L'interesse nazionale svenduto

Meloni svende l’Italia a Biden: c’era una volta il sovranismo

Meloni garantisce a Biden allineamento totale su Ucraina e Cina. La partita d’Africa resta un punto interrogativo ma la Casa Bianca benedice la conferenza di Roma sulle migrazioni.

Politica - di David Romoli - 29 Luglio 2023

CONDIVIDI

Meloni svende l’Italia a Biden: c’era una volta il sovranismo

Il mazzo di fiori di Biden per Giorgia, l’ospite con la quale “siamo diventati amici”, arriva qualche ora dopo l’incontro alla Casa Bianca, sotto forma di comunicato: “Gli Stati Uniti accolgono con favore la candidatura dell’Italia a ospitare l’Esposizione Universale nel 2030, riconoscendo l’opportunità di utilizzare l’Expo come piattaforma inclusiva per trovare soluzioni condivise a sfide comuni’’. Che basti a scalzare la posizione al momento preminente dell’Arabia Saudita nella corsa all’Expo non è affatto detto ma il segnale resta chiarissimo.

Il biglietto di ringraziamento italiano è sintetico e veicolato da un laconico Tweet nel quale la premier definisce l’incontro “un’occasione importante per ribadire la profonda amicizia che unisce Italia e Usa e per discutere dei comuni interessi strategici”. La discrezione un po’ algida del tweet della premier non tragga in inganno. A Washington, dove un anno fa quasi non sapevano chi fosse e quel che ne sapevano destava solo diffidenza, è stata accolta con tutti gli onori, con una coreografia studiata in ogni passo e in ogni singola battuta per esaltare il rapporto privilegiato che lega oggi Usa e Italia.

Il brevissimo punto stampa con lo speaker della Camera Kevin McCarthy è stato degno dei fidanzatini di Peynet. Il presidente Biden si è lanciato in un corteggiamento a basi di frasi una più fiorita dell’altra, a partire dal flautato “La prima volta che ti ho incontrata ho pensato di conoscerti da molto tempo”. Le messe in scene in diplomazia contano ma la sostanza, nel colloquio di oltre un’ora e mezza, è stata altrettanto soddisfacente per entrambi. La pietra angolare della sintonia perfetta è la guerra in Ucraina: nell’Europa occidentale Paese più allineato dell’Italia sulla linea della Casa Bianca non c’è. La premier promette che le cose non cambieranno. Il presidente si felicita. Il comunicato congiunto ribadisce la linea: “Usa e Italia continueranno a fornire assistenza politica, militare, finanziaria e umanitaria finché sarà necessario, con l’obiettivo di raggiungere una pace duratura che rispetti in pieno la Carta dell’Onu e la sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina”. Si faceva prima a dire “finché la Russia non sarà stata sconfitta sul campo”.

Sulla Cina la premier, che intende andare presto a Pechino, ha offerto tutte le garanzie del caso sulla ferma decisione di tirarsi indietro dal memorandum firmato nel marzo 2019 da Conte. La via della Seta è chiusa perché “la concorrenza di Paesi che non rispettano le garanzie standard su lavoro, ambiente e sicurezza mina le nostre imprese e i nostri lavoratori”: quel che l’amico americano voleva sentirsi dire. Certo, la premier chiede e ottiene di poter scegliere tempi, comunque stretti e modalità del gran passo, perché una porta aperta nei rapporti commerciali con il celeste impero bisogna pur lasciarla. E se a chiuderla per rappresaglia dovesse essere la Cina il potente alleato le ha già assicurato di aver pronto un piano per supplire al danno.

Sulla partita d’Africa, la principale per Meloni, gli esiti non sono noti e non lo saranno. Però il comunicato congiunto dei due presidenti insiste molto e in diversi paragrafi sul nodo africano. Pur non fornendo garanzie di sorta, segnala il comune supporto al popolo tunisino e il comune desiderio di vedere presto “una Tunisia prospera, sicura e democratica”. In un comunicato ufficiale, l’italiana non poteva ottenere di più e Biden si è allargato di più sul Piano Mattei, con una vera e propria benedizione ufficiale: “Gli Stati Uniti hanno accolto con favore la Conferenza su Migrazione e Sviluppo tenutasi il 23 luglio a Roma, nonché l’istituzione del “Processo di Roma” per promuovere partenariati tra i Paesi di origine, transito e destinazione delle migrazioni nella più ampia regione di Mediterraneo, Medio Oriente e Africa. In questo quadro, gli Stati Uniti prendono atto del ‘Piano Mattei’ per l’Africa del governo italiano”.

L’interscambio commerciale è già fittissimo, un centinaio di mld di dollari l’anno scorso, e i due governi hanno tutte le intenzioni di moltiplicarlo, anche se di mezzo c’è, irrisolto, il nodo dell’Inflation Reduction Act, che penalizza fortemente tutte le aziende europee e che è stato uno degli argomenti centrali del colloquio. Dal punto di vista politico il viaggio a Washington è per la premier un successo che rinsalda la posizione preziosa di “beniamina degli Usa” in Europa. Ma il prezzo è esoso e passa per una rottura molto più radicale di quanto non appaia con l’intera tradizione della politica estera italiana, sia della prima che della seconda Repubblica. Mattei e Fanfani, poi Moro e negli anni ’80 Andreotti e Craxi, pur nella massima fedeltà all’Alleanza atlantica, avevano sempre mantenuto margini di autonomia e impostato politiche estere, soprattutto ma non solo con i Paesi arabi, svincolate e a volte in aperto contrasto con gli interessi degli Usa.

Nella seconda Repubblica, certo col suo personalissimo stile, Berlusconi aveva cercato di impostare una politica aperta e multilaterale, senza mai entrare in conflitto con gli Usa ma sforzandosi di mantenere in equilibrio una quantità di rapporti internazionali. Che si trattasse di sovranità limitata, specialmente negli anni della prima Repubblica, è certo. Ma con margini di sovranità reale anche ampi. La premier “sovranista” si è allineata agli Usa senza nessunissimo margine sia sul fronte della guerra ucraina sia su quello della nuova guerra fredda con la Cina incombente.

Ha affidato alla protezione americana il grosso della sua credibilità e contrattualità internazionale e impostato un rapporto che difficilmente sarà “paritario” sul piano dello scambio commerciale. Ha sacrificato ogni sovranità, senza difenderne alcun lembo. È certamente una scommessa: la premier ritiene di poter uscire tanto rafforzata dall’ombrello americano da rendere vantaggioso il sacrificio della sovranità. Ma nella migliore delle ipotesi è una scommessa molto rischiosa.

29 Luglio 2023

Condividi l'articolo