Il presidente Centro Astalli
“Sdegno e dolore davanti ai corpi nel deserto, domani saranno dimenticati”, parla padre Camillo Ripamonti
«Diritti umani garantiti? Nulla di più falso. L’Europa non chiede alcuna garanzia, in questi memorandum si parla di intervenire sulle cause dei fenomeni ma in realtà interessa solo bloccare le persone.»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Il suo è un j’accuse possente: “Tutti hanno giustamente e prontamente denunciato l’azione della Russia di sottrarsi all’accordo sul grano come mossa “cinica, crudele e disumana”, che avrà come conseguenza il rischio di affamare l’Africa e di far alzare notevolmente i prezzi dei cereali. Eppure la stessa lucidità di giudizio non sembra aver caratterizzato l’UE e l’Italia in occasione della firma del memorandum con la Tunisia, che nella parte che riguarda i migranti di fatto consegna migliaia di uomini, donne e bambini a uno Stato terzo, senza nessuna garanzia sui diritti umani, anzi pur avendo evidenza del loro mancato rispetto all’interno del Paese. Una storia che ormai si ripete: dal memorandum con la Libia all’accordo con la Turchia, hanno avuto come effetto cinico, crudele e disumano di bloccare, rendere più pericolosi e spesso tragici i viaggi di decine di migliaia di persone. Non è vera la giustificazione data per la realizzazione di tali accordi, cioè l’azione dissuasiva e regolatoria dei flussi migratori. È vero invece che quello che vediamo con chiarezza nel comportamento di altri Stati dovrebbe definire anche tali accordi per quello che in realtà sono: interessati, cinici e spesso disumani”. A sostenerlo è padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati.
Padre Ripamonti le immagini dei civili, donne, uomini, bambini, morti di stenti nel deserto tra la Tunisia e la Libia chiamano in causa le responsabilità dei governi e dell’Europa. L’Unità ne ha fatto una mission editoriale.
È meritorio non chiudere gli occhi o relegare ai margini dell’informazione tragedie umanitarie di questa portata e ricorrenza. Di fronte a queste immagini c’è solo sdegno che riguarda anche i governi europei. Non vedo altri termini più idonei nel valutare scelte come quella compiuta dall’Unione Europea di dar vita a un memorandum come quello con la Tunisia, addirittura preso a modello da replicare in altri possibili accordi in Africa. Accordi che non vengono minimamente vincolati al rispetto dei diritti umani. Queste immagini strazianti dimostrano tragicamente che i diritti umani vengono calpestati, negati, e che la centralità della persona non è garantita, anche se a parole si dice che questi diritti sono garantiti. Nulla di più falso. Per tornare a quelle immagini agghiaccianti: si tratta di persone di origine sub-sahariana espulse dalle autorità tunisine. Abbandonati senza acqua, cibo o riparo a temperature che superano i 50 gradi, hanno camminato per chilometri prima di soccombere per lo stremo. Ennesima tragedia dovuta all’accordo di esternalizzazione firmato dall’Unione Europea con la Tunisia. Si susseguono le immagini di uomini, donne, bambini abbandonati nel deserto. Prima una mamma abbracciata alla figlia di sei anni, poi un padre stretto al figlio. Salvare vite umane è un imperativo inderogabile degli Stati. Le politiche di chiusura dei confini non possono essere considerate politiche di gestione dei flussi migratori perché in questi anni sono state strumenti di morte per troppi esseri umani. Sdegno, dolore e anche un’amara consapevolezza…
Quale, padre Ripamonti?
Abbiamo già visto in passato che certe immagini colpiscono al momento ma non rimangono indelebili nella nostra memoria e non ci spingono a un cambio di orizzonte e di prospettiva. Anzi, l’Unione Europea facendo i propri interessi cerca di bloccare le persone in Paesi terzi che non rispettano i diritti umani.
L’Europa-fortezza, l’Europa che esclude. L’Europa mossa da un’ossessione che si fa politica: esternalizzare le frontiere.
La conferenza che c’è stata domenica scorsa a Roma ha messo in evidenza che la questione migratoria è questione molto più complessa. Però poi alla fine quello che risulta essere immediato e necessario, una sorta di imperativo categorico, è bloccare le persone. Al di là di prese di posizione in cui si afferma che i processi sono lunghi, che s’investirà anche sulle cause dei fenomeni, alla fine ci si concentra sull’esternalizzazione dei confini che poi è quello che interessa davvero. Non fare arrivare le persone in Europa. Resta questo il vero obiettivo dell’Unione Europea. Si dice: non farle arrivare in modo illegale affidandole ai trafficanti, ma in realtà quello che s’intende è non farle arrivare comunque, cercando in qualche modo di regolamentare invece i flussi legati al lavoro. Bloccare alcune persone e farne arrivare delle altre, selezionandole.
Decine di rapporti Onu e delle più importanti associazioni che monitorano il rispetto dei diritti umani, centinaia di testimonianze di sopravvissuti, non hanno smosso il ministro dell’Interno Piantedosi dalla sua convinzione, ribadita in una recentissima intervista, che la Tunisia rispetta i diritti umani.
Alla prova dei fatti abbiamo visto che queste persone muoiono perché respinte ai confini desertici tra Tunisia e Libia. Queste immagini agghiaccianti contraddicono questa assunzione a parole del rispetto dei diritti umani. Ma sapevamo già prima di queste immagini che la Tunisia aveva respinto centinaia se non migliaia di migranti verso la Libia, nel deserto, lasciandoli in balia di se stessi. Lo stesso era successo con la Libia. Si firmano accordi, li si reiterano nel tempo, senza esigere immediatamente garanzie sui diritti, e nei mesi e anni successivi si ha evidenza continua di questo mancato rispetto dei diritti umani. Questo è accaduto con la Libia, questo sta accadendo ora con la Tunisia. Il perseverare è diabolico, verrebbe da dire. Così come è già successo con la Turchia di Erdogan e con la Libia delle milizie, l’UE, per cercare di contenere gli arrivi sulle coste italiane e d’Europa, finanzia un regime che ha cancellato le garanzie democratiche al proprio interno. E lo fa senza porre alcuna concreta condizionalità sul rispetto dei diritti umani fondamentali, come dimostrano i recenti fatti che hanno visto accadere nel Paese una vera e propria caccia allo straniero nei confronti dei migranti sub-sahariani, e deportare illegalmente ai confini con la Libia e con l’Algeria centinaia di persone in transito verso l’Europa, causando la morte di molte di loro, incluse donne e bambini, e violando quel diritto internazionale che lo stesso Memorandum richiama.
Resta al fondo l’idea, la visione dei migranti come minaccia e non come ricchezza per le nostre società.
Per tanto tempo i migranti sono stati strumentalizzati a fini politici per ottenere dei vantaggi elettorali. In questo momento siamo in una situazione in cui emerge la necessità concreta a livello europeo della presenza di migranti che vadano a rinfoltire le fila per il lavoro. Però non si vuole contraddire quello che si è detto fino a ieri sui migranti. Quindi si crea questo cortocircuito in cui i migranti sarebbero utili a noi però non quelli che arrivano in modo irregolare. Ma sotto sotto si nasconde questa visione del migrante non nella sua dignità, come persona, si può farlo arrivare solo se è simile a noi, se ci può essere utile. Questo uso strumentale delle persone è del tutto inaccettabile.
Che fare allora?
Bisogna assolutamente uscire da questa prospettiva e considerare i migranti come persone, come risorse per le nostre società, non soltanto in una accezione utilitaristica, per il lavoro che potrebbero svolgere, ma per la ricchezza della loro appartenenza culturale, appartenenza religiosa, che può arricchire le nostre società. Dobbiamo cambiare la prospettiva. Non prendere quelli che vogliamo, come vogliamo, quasi fossimo in una sorta di grande supermercato umano planetario, ma pensare a un futuro condiviso, nel quale queste persone si siedono al tavolo con noi nelle nostre società e immaginano con noi il futuro.
In un suo bel libro, lei ha messo un accento allarmato sulla “globalizzazione dell’indifferenza”.
Dieci anni fa, in occasione del suo primo viaggio a Lampedusa, papa Francesco usò questa espressione, la “globalizzazione dell’indifferenza”. A distanza di dieci anni, non possiamo che raccogliere i frutti, purtroppo tristi, amari, dolorosi, di questa indifferenza. Siamo ancora a piangere delle persone morte nel deserto, respinte brutalmente, perché non si vuole riconoscerle come esseri umani. Se questa non è “globalizzazione dell’indifferenza”, allora ditemi di cosa si tratta.
Si insiste sul concetto di sicurezza, quasi sempre in termini “securitari”, e quasi mai sui concetti di legalità e inclusione. Perché, padre Ripamonti?
Credo perché nel corso degli anni abbiamo vincolato il discorso migratorio a un discorso politico funzionale al consenso elettorale. Bisognava identificare un nemico, fomentare nelle persone la paura e l’odio verso questo nemico, il migrante. Un bersaglio di comodo per quella politica che sull’odio e la paura cercava voti. Io identifico chi è il nemico. E il nemico è il migrante, magari islamico e alimento la paura verso questa persona. E così costruisco retoricamente il mio discorso politico per finalità elettorali intorno a questo nemico. Uscire da questo discorso diventa sempre più difficile. Sono più di venti-trent’anni che si alimenta questa narrazione distorta, tanto da essere entrata nell’immaginario collettivo. Bisognerebbe smontare dal punto di vista culturale questa costruzione e riprendere il discorso da una visione del migrante come una persona che viene da un altro luogo e porta delle novità rispetto al contesto nel quale andrà a collocarsi, e questa novità può essere di giovamento anche per le nostre società. La diversità va intesa come ricchezza, come fondamento dell’inclusione. L’umanitarismo è la nostra àncora di salvezza.