Alla vigilia della conferenza stampa di ieri mattina, Renzi aveva fatto circolare la voce che avrebbe approfittato dell’occasione per prendere le distanze dal governo. Lo ha fatto però, a sorpresa, non su un terreno avverso a quello della premier. Al contrario sul campo di gioco più “meloniano” che ci sia, quello del premierato. Senza mettere ulteriore tempo in mezzo, il leader di Italia viva annuncia la presentazione di una proposta di legge per introdurre l’elezione diretta del premier, con potere di nomina e di revoca dei ministri.
Il testo è sintetico ma esaustivo, non tralascia il vero nodo della contesa nella maggioranza, quello che vede FdI e Lega schierate su posizioni opposte: cosa si fa se il premier eletto dal popolo viene sfiduciato, o si dimette o per cause di forza maggiore non può più ricoprire l’incarico? Per la Lega lo si sostituisce senza troppi traumi, ma in questo modo l’elezione diretta somiglierebbe quasi come una goccia d’acqua al cancellierato proposto dal Pd, con in più una sorta di indicazione diretta non troppo vincolante, come ai tempi del bipolarismo e delle sfide Berlusconi-Prodi. La proposta di Iv va nella direzione opposta: nei casi di cui sopra, tutti e ciascuno, le Camere si sciolgono e si torna alle urne.
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In effetti Renzi la mette quasi come una sfida rivolta alla premier: “Il governo chiacchiera, chiacchiera ma non fa niente. Ha un grande consenso e fa melina. Ma il tempo delle chiacchiere è finito, vediamo chi ci sta, vediamo se Meloni è seria”. La mossa è astuta. Renzi si muove sì sul terreno della destra, ma lo fa da protagonista e non da vassallo, impadronendosi della principale bandiera della premier, oltretutto sapendo che su quel fronte, e forse solo su quello, parte da una posizione di forza. Meloni ha bisogno che almeno una parte dell’opposizione approvi la sua riforma e con i voti di Iv l’obiettivo della maggioranza dei due terzi, necessaria per evitare il referendum, diventa a portata di mano. Zaratti, di Avs, accusa l’ex segretario del Pd di aver fatto “un grosso regalo” a Meloni. Un po’ è vero ma certo non si tratta di un regalo disinteressato.
Vanno nella stessa direzione altri due passaggi nella fragorosa conferenza stampa. Renzi chiede a La Russa di tenere aperto il Senato una settimana in più del previsto per approvare la sua proposta contro il dissesto idrogelogico, la resurrezione della struttura che aveva creato quando era premier, Italia sicura. Il ministro Musumeci ha commentato subito senza aprire le porte ma con toni particolarmente encomiastici: “Italia sicura è una struttura particolarmente attiva e interessante. Molte di quelle competenze sono state acquisite nel dipartimento Casa Italia. Un lavoro ancora più analitico consentirà di non disperdere quel patrimonio di competenze”.
Il capo di Iv ha anche confermato il sostegno alla commissione d’inchiesta sul Covid, nonostante l’indicazione opposta del capo dello Stato. Abile, capovolge, nonostante il tono falsamente rispettoso, le argomentazioni costituzionali di Mattarella: “Sono certo che una personalità come il presidente mai immaginerebbe di interferire in un dibattito parlamentare in corso”. La mossa di ieri garantisce a Renzi anche altri vantaggi. La sfrutterà per tenere banco e imporsi come protagonista, nonostante l’inconsistenza elettorale del suo partito, di qui alle elezioni europee: condizione essenziale per cercare di imporsi come vero punto di riferimento di un soggetto centrista che, almeno nei suoi sogni e nei suoi desideri, si estenderebbe sino a Fi e occuperebbe la postazione ambita di ago della bilancia.
Infine gli offre lo strumento per mettere alle corde l’alleato e rivale Carlo Calenda. Inevitabilmente Renzi è stato interrogato anche sul caso Twiga e sullo stigma di Azione per gli esponenti di Iv presenti alla famigerata cena con Daniela Santanchè: “E’ il grillismo degli antigrillini. A me di dove vanno a cena Bonifazi o Richetti non me ne frega niente”. Incoerente è chi vuole le dimissioni della ministra ma vota contro la mozione di sfiducia, vedi alla voce Azione, non chi , come lui, le dimissioni non le vuole per questioni di garantismo e conseguentemente non appoggia la sfiducia.
Ma queste sono punzecchiature, servono a fiaccare l’avversario. Il colpo duro è proprio il premierato. Era nel programma di Azione ma “se ha cambiato idea…”. Per Calenda ritirarsi è difficile ma sostenere il premierato con Renzi e la destra renderebbe impraticabile ogni possibile alleanza con la sinistra di Schlein e Conte. Renzi, che sa di dover passare per una porta strettissima, mira così a rendere inevitabile la riproposizione dell’alleanza elettorale Iv-Azione, magari condita con i radicali di Magi, alle prossime europee: “Se nelle prossime settimane si vorrà fare chiarezza si dovrà indicare il percorso per le Europee”. Più chiaro di così….