Parla l'ex ministra dem
Intervista a Paola De Micheli: “La vera riforma è il reddito universale”
«Il Pd non deve limitarsi alla “manutenzione ordinaria”, deve essere egemone nel centrosinistra e perno centrale di eventuali alleanze»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
È stata tra gli sfidanti di Elly Schlein per la guida del Partito Democratico. Idee chiare e grande determinazione nel portarle avanti, forte di una importante esperienza governativa (ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti nel governo Conte 2, sottosegretaria al ministero dell’Economia e delle Finanze nei governi Renzi e Gentiloni, sottosegretaria alla presidenza del Consiglio), parlamentare (attualmente è vice presidente della Commissione Attività produttive della Camera dei deputati) e di partito ( è stata vice segretaria nazionale, assieme ad Andrea Orlando, con Nicola Zingaretti segretario). La parola a Paola De Micheli.
Il voto spagnolo dice che la “fiamma” di una destra estrema può essere contenuta se non “spenta”. Da quel voto che lezione dovrebbe trarne il Pd?
Dalla Spagna è arrivato un segnale politico molto importante anche in chiave europea. E se dobbiamo resistere alla tentazione di guardare con occhi italiani alle vicende di un paese vicino a noi ma differente, voglio leggere con fiducia l’importante risultato ottenuto da un partito dalla sinistra di governo come il Psoe, quando tutti gli osservatori lo davano in inesorabile declino. Destinato a essere travolto dall’ondata di destra. Invece i socialisti hanno guadagnato voti rispetto alle ultime elezioni politiche e si sono confermati forza fondamentale della democrazia spagnola. Così come le urne hanno decretato una sonora sconfitta per gli estremisti di destra di Vox. Il voto in Spagna dimostra che la partita è ancora aperta in vista delle elezioni europee e non c’è un futuro già scritto che confinerà la sinistra a una condizione di minorità. In politica ogni tanto ci vuole anche coraggio, e Sanchez lo ha avuto nella scelta del voto anticipato e affrontando una campagna a viso aperto, fatta sul territorio, non solo incentrata sugli importanti risultati ottenuti al governo, ma sui diritti sociali, offrendo risposte avanzate ai bisogni di ogni giorno delle persone. Naturalmente ora non sarà facile per gli spagnoli darsi un governo stabile, ma sono felice per l’affermazione del Psoe anche per un’altra ragione: perché evidenzia che quella sul salario minimo è una battaglia politica giusta anche per il Pd, Non è solo una questione simbolica legata alla dignità del lavoro, perché può avere una ricaduta reale sulle condizioni di vita delle persone.
Tutti o quasi nel Partito Democratico si dicono “riformisti”. Una parola buona per tutte le stagioni che spesso diventa sinonimo di “moderatismo”. Cosa significa per lei essere “riformisti”?
Intanto riformismo e riformista sono fra le parole più abusate nel gergo politico degli ultimi anni. Tanto da diventare etichette vuote o da essere accostate impropriamente al moderatismo. Non c’è sinistra senza tensione verso la trasformazione e il Pd non può limitarsi alla “manutenzione ordinaria”, serve una trasformazione anche radicale purché sia sempre indirizzata al miglioramento della vita delle persone, e soprattutto sia misurabile nei fatti. Allora la sfida di un nuovo riformismo oggi è quella di mettere in atto politiche che possano ricostruire e rilanciare una classe media nel nostro Paese, perché senza una classe media forte non può esserci mobilità sociale, con le conseguenze sulla crescita demografica ed economica che sono sotto agli occhi di tutti. A questo si aggiunge che la fragilità della classe media è strettamente connessa a quella della nostra democrazia, come dimostra la crescente disaffezione per il voto. Un problema che sta diventando drammatico perché sempre più persone pensano che recarsi alle urne non possa più incidere sul miglioramento della propria vita. In questo scenario sono convinta che le ragioni fondative del Partito Democratico, con la fusione delle culture politiche del cattolicesimo democratico e della sinistra, e la sua missione storica oggi siano più che mai attuali.
“L’estate militante” lanciata da Elly Schlein. Uno slogan o una reale pratica nei territori?
Ho apprezzato la proposta lanciata dalla nostra segretaria, ma io sono per estendere l’idea di estate militante tutto l’anno. Per questo credo sia necessario partire da un grande investimento sul partito e sui nostri iscritti, affinché ci sia una valorizzazione quotidiana della militanza e della partecipazione: sia quando i nostri iscritti devono lavorare per il partito, sia quando è necessario interpellarli per compiere le scelte strategiche. Dai Giovani Democratici fino ai militanti storici che tengono in piedi col volontariato le nostre feste, occorre valorizzare al massimo questo grande patrimonio. Non solo attraverso un nuovo modello organizzativo, ma anche dando al PD un profilo identitario chiaro e capace di generare una nuova spinta ideale.
La butto giù seccamente. Sul piano interno, il “nuovo Pd” è mai nato?
Sì, è nato, e questo è estremamente tangibile tra i nostri iscritti ed elettori, molto di più quanto possa sembrare a livello di gruppi dirigenti. Il Partito Democratico, fin dalla sua nascita, ha visto al suo interno diverse componenti e questa pluralità ha da sempre rappresentato uno dei suoi principali punti di forza. Compito della segreteria è quello di fare una sintesi tra le diverse visioni per poter poi stabilire una linea comune. Un compito senza dubbio gravoso, che richiede tempo e capacità di ascolto da tutte le parti in gioco. L’inedito risultato delle primarie, con gli iscritti che si sono espressi in favore di Bonaccini e gli elettori che hanno premiato Schlein ai gazebo, probabilmente non ha semplificato le cose. Sono contenta che siano tornati centrali temi che ritengo fondamentali per la sinistra come il lavoro; in questo senso auspico che la discussione sul salario minimo sia il punto di partenza per arrivare a proposte più radicali e non un punto di arrivo. Spero che vengano affrontate quanto prima questioni importanti come il rapporto con l’Intelligenza Artificiale e il suo impatto sui lavoratori e le professioni coinvolte nelle grandi transizioni ambientali. È nostro compito accompagnare e tutelare le lavoratrici e i lavoratori in questa trasformazione sociale.
Guerra, migranti, diseguaglianze, cambiamenti climatici, una giustizia giusta. Una sinistra che vuole “frequentare” il futuro, orientandolo, non può non avere un pensiero forte su queste sfide epocali. Il Pd è attrezzato per questo?
Sono temi centrali per il Partito Democratico, che appartengono nativamente al pensiero e alla cultura di sinistra. L’attualità degli ultimi anni non ha fatto altro che confermarne l’importanza e l’urgenza con cui queste sfide vanno affrontate, al di là degli aspetti ideologici, per l’impatto che hanno sulla vita quotidiana delle persone. C’è il forte bisogno di un nuovo umanesimo, che rimetta le persone al centro e che orienti le decisioni, anche le più radicali, in funzione di esse. Prendo ad esempio la transizione ambientale, uno dei grandi temi di oggi che sarà sempre più centrale negli anni a venire; su questo faccio mia la visione dell’ecologia integrale di Papa Francesco, dove l’uomo e il pianeta avanzano di pari passo senza che uno prenda il sopravvento sull’altro. Servono nuove politiche industriali europee e nazionali e un forte impulso pubblico di sostegno alle persone, affinché nessuno rimanga indietro nell’attraversare questa sfida epocale. Dunque nuovi strumenti di protezione per le fasce più deboli della popolazione come ad esempio il Reddito Universale, già da noi proposto e già attuato in altre democrazie. Uno strumento che si è dimostrato efficace anche nel consentire il ritorno nel mondo del lavoro dopo momenti di difficoltà. Ma anche investimenti importanti in ricerca e sviluppo per trovare nuove fonti di energia che possano realmente soppiantare la densità energetica dei combustibili fossili.
Si dice: guardiamo ai programmi. Ma poi si discute e si litiga sulle alleanze.
Credo sia normale che approcciandosi alle elezioni europee del 2024, dove vige il proporzionale puro, tutte le forze politiche mettano in campo la propria strategia. È un primo, grande, banco di prova in cui potersi contare realmente e calcolare il giusto peso di ogni componente in vista delle amministrative, dove invece, al contrario, le alleanze saranno centrali. Il Partito Democratico deve prima di tutto tornare a essere egemone nel centrosinistra, perno centrale di eventuali alleanze senza partire da posizioni di subalternità rispetto ad altre forze politiche. Stiamo vedendo unità di intenti su temi fondamentali come il salario minimo, il che è sicuramente un segnale positivo. Allo stesso tempo l’uscita di scena di Silvio Berlusconi ha inevitabilmente aperto delle riflessioni tra le forze centriste, nei prossimi mesi si avrà verosimilmente un quadro più chiaro, al netto dei posizionamenti tattici, delle rotte che intendono intraprendere i vari partiti. I risultati delle ultime tornate elettorali regionali e amministrative hanno in ogni caso confermato che, laddove ci sono proposte condivise da più forze, di fronte a una destra unita l’alleanza è la via da percorrere. Prima ancora dei programmi, serve una visione chiara e lucida del Paese e della società.