Il ritiro del RdC
Ecco la prima grande riforma della Meloni: aumento della povertà del 10%
La domanda è: è giusto per stroncare questo voto di scambio gettare mezzo milione di persone nella povertà? La risposta è: no
Politica - di Piero Sansonetti
È entrata in vigore la prima vera grande riforma del governo Meloni. Si tratta del ritiro del reddito di cittadinanza, o della fortissima decurtazione, per circa 170 mila famiglie e quindi per circa mezzo milione di persone. Il reddito di cittadinanza, per legge, viene elargito alle famiglie e alle persone molto povere. Usufruendo di questo sussidio dallo stato, in questi ultimi anni, cioè da quando il reddito è stato istituito, questo mezzo milione di persone sono uscite dalla povertà, o comunque si sono sistemate sulla linea di galleggiamento tra miseria e ceto medio basso.
Il governo Meloni ha deciso di migliorare leggermente i conti dello Stato limando di un po’ più di un miliardo questa spesa che considera superflua. Le conseguenze sociali di questa misura – qualunque sia l’opinione che si può avere sul reddito di cittadinanza – saranno molto aspre. Può darsi che tra il mezzo milione di percettori di reddito che da ieri lo hanno perduto ci sia qualche furbetto, evasore, che intascava i cinquecento o seicento euro al mese non avendone diritto, e quindi, perdendoli, non cadrà in povertà. Quanti saranno? Duemila? Tremila? Diecimila? Credo meno, ma comunque restano circa 490 mila persone che il salto nella povertà da oggi lo hanno fatto. Siccome in Italia, secondo gli ultimi calcoli, ci sono circa 5 milioni di poveri, e questo è un drammatico problema di questo paese, noi sappiamo che da oggi i poveri saranno 5 milioni e mezzo, con un aumento secco del 10 per cento.
Che senso ha questa “Riforma”? Che valore? Ha un valore fondamentalmente ideologico e in parte politico elettorale. Ideologico perché nella destra radicale, anche nella miglior destra radicale, resta sempre un pregiudizio contro i poveri. Vengono considerati alle volte colpevoli di povertà (l’idea meritocratica della destra considera la povertà come assenza di merito) alle volte furbi. Cioè persone che vorrebbero arricchirsi ai danni dei ricchi. Aumentando le tasse ai ricchi, protestando contro i grandi evasori, elemosinando aiuti e sussidi dallo Stato. Incapaci di vivere silenziosamente e dignitosamente la loro povertà, Questa ideologia è molto radicata. E ha spinto le classi dirigenti della destra a considerare il reddito di cittadinanza il male dei mali.
Si immagina soprattutto che abbia danneggiato le imprese, diminuendo la platea dei cercatori di lavoro a basso costo. Forse in parte questo è persino vero. Visto che esistono contratti nazionali di lavoro che prevedono paghe di 6 euro all’ora, che corrispondono a meno di mille euro lordi al mese, è del tutto ragionevole pensare che alcune migliaia di persone potessero preferire i sei o settecento euro del reddito agli otto o novecento di stipendio per 40 ore di lavoro alla settimana. In ogni caso il problema della ricerca della forza lavoro solo in piccola parte è legato al reddito di cittadinanza. Poi c’è la ragione elettorale, comprensibilissima. I “5 Stelle” alle ultime elezioni hanno usato il reddito di cittadinanza come randello elettorale.
Dicevano: se vuoi salvare il reddito, votami. E avevano ragione, visto l’atteggiamento della destra. Si è trattato di un legittimissimo voto si scambio (quasi sempre il voto di scambio è legittimo, dal momento che il voto è esattamente uno scambio tra votante e votato) che ha permesso ai 5 Stelle un clamoroso successo elettorale in alcune zone povere del paese. La domanda è: è giusto per stroncare questo voto di scambio gettare mezzo milione di persone nella povertà? La risposta – per qualunque essere ragionevole – è: no. Riformare il reddito di cittadinanza è giusto. Funziona male. È un sussidio. Può essere clientelare. Interferisce col mercato del lavoro.
Ma non si deve fare una riforma che lo riduce ma che lo amplia. Ne ha accennato proprio ieri su queste pagine l’on. Paola De Micheli, del Pd. Occorre un reddito universale, che garantisca a tutti – indipendentemente dalla condizione sociale – un reddito minimo di sussistenza. Che poi sarà innalzato col lavoro ma che comunque ridurrà drasticamente la povertà. Una specie di prelievo fiscale al negativo. Questo prevede una riforma radicale del sistema fiscale e del welfare. Cioè: una riforma. Quella della Meloni è una piccola e miserabile controriforma, che è una cosa molto diversa.