questo che il commando dei Di Lauro aveva deciso di prelevarla e interrogarla. Lei non volle dare informazioni a nessuna delle due fazioni, nemmeno le fotografie che erano state richieste. “Io non sono come voi, non vi darò mai quelle foto, dovete solo uccidermi”, disse, come ha raccontato il fratello Francesco Verde all’Unità. Il commando non accettò che la ragazza potesse ribellarsi e la torturò pensando di ottenere le risposte che voleva. Poi fu colpita alla testa e il suo corpo dato alle fiamme nella sua auto che poco prima gli aveva regalato il suo papà facendo tanti sacrifici. Il fatto destò grande clamore per l’incredibile brutalità con cui quegli aguzzini si accanirono sulla ragazza che era totalmente estranea a quel contesto.
La storia di Gelsomina Verde è stata raccontata nel romanzo Gomorra di Roberto Saviano, mentre nella prima stagione della serie televisiva omonima è presente un personaggio, Manu (interpretato da Denise Perna), a lei ispirato, che appare nel nono episodio intitolato per l’appunto Gelsomina Verde. Gennaro Notturno, uno degli ‘scissionisti’, l’uomo ‘sbagliato’ che Gelsomina aveva frequentato, è oggi tra i collaboratori di giustizia che hanno fornito il loro apporto per l’arresto delle altre due persone ritenute responsabili dell’omicidio della 22enne.