Il mondo degli “invisibili”. Un mondo che chiama in causa anche il nostro Paese. Il mondo degli sfruttati, delle vittime delle tratte e dello sfruttamento. In Italia e nel mondo 1 vittima su 3 è minorenne. La maggior parte delle vittime di tratta e sfruttamento nel mondo restano invisibili: quelle identificate nel periodo 2017-2020 a livello globale non hanno superato i 190.000 casi.
Chi ha sofferto di più per mano dei trafficanti, secondo gli ultimi dati, sono state le donne (42%) e i minori (35%), mentre le principali forme di sfruttamento sono state di tipo lavorativo o sessuale, in proporzioni praticamente identiche, rispettivamente 38,8% e 38,7%. Se, per la prima volta e a causa del Covid, l’emersione dei casi ha avuto una contrazione dell’11% tra il 2019 e il 2020, il numero delle persone che migrano senza poter contare su canali di accesso legali invece, è aumentato, per effetto di crisi climatica, disuguaglianze e conflitti in corso, che costringono milioni di persone a sfollare e vivere in condizioni di vulnerabilità e povertà estrema, soprattutto nel caso di donne, bambine e bambini. Si tratta di persone potenzialmente esposte al rischio di tratta e sfruttamento.
A livello geografico, la maggior parte delle persone divenute vittime di tratta per conseguenza delle guerre si è spostato dall’Africa Sub-Sahariana (73%) e dal Medio Oriente (11%), le due aree più colpite dai conflitti. Anche in Europa, sottolineano le fonti istituzionali, si stima un numero elevato di vittime non registrate, mentre i casi emersi nel periodo 2019-2020 sono stati 14.311, per il 23% riguardanti i minori. In Italia, le nuove vittime di tratta e sfruttamento identificate nel 2021 sono state 757, in più di 1 caso su 3 (35%) si è trattato di minori, con una prevalenza di bambine e ragazze (168 casi) rispetto a bambini e ragazzi (96). Le sole vittime prese in carico dal sistema anti-tratta nel 2022 sono state 850, di cui il 59% donne e poco meno del 2% (1,6%) i minori. Il principale paese d’origine è la Nigeria (46,7%), seguita da Pakistan (8,5%), Marocco (6,8%), Brasile (4,5%) e Costa d’Avorio (3,3%) e altri paesi, mentre tra le forme di sfruttamento prevale quello di tipo sessuale (38%), seguito dallo sfruttamento lavorativo (27,3%).
Questi alcuni dei dati in evidenza nella XIII edizione del rapporto “Piccoli Schiavi Invisibili”, diffuso ieri da Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine e garantire loro un futuro -, in vista della Giornata Internazionale Contro la Tratta di Esseri Umani che ricorre il prossimo 30 luglio, che mette in luce e denuncia le condizioni dei minori, vittime o a rischio di tratta e sfruttamento nel nostro Paese. Il focus del rapporto è dedicato quest’anno a quei bambini, bambine e adolescenti che crescono in aree dove la condizione di sfruttamento dei genitori li rende vittime, sin dalla nascita, di un sistema di violazione dei loro diritti basilari sistematico e “normalizzato”, esponendoli anche al rischio di divenire loro stessi vittime dello sfruttamento ed esposti ad abusi. In questa edizione, Piccoli Schiavi Invisibili accende un faro sulla condizione dei minori che vivono nei territori caratterizzati dallo sfruttamento del lavoro agricolo, e, nello specifico, di due tra le aree a maggior rischio, la provincia di Latina, nel Lazio, e la Fascia Trasformata di Ragusa in Sicilia, territori raccontati dalla giornalista Valentina Petrini, co-curatrice del rapporto.
Quella che emerge è la fotografia di bambine e bambini figli di braccianti sfruttati che spesso trascorrono l’infanzia in alloggi di fortuna nei terreni agricoli, in condizioni di forte isolamento, con un difficile accesso alla scuola e ai servizi sanitari e sociali. Sono tantissimi e, nonostante alcuni sforzi specifici messi in campo, sono per lo più “invisibili” per le istituzioni di riferimento, non censiti all’anagrafe, ed è quindi difficile anche riuscire ad avere un quadro completo della loro presenza sul territorio. Il rapporto raccoglie testimonianze dirette di chi ha subito o subisce lo sfruttamento, insieme a quelle di rappresentanti delle istituzioni e delle realtà della società civile, dei sindacati, dei pediatri, dei medici di base e degli insegnanti, impegnati in prima linea, che restituiscono un quadro di diffusa privazione dei diritti di base che compromette il presente e il futuro dei bambini e delle bambine che nascono e crescono in queste condizioni.
La tratta e il grave sfruttamento, che sia lavorativo o di altro tipo, si nutrono dello stato di bisogno degli individui con meno risorse sociali ed economiche, e il rapporto diffuso ieri mira a far comprendere il nesso nocivo tra tratta, grave sfruttamento e infanzia negata. L’assenza quasi completa di ogni dimensione sociale organizzata e condivisa per i minori, fa della scuola l’unico presidio attivo per il contrasto all’isolamento dei bambini, come spiega con passione N., di 10 anni, che vive nella provincia di Latina “Quando ho fame mi cucino da solo, non c’è nessun altro che può farlo per me. Mamma e papà si alzano alle 4 del mattino per andare a lavorare in una fabbrica fuori Pontinia. Tornano per pranzo (a volte), io sono a scuola, non ci vediamo. Loro poi escono per tornare al lavoro, io torno, mangio, lavo i piatti, faccio i compiti. La sera rientrano non prima di mezzanotte. Io sto già dormendo. A casa con noi vive anche mia nonna, è malata, non riesce più a camminare, il nonno invece esce la mattina poco dopo mamma e papà, anche lui lavora nei campi. Mi piace studiare, vuoi vedere i miei quaderni? Io studio sempre.”
Per S., una ragazza di 14 anni, il lavoro è iniziato quando ne aveva 13, impacchettando ortaggi o “bombando i fiori”, spargendo cioè la sera gli antiparassitari sulle coltivazioni, senza protezioni per le mani e per la bocca. Lei a scuola ci va lo stesso, ma capita che per la stanchezza si addormenti sul banco. Un’esperienza comune, tra quelle dei minori che si raccontano nel rapporto: “Io lavoro anche in serra, raccolgo le verdure, poi pompiamo i fiori per far sì che non si ammalino. Un po’ mi dà fastidio respirare il pesticida, ma è diventato il mio profumo ormai”, “A volte lavoriamo anche tutta la giornata, se non andiamo a scuola. A volte abbiamo questo problema, che non possiamo andare a scuola perché dobbiamo lavorare per forza”, “Lo sanno tutti che siamo minorenni. In magazzino ci portano quello che raccolgono nelle serre, abbiamo tipo delle vaschette, le mettiamo sopra alla bilancia e pesiamo i pomodori. Ogni vaschetta non deve essere più di 520/530 grammi”.
Storie che si intrecciano con i dati allarmanti sul lavoro minorile diffusi recentemente da Save the Children: in Italia si stima che tra i 14-15enni che lavorano, il 27,8% (circa 58.000 minorenni) abbia svolto lavori particolarmente dannosi per il proprio sviluppo educativo e per il benessere psicofisico. Tra i minorenni intervistati che hanno dichiarato di aver avuto esperienze lavorative, il 9,1% è impiegato in attività in campagna. Se la frequenza a scuola è costantemente minacciata dagli effetti indiretti o diretti dello sfruttamento lavorativo, la semplice operazione di iscrizione online a nuovo anno scolastico si rivela un’impresa per tantissime famiglie, in difficoltà e alla ricerca dell’aiuto delle scuole stesse, o di quello dei sindacati o delle cooperative che in qualche caso suppliscono alla carenza dei servizi pubblici.
Ma la barriera della burocrazia si rivela, per queste famiglie e i loro figli, altrettanto o più dannosa anche su altri fronti chiave, come quello dell’ottenimento della residenza o del codice fiscale, dell’assegnazione del medico o del pediatra, dell’accesso ai bonus per i servizi mensa e trasporto, per le procedure dell’Isee o dell’F24. Si tratta di operazioni indispensabili per poter godere dei diritti di base, ma enormemente complicate dalle condizioni di precarietà economica, logistica e linguistica dei genitori, che, nonostante gli sforzi fatti da istituzioni locali, sindacati e cooperative, hanno anche consentito lo sviluppo di una forma di caporalato dei servizi, che offre ogni tipo di supporto a pagamento, fuori da ogni controllo, che si traduce in ulteriori forme di violenza e violazione dei diritti essenziali dei minori.
La negazione del diritto alla salute per bambine e bambini è uno dei rischi principali di questo stato di cose, come dimostrano ad esempio le testimonianze raccolte da questa ricerca tra medici e pediatri nella provincia di Latina e Ragusa, dove può succedere di trovarsi, in ambulatorio o in ospedale, di fronte ad una richiesta di assistenza medica essenziale per una bambina o un bambino in assenza di iscrizione sanitaria. Gli stessi medici e infermieri devono anche far fronte in autonomia alle difficoltà linguistiche nell’interazione con i genitori e si ritrovano spesso costretti ad affidarsi ai piccoli stessi per le indicazioni sulle cure da seguire, oppure a fratelli e sorelle, quando ci sono.
“Abbiamo voluto dar voce a bambini, bambine e adolescenti che vivono ogni giorno in un vero e proprio cono d’ombra, subendo gravissime violazioni nel loro accesso alla salute e all’educazione. Questo Rapporto ci dice che i lavoratori e le lavoratrici sfruttate in campo agricolo, oltre ad essere vittime dirette di questa condizione, sono anche genitori, madri e padri di bambini “invisibili” che crescono nel nostro Paese privi di diritti essenziali. Questa dimensione così grave dello sfruttamento troppo spesso, sino ad oggi, è stata ignorata. È fondamentale innanzitutto riconoscere l’esistenza di questi bambini, assicurare ad ognuno di loro la residenza anagrafica, l’iscrizione al servizio sanitario e alla scuola e i servizi di sostegno indispensabili per la crescita,” afferma Raffaela Milano, Direttrice Programmi Italia-Europa di Save the Children. Così si combatte lo sfruttamento dei più indifesi tra gli indifesi. Sinistra se ci sei batti un colpo.